Riflessioni
sulla Shoa, o meglio sul destino dell'uomo dotato di requisiti particolari
di
Lorenzo Russo
Che cosa rende l'ebreo,
così vittima di aggressioni e nello stesso tempo capace di risollevarsi?
Per la sua spiccata individualità
e abilità a superare le situazioni avverse della vita, sembra d'essere il
prescelto di un Dio severo e pretenzioso, ma anche paterno e sempre pronto a
perdonarlo e aiutarlo quando avverte la probabilità della sua estinzione.
È il contatto profondo e
stretto di questo popolo con il suo Dio a renderlo prescelto dallo stesso, o il
risultato della sua presunzione d'essere qualcosa di meglio?
Raramente si nota così
apertamente il contrasto tra umiltà e pretenziosità, vanità e forza di
sopportazione in un altro popolo.
L'ebreo sembra
raccogliere in sé i requisiti più marcanti dell'uomo, nel meglio come nel
peggio, da essere tanto ammirato e altrettanto avversato dagli altri.
Mi chiedo, se questi
requisiti siano segni d'intelligenza superiore, di perspicacia, o di
storditezza e pretensione.
Di certo è un popolo che
si differenzia dagli altri per le sue spiccate stranezze, sia intellettuali sia
nel modo di manifestarsi esteriormente, come per la sua enorme creatività e
dinamicità nell'affrontare decisivamente i problemi della sua vita, da
suscitare in molti altri invidia e odio.
Mi sorge a volte
spontaneo il sospetto, che provenga da un altro mondo per espiare le colpe
causate dal suo rapporto pretendente e in contraddizione con il suo Dio
intransigente.
Nella supposizione, che
un popolo cosciente delle sue limitatezze si premuri maggiormente a curare un
rapporto particolare con un Dio (forza superiore) per trovare il necessario
sostegno di vita e speranza di sopravvivenza, m'immagino che il Dio ebreo l'abbia
creato a sua immagine e poi cacciato dal suo regno per ingratitudine, e aspetti
ancora che diventi capace di assumere compiti superiori in suo nome.
Un tale Dio non
rappresenterebbe però le forze del progresso umano, ma di un castigo perenne.
Che infine gli permetterà
di ritornare nel suo regno quando la sua ira sarà consumata e il suo prediletto
sarà diventato degno della sua magnificenza, rimarrà ancora a lungo un'ipotesi.
Si traccia qui un
rapporto, continuo ma indefinito nella sua attendibilità, tra l'uomo e Dio.
Certo è, che l'uomo, ancora incapace di scoprire da solo il senso della sua
vita e cosciente di essere debole e ignorante, cerca l'appoggio nella
trascendenza, dove immagina di trovare la risposta alle sue tante richieste, se
non altro la forza di credere nella provvidenza divina, della quale suppone di
essere parte per diritto d'origine e quindi anche lui divino e destinato a
compiti e sorte migliori.
Intuitivamente capisce
d'essere inferiore e quindi bisognoso di un appoggio superiore per essere
salvato dalla sua sorte maligna, che spera così che sia temporanea.
Il Dio degli ebrei è
allora una forza particolare ed eccentrica, così come lo è il suo popolo, nel
quale la caparbietà ed egocentricità sono alimentate da un'intelligenza ispirata
da forze trascendentali che lo rendono idoneo a sopravvivere e infine a
superare le limitatezze di questo mondo.
Ricordare la Shoa significa, però, anche
riesaminarsi, onde scoprire le proprie colpe, di modo che si riesca a moderarsi
nei propri effetti dannosi ed essere infine tollerati, se non già accettati,
dagli altri popoli.
La Shoa ha assunto nel corso della storia il significato di
un marchio di nascita che colpisce chi è troppo diverso dagli altri, tanto da
generare timori e aggressioni.
Di fatto si riscontra che
anche altri gruppi etnici hanno subito e incontrano tuttora discriminazioni che
mutano facilmente in aggressioni, torture e annientamento nell'avverarsi di
gravi sconvolgimenti storici.
In un mondo mediocre e
grezzo sono proprio gli intelligenti e quelli in possesso di particolarità
caratteriali straordinarie a incontrare difficoltà di convivenza; la reazione
spontanea dei mediocri è solitamente quella di scagionare la propria condizione
accusandoli e annientandoli, invece che di imparare da loro.
Accade, così, che il Dio
spietato assuma l'identità di un dittatore malvagio e paranoico per punire il
suo popolo disubbidiente e ingrato, e metterlo così alla riprova, fatto che mi
lascia perplesso sul buon esito finale al riscontro con l'attuale situazione.
Mi sembra anche chiaro
che il Dio, come lo immaginiamo, sia un prodotto della nostra mente, una forza
esterna non individuabile con i nostri sensi, ebbene un'energia che regge e
determina tutto, anche la nostra sorte.
Un Dio con una sembianza
bivalente, un'energia con differenti polarità – Dio e Diavolo- che
rappresentano la nostra incapacità di intravedere la verità divina universale,
così che sostiamo ancora nell'oscurità alla ricerca della luce che tutto
illumina e spiega unendoci con la nostra origine; nel frattempo, questa energia
continua a donare secondo la nostra preparazione e forza d'intendimento
speranza, sollievo, punizioni e sofferenze.
La tragedia umana che ne
deriva continua a manifestare e definire la sorte dell'uomo, e lo farà fino
alla sua fine decisa da un qualcosa d'inafferrabile, né con la mente, né con i
sensi.
Che sia la profonda e
pretenziosa religiosità dell'ebreo, tipica espressione delle sue inclinazioni,
a complicare il rapporto con il suo Dio, tanto da ricavarne più danno che
profitto?
Quella religiosità
prepotente e cieca che si riscontra anche in altre religioni, sebbene con
tendenze e tonalità differenti, e che hanno generato, e creano tuttora,
tantissimi conflitti gravi in nome della loro divinità.