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  Letteratura  »  La famiglia Moskat, di Isaac Singer, edito da Longanesi e recensito da Grazia Giordani 14/12/2010
 

La famiglia Moskat


Un'opera di robusto impianto tolstojano La famiglia Moskat di Isaac Bashevis Singer (Longanesi, pp.664, euro 24, traduzione di Bruno Fonzi), folto di personaggi sapientemente dipinti, atto a riproporci un mondo vitale e complicato immerso nei suoi sogni credenze e miti.
Col consueto acume critico osserva Giorgio Montefoschi – nelle pagine introduttive – come questo romanzo sia un «capolavoro: una saga familiare che ha poco da invidiare ai Buddenbrook (per la ricchezza delle situazioni, la varietà dei personaggi e l'imponenza di alcuni di loro; l'impianto narrativo classico e solidissimo) e nello stesso tempo descrive cinquant'anni di storia e una realtà etnica, religiosa, culturale e sociale».
Il periodo descritto è quello che corre dagli albori  del secolo scorso alla Seconda guerra mondiale. La realtà culturale, storica e religiosa è quella dell'ebraismo orientale, ovvero il significato di allora dell'essere ebrei, con minuziosa testimonianza della loro vita, trovandosi in una nazione come la Polonia nella prima metà del Novecento.
Scritto, in origine, in yddish, che era appunto la  lingua degli ebrei orientali, tradotto in inglese, con la supervisione dell'autore, il libro,  pubblicato negli States nel 1950, inizia con il ritorno a casa del ricchissimo capostipite dei Moskat, Reb Meshulam, in compagnia della terza scialba moglie, Rosa Frumetl,  vedova del primo marito da cui aveva avuto Adele, una schizzinosa figlia adolescente.
Assistiamo al fastoso pranzo del ritorno e qui fa la sua apparizione Asa Heshel Bannet arrivato a Varsavia dal villaggio di Terespol Minor con una lettera di raccomandazione per un importante rabbino e un libro di Spinosa sotto il braccio. Lo ha condotto in casa Moskat, quasi per caso, Abram Shapiro l'irriducibile gaudente, genero del patriarca. Non tarderemo ad accorgerci che il giovane Asa Heshel, pur nel tessuto corale della corposa trama,  percorsa da ben tre alberi genealogici, è il personaggio chiave. Forse spaventati all'inizio da un plot narrativo così denso e ad incastro – finiamo presto col familiarizzare con l'affollamento delle figure -, tanto Singer (premio Nobel 1978) sa presentarci con pochi tocchi in maniera coinvolgente i suoi personaggi dal primo all'ultimo, dai capostipiti ai bambini in fasce. Nessuno verrà abbandonato o trattato con leggerezza dall'autore perché, citando ancora Montefoschi: «Questo amore è l'amore che di Dio degli ebrei, il Dio dei Salmi e della Shekinah (…) nutre per la Creazione che considera una sua emanazione e dunque non contempla esclusioni». Dio è dunque il protagonista assoluto di questa opera, sia quando soccorre che quando perdona o punisce. Ci avvaloriamo in questa convinzione di pagina in pagina, seguendo matrimoni e divorzi dei protagonisti, toccando con mano perfidia e bontà, impostura e lealtà.
Ad Asa Heshel – personaggio stralunato, velleitario, inconcludente, sempre perso nelle sue elucubrazioni filosofiche - quasi un dostoevskijano principe Myskin – sembra che l'autore affidi il compito di interrogarsi su Dio. Questo strano, pallido ragazzo che farà soffrire ben due mogli (prima Adele e poi Hadassah) non ha letto solo libri sacri, ma anche i grandi della filosofia e della letteratura, tormentato dall'assillo delle eterne domande sul mondo. Enigmatico e tentennante personaggio, Asa Heshel se ci sembra rappresentare uno spreco d'intelligenza non messa a proficuo frutto, d'altro canto ben testimonia il progressivo decadimento della condizione degli ebrei a Varsavia con la perdita di potere economico, politico e sociale, con la decadenza delle famiglie e dei loro costumi.
Ogni risvolto della condizione umana è trattato con mano maestra ne La famiglia Moskat:  nascite, morti, guerra e pace amori che resistono e altri, più molteplici, che franano.
Incontriamo in queste pagine ogni faccia dell'umanità fotografata da un autore speciale nella capacità di esprimere «l'assoluto di ogni momento significativo della vita» come ha ben scritto, in proposito, Claudio Magris.


Grazia Giordani

 

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