Il cerchio
infinito
di Renzo Montagnoli
Introduzione dell'autore
Prefazione di Fabrizio Manini
In copertina
“Galassia M 104”
fotografata dal telescopio spaziale Spitzer della NASA
Elaborazione grafica di Elena Migliorini
Edizioni Il Foglio Letterario
www.ilfoglioletterario.it
ilfoglio@infol.it
Poesia silloge
Pagg. 70
ISBN: 978-88-7606-196
– 7
Prezzo: € 10,00
Secondo quanto prescrive un'antica dottrina sapienziale orientale
è bene accostarsi ai grandi temi dell'esistere – leggi, da noi, “i massimi
sistemi” - con tono umile e dimesso. E' una lezione che Renzo Montagnoli ha
tesaurizzato nella sua seconda silloge poetica edita da Il Foglio, Il
cerchio infinito.
Il fil rouge che allaccia tra loro i
vari componimenti è, come scrive il poeta nell'introduzione, “la vita nel suo
mistero, il tempo nella sua incertezza, la distanza, nella sua imperfezione
(...)”; lo sviluppo del dettato poetico (in versi liberi) è sempre, invariabilmente,
caratterizzato da una franca schiettezza, da un linguaggio piano, da un dialogo
conciliante che sembra quasi prendere per mano l'interlocutore. Eppure
l'indulgenza formale è in questo caso solo mera apparenza, come un velo di maya
che, una volta squarciato, ci rivela cosa si cela sotto la superficie e ci fa
contemplare la vera essenza della realtà.
Non è questa, infatti, una raccolta poetica scevra di profonde
inquietudini, né del resto il poeta di Virgilio (MN) intende dissimulare o
ordire inganni al suo lettore. La divaricazione è semmai tra il suo limpido
esito estetico e quella “distanza” indefinita – e indefinibile - rivendicata
dall'autore rispetto ai significati ultimi del divenire.
Il cerchio infinito è, sotto questo aspetto, una sorta di monolite, denso e compatto
come un buco nero per il frequente ritorno di topoi,
per l'intersecarsi di voci e immagini già molto care all'autore, per il
riecheggiare pressoché ininterrotto di un leitmotiv che conduce
invariabilmente alle questioni fondamentali: chi siamo? dove
andiamo? perché viviamo? Le risposte più ovvie a
queste domande si potrebbero
trovare nelle religioni più antiche se non fosse, come
giustamente fa rilevare il poeta, che per ciascuna di esse non vi è possibilità
di riscontro. Anche i sistemi filosofici in ultima analisi paiono ridurre il
problema alla finitezza dell'essere pensante, portandola ai limiti delle
proprie abilità e talenti ma sempre nell'ambito gravitazionale della sua
dimensione. Cosa rimane, allora, in grado di travalicare la minuta particella
di materia ch'è l'uomo nella sua parabola terrena su questa terra? Montagnoli
sembra ammettere che l'anima non finisca col corpo. Forse è solo una teoria, o
un sogno, e l'autore sfugge a una sistematizzazione della propria visione e
pensiero ammettendo con grande umiltà di non sfuggire alla logica di
rimpicciolire tutto a sua immagine e somiglianza. C'è una piena accettazione
della vita nella poesia di Montagnoli, anche nella constatazione della sua
caducità, dei suoi contrasti inconciliabili, delle sue piccole e grandi
crudeltà. E' un momento di bilanci, non solo in chiave autobiografica, ma
esteso all'intero genere umano che non potrà esimersi dal compito che gli
spetta, volente o nolente, presto o tardi: singolar tenzone dove i conti non
tornano mai, con buona pace della matematica.
L'atmosfera che permea i versi del libello è crepuscolare, a
partire dall'incipit: “S'assopisce il giorno/nel canto
della natura/che s'appresta al riposo.” E ancora, stesso componimento: “E' un giorno
che muore/(...) Un cerchio infinito/di albe e
tramonti.” E' singolare setacciare il testo alla ricerca di richiami al
tramonto, di immagini e metafore a esso affini. La contemplazione della natura
e delle sue meraviglie è per il poeta fonte sempre rinnovata di riflessioni
profonde. Così un'altra lirica si intitola Il giorno che si spegne: “Nel
tramonto corre il ricordo/volti fissati in un attimo/mai invecchiati/illusione
che si perpetua/nell'attesa della sera.” Nella poesia che segue, Il cerchio
dei sogni, il richiamo è palese: “(...)
all'imbrunire del giorno/caleranno guidati dal buio/inconsce realtà della
notte.” Le due liriche presentano anche affinità tematiche. La sera porta con
sé pure il buio della memoria; è un oblio perpetuo, contrapposto, per esempio,
alla “corrispondenza d'amorosi sensi” foscoliana,
speranza mai sopita nell'artista di affidarsi alla memoria e alla compassione
di chi gli sopravvive. Tutto sembra rifluire in un vortice cosmico, che ben si
compendia nella visione taoista de Il cerchio infinito II: “Guardo la
tua alba/nella luce/del mio tramonto.”
Il Tempo è uno dei protagonisti che si muovono in questo scenario,
un'altra vestale del tramonto, o dell'autunno, uno dei volti della morte e
della finitudine, di quella complexio oppositorum frequentata dagli alchimisti:
nascita/morte, giorno/notte, luce/buio, realtà/sogno, finito/infinito. Il
contrappasso è segnato dallo scorrere del fiume, o dalle figure del vecchio e
del nipotino che passeggiano per un viale; non pago, Cronos
non perdona in Il Tempo: “solo il buio a
regnare sovrano/su un desolato mondo/rinunciatario alla vita.” E ancora (altra
poesia a Lui dedicata): “Nascite e infinite morti/in un tempo fermo/in un
microscopico attimo.” Come a dire, siamo dei microbi di fronte all'assoluto, e
sarebbe quasi imbarazzante render conto, attraversando il testo, di quante
volte si incorra in parole chiave come “infinito”, “eternità” e loro
derivazioni. Se non fosse che Montagnoli ne è perfettamente consapevole e si
prostra con umiltà di fronte a un lemma tanto semplice quanto inadatto,
semanticamente, a contrassegnare l'inesprimibile. Ma quale parola potrebbe
evocare una realtà extra-linguistica della quale non possiamo fare esperienza?
Si incontra spesso anche il termine “anima”. In Il respiro dell'universo:
“E' la vita corporea/la nuova casa dell'anima/che un giorno fuggirà/per tornare
a nuova materia.” In La guida: “L'anima è il nocchiero/che mi guida”.
E' l'anima una guida che fa rifluire l'individuo nell'infinito
cerchio della vita, in un movimento perenne, come sembra suggerire l'anello
della Galassia M 104 in
copertina del libro. Non c'è consolazione per l'intelletto, questo puerile,
incidentale, microscopico accessorio umano. Come fosse Un ultimo sogno: “lontano è il giorno/prossima la notte/(...) tutto
scolora/sfuma nel nero/resta solo il buio.”
Alberto Carollo