L'INUTILE VERTIGINE
DELLA LISTA
Sul libro di Umberto Eco
Dopo la Storia
della Bellezza (Bompiani, 2004) e la Storia
della Bruttezza (Bompiani, 2007), Umberto Eco si cimenta nella
“lista”, cioè nell'idea dell'elencazione nella storia della cultura e dell'arte
(Vertigine della lista, Bompiani, 2009, pp. 408, € 39). Un
compito gravoso, quanto destinato ad essere incompleto, perché la prima qualità
della lista è la sua prerogativa di essere aumentata, integrata, aggiornata,
continuata all'infinito. Una potenzialità che è ragione del suo fascino, ma
anche della sua terribile minaccia: il rischio dell'incomprensibilità (nel
senso proprio di con-prendere, cioè di contenere
dentro di sé), dell'eccessiva grandezza che può sommergere, andare oltre la
nostra capacità di dominare il mondo. Per questo la lista è “vertiginosa”,
perché confonde e smarrisce in quell'infinito che, non a caso, si lascia
svanire dietro di noi con un senso di liberazione. Ma la lista è una manifestazione
della conoscenza, la prima e la più arcaica: prima ancora di mettere in relazione gli elementi,
di ragionare sui loro rapporti e trarne considerazioni, pensieri e giudizi, è
necessario disporre dei dati. Averli in bella mostra davanti a sé, riconoscibili
e in perfetto ordine.
Perché, diciamocelo chiaramente – anche
se Umberto Eco lo nasconde – il senso di vertigine della lista è causato dalla
sua inutilità.
Ciò che ci serve sono le relazioni tra
gli oggetti, tra gli individui; il loro rapportarsi con quanto rappresentano ai
nostri occhi, in un determinato contento che assume un senso solo in funzione
del personale e del sociale. Un elenco di nomi non ci dirà nulla in astratto,
ma assumerà un significato se si tratta degli abitanti di una città, degli
amici più cari, dei parenti prossimi o degli allievi di una scuola.
Contestualizzati e definiti. “Definire” vuol dire mettere un limite, saper
contenere la lista entro uno spazio (o un tempo) stabilito. Questo processo,
questo sforzo mentale di “contenere” la lista entro termini circoscritti
consente di dominarla e di conoscerla nella sua interezza.
L'ansia di contenere il tutto è propria
della natura umana e l'esempio dello scudo di Achille, utilizzato da Eco in
apertura del libro, è perfettamente calzante. Omero usa lo stratagemma delle
armi sottratte da Patroclo ad Achille per uno scopo
ben preciso. Quello di rappresentare con le parole (cioè con la poesia, che è
una poesia cantata, destinata alla trasmissione orale) un'immagine figurativa
fantastica, non esistente in realtà, e dunque di estrema complessità. Omero
impiega buona parte del XVIII canto dell'Iliade per descrivere lo scudo creato
da Efesto, dimostrando così la superiorità della
parola sull'immagine. Laddove essa può contenere la descrizione di un infinito
che la rappresentazione grafica è costretta a limitare nei margini angusti
dello scudo. Magnifico artificio letterario, che inutilmente pittori e scultori
(de Quincy, Cochin, Weniger, ecc.), da allora, hanno cercato di rappresentare
in forma concreta.
Carlo Bordoni
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