Le città invisibili
di Italo Calvino
Presentazione dell'autore
Arnoldo Mondadori Editore S.p.A.
Narrativa romanzo
Pagg. 168
ISBN 9788804425540
Prezzo € 8,50
“Che cos'è oggi la città per noi? Penso d'aver scritto qualcosa come un
ultimo poema d'amore alle città, nel momento in cui diventa sempre più
difficile viverle come città.”
Da una conferenza di Calvino tenuta a New York
nel 1983
Il fantastico in Calvino è quanto di più ancorato alla realtà che
ci possa essere. Per certi aspetti l'avveniristico nelle sue opere è un ritorno
a un mondo più a misura d'uomo, un rientro nel perfetto ordine della natura da
cui con il tempo ci siamo allontanati credendo di non essere sue semplici parti, ma dominatori. Del resto nel
Barone rampante quella vita vissuta
sugli alberi del bosco, anziché rinchiuso fra le quattro mura domestiche, è una
metafora di un'evidente ritorno a una primigenia libertà che l'essere umano,
nel tempo, ha sacrificato in funzione di un gretto principio di tornaconto,
così come l'armatura che rinserra il Cavaliere
inesistente richiama la spersonalizzazione dell'uomo che trascorre molto
del suo tempo fra le lamiere di un automobile.
I primitivi all'inizio vivevano in una grotta, poi costruirono
capanne, magari le une vicine alle altre per evidente difesa, ma conservando
così quel principio di libertà che rende l'umano isolato quando vuole, senza
togliergli la possibilità di contatto con i suoi simili. Le attuali città,
fatte da condomini di molti appartamenti, finiscono invece con l'essere celle
di un alveare in cui trascorrere il minor tempo possibile, forzatamente, e
dentro rigide norme che, anziché regolamentare la convivenza, di fatto
l'impediscono. Si conosce tutti e non si conosce nessuno; in strada c'è lo
stesso scenario di una vita frenetica in cui le possibilità di contatto sono
sporadiche, un saluto, per educazione, e via.
Quindi in Calvino il fantastico non è una società avveniristica e
tecnologica, ma un ritorno al passato, un desiderio, forte, ma anche
sussurrato, affinché l'uomo ritrovi la sua strada e la sua naturale
collocazione.
Se poi vogliamo avere un esempio di scrittura del “fantastico” ai
suoi massimi livelli occorre per forza di cose leggere Le città invisibili, un libro che è necessario quasi spiluccare
come se i vari capitoli fossero gli acini di un grosso grappolo d'uva. Del
resto l'intento dell'autore non è solo quello di darci una rappresentazione
metafisica della realtà, ma anche di stimolare le nostre percezioni sensoriali
affinché possiamo costruire un nostro libro sul suo libro partendo dalla base
che ci viene offerta. Se il pretesto è un resoconto di Marco Polo
all'imperatore Kublai Kan
del regno che ha attraversato e delle città che ha visto e conosciuto, tutte
identificate da nomi femminili vagamente classicheggianti, in
effetti lo scopo è quello di far giungere il lettore in un'altra
dimensione, in cui l'aggancio con la realtà si affievolisce per lasciare spazio
allo sviluppo della fantasia secondo la volontà di ognuno.
Così è possibile leggere descrizioni di questi agglomerati urbani,
completamente diversi l'uno dall'altro, perché diversi sono i loro abitanti,
non coincidenti sono le loro necessità e i loro desideri.
Se già questo è molto, occorre considerare i dialoghi surreali fra
Polo e l'imperatore all'inizio e alla fine di ogni descrizione, quasi una
cornice del discorso che è il fulcro di tutta l'opera, vale a dire entrambi
tendono ad avere una visione di questi abitati trascendentale, ben oltre
l'aspetto materiale delle costruzioni, ma volto alla
ricerca di un significato, che potremmo definire assoluto e divino pur in una
dimensione umana, non solo delle città, ma anche dei suoi abitanti, e dell'uomo
in generale.
La loro visione della città è funzionale agli uomini che ne fanno
parte e al centro del tutto vi sono proprio essi, così che il grande
agglomerato urbano non sia semplicemente uno stanco e depauperante dormitorio,
destinato progressivamente a svuotarsi, ma uno spazio in cui, anziché relegare
i suoi abitanti, li proietti verso una libertà sempre più ampia.
Il vivere comune non deve essere motivo di un isolamento
individuale, perché in caso contrario la città muore e i suoi abitanti, già
morti dentro, l'abbandonano. Ritorna quindi un tema caro a molti letterati,
cioè quell'incomunicabilità a cui sembra destinata sempre di più l'umanità.
Il grande insegnamento di Calvino è però che è sempre possibile
intraprendere o riallacciare un dialogo, lo stesso che Marco Polo e Kublai Kan intrecciano nel corso
delle pagine, pur essendo due esseri del tutto isolati e prigionieri dei loro
ruoli, il primo reduce da un deserto che non è solo quello che ha attraversato,
ma che l'animo umano tende a costruire quando cozza contro la chiusura altrui,
e il secondo, per la sua natura d'imperatore, ristretto nella gabbia d'oro
della sua funzione.
Per quanto possa sembrar strano, Calvino, con la sua grandiosa
fantasia, non avrebbe potuto descrivere meglio il tema della città in funzione
degli uomini in contrapposizione di quella che, giorno dopo giorno, nonostante
i proclami di politici ed architetti, diventa un luogo di dissociazione.
Le città invisibili finisce con l'essere, con il suo alone
poetico, un atto d'amore, forse l'ultimo, per quell'agglomerato di case, di
persone che vogliono vivere e non vegetare, e che noi chiamiamo genericamente
città.
Italo
Calvino (Santiago de Las Vegas, 15 ottobre 1923 – Siena, 19
settembre 1985).
Ha scritto numerosi testi di narrativa, fra i quali:
Il sentiero dei nidi di ragno (1947), Ultimo viene il corvo
(1949), Il visconte dimezzato (1952), Fiabe italiane (1956), Il barone rampante
(1957), Il cavaliere inesistente (1959), Marcovaldo
ovvero Le stagioni in città (1963), La giornata di uno scrutatore (1963), Il
castello dei destini incrociati (1969), Le città invisibili (1972).
Renzo
Montagnoli