Pilone di William Faulkner, Adelphi
Decolla ancora Faulkner
Acrobazie senza censura
Se ci sono scrittori considerati
evergreen, nonostante una loro ben precisa connotazione letteraria, tra costoro
brilla William Cuthbert Faulkner
(1897-1962), sceneggiatore e drammaturgo statunitense, vincitore del Nobel nel
1949, spesso autore di opere provocatorie, espresse in una lingua piena di
pathos e di grandi contenuti psicologici. Considerato il rivale di Hemingway,
famoso per il suo prosciugato minimalismo, Faulkner, sa darci un esempio del
suo sinuoso ed ermetico stile, soprattutto in «Pilone» (Titolo originale Pylon, pp.285, euro 19) che ora Adelphi ci ripropone -
intento a curarne l'opera omnia – tradotto con illuminato impegno dall'americanista
Mario Materassi che ha saputo levigare il labirintico linguaggio faulkneriano, restituendogli la modernità che aveva perduto
nella prima traduzione di Lorenzo Gigli, quando il moralismo dell'epoca (siamo
nel 1937) aveva indotto il traduttore ad edulcorare persino il titolo in Oggi,
si vola..
«Noi abbiamo riportato il titolo – sottolinea Materassi (che è sempre il primo,
fortissimo segnale del testo) a quello originale (Pylon
ndr) in quanto il richiamo alle locandine che negli anni Trenta annunciavano le
manifestazioni di acrobazie aeree avrebbe saputo, oggi, di un'operazione quasi
archeologica, relativa a un romanzo che è invece tutto
costruito sul paradigma del conflitto tra meccanicità (e quindi modernità) e
naturalità. Come annuncia sinteticamente, quanto perentoriamente, il titolo
originale: quel Pylon che con la sua chiara valenza
fallica fa leggere l'intera vicenda di questi piloti e delle loro macchine in una intensa prospettiva freudiana».
Dunque, chi avesse letto il testo nella primitiva traduzione, ora è come se si
applicasse alla lettura di un romanzo privato da paraocchi ed infingimenti.
Siamo nel New Orleans a metà degli anni Trenta. C'è un
cronista a caccia di scoop che – giunto in un piccolo aeroporto, familiarizza
con un cupo ménage à trois formato da una donna,
nemmeno contesa – androgina nell'aspetto, ma sensuale
nella sostanza – moglie di un pilota che si guadagna da vivere col volo
acrobatico alle fiere dell'aria e dall'amante, un paracadutista. C'è un bambino
che non si sa di quale dei due uomini sia figlio. Il tema della passività
femminile, capace di suscitare gli istinti più animaleschi, non è nuova a
Faulkner, egli stesso molto preso nella vita reale da passioni forti e
primitive, abbondantemente irrorate da alcool, altra sua umana debolezza.
Non si può certo dunque negare un afflato autobiografico, visto che l'autore
ben conosceva i temi trattati nel romanzo, essendo stato a sua volta pilota
durante la prima guerra mondiale nell'aviazione militare canadese (quella
americana l'aveva respinto a causa della bassa statura) e aveva fatto il
cronista con penna provocatoria e spesso irriverente.
Lo scoop che il cronista sta cercando non si farà aspettare, visto che il
pilota dell'inconsueto terzetto – gareggiando su un vecchio “monoguscio” –
simile a quello che Faulkner realmente possedeva, sprofonderà nelle acque di un
lago.
Ci troviamo quindi fra le mani un romanzo complesso, ermetico nel linguaggio e
nei contenuti, per alcuni versi joyciano, soprattutto
per il fluire della coscienza e per il ritmo ablativo. Ci sembra di leggere più
romanzi nel romanzo, quasi contenuti in un'ideale matrioska: reportage sul
mondo del volo e su quello della carta stampata, riflessione sull'ebbrezza che
dà l'ignoto, sulla stuzzicante vertigine del pericolo, sull'alcool, sul sesso,
sull'umana natura così mutevole vinta e invitta. Aleggia in tutta la scrittura
una tenebrosa dignità della sconfitta, un contorto interrogativo del posto
dell'uomo in una natura ineffabile dentro cui sembra
essere incastonata come una triste gemma, Lagarde, la
donna di tutti e di nessuno, quale paradigma del mistero femminile, del sesso
debole dall'arcana forza.
Grazia
Giordani
www.graziagiordani.it