Anterem, la rivista di ricerca letteraria: colloquio di Renzo
Montagnoli con il direttore Flavio Ermini.
“Anterem” è una rivista culturale, ma
anche una casa editrice; entrambe, se non vado errato, sono operative da molti
anni, il che basterebbe a testimoniare il favore che incontrano. Come è nata, e
quando è nata, l'idea di fondare rivista e casa editrice?
Era il 1976. Il nome
della rivista ancora non era “Anterem”, ma “Aperti in
squarci”. Il titolo voleva fare riferimento a Rizoma di Deleuze e Guattari,
volume uscito proprio quell'anno. Infatti la prima
serie della rivista si chiamerà: “La parola rizomatica”.
Avrà una durata di tre anni. “Aperti in squarci” nasce per una letteratura
“senza generale” e all'insegna del comandamento di Kant:
“Sapere aude”, osa servirti del tuo intelletto.
Sul concetto di letteratura rizomatica,
vorrei ricordare le parole di Silvano Martini (1923-92) perché costituiscono un
vero e proprio programma per la prima serie. Martini è il poeta con il quale ho
dato il via a questa lunga avventura.
“L'albero e il rizoma
sono strutture che stanno a indicare due tipi opposti di letteratura. Cos'è un
rizoma? Un fusto sotterraneo di piante erbacee perenni, simile a una radice.
L'albero, invece, possiede un fusto esterno al terreno, che poggia su radici e
si espande in rami. La letteratura arborea è centrica. Quella rizomatica è acentrica. Nella
prima tutto si svolge tra vertice e base, in rapporto di chiara concatenazione
e di rigida dipendenza. Nell'altra, ogni svolgimento è base e vertice insieme,
e tutti gli svolgimenti hanno la medesima importanza. La letteratura rizomatica permette qualcosa di specifico che normalmente
non si dà: il collegamento di un punto qualsiasi con un altro punto qualsiasi
della sfera vitale. Questo significa che la circolazione del
senso ha una libertà illimitata”.
Tali riflessioni –
pubblicate sul n. 7 (aprile 1978) della rivista – rivelavano che era svanita
per noi l'idea di un centro unitario che rappresentasse un riferimento sicuro
per la nostra esperienza. Da qui quello strano nome: “Aperti in squarci”.
Lo stesso anno ha preso
il via la casa editrice. La prima autrice è stata Silvana Bellocchio, poeta e
psicoanalista, appartenente al gruppo femminista delle Eumenidi.
Il titolo del volume: La gioia precede il
nostro andare. Liberazione non più emancipazione.
Secondo me, il concetto di letteratura rizomatica
meriterebbe un maggiore approfondimento, o comunque un esempio, perché non
credo che la maggior parte dei miei lettori, come del resto me, possano comprendere
compiutamente. Ce ne dici?
La letteratura rizomatica – così com'è intesa nel loro libro da Deleuze e Guattari, e poi da noi
di “Anterem” sviluppata – vuole evitare
l'instaurazione di un centro egemone e si offre alla possibilità di generare
innumerevoli centri di discorso. Ecco il perché di quella definizione a cui
prima accennavo: “letteratura senza generale”, ovvero
una letteratura fondamentalmente anarchizzata. Che
cosa si propone una letteratura di questo genere? La difesa di una strenua e
cosciente anarchia dei sentimenti e delle sensazioni nei confronti della
realtà.
Pensiamo a questo: nel
corso di ogni nostro atto siamo davanti a delle cose che mai sono date una
volta per tutte. La realtà muta continuamente, in un incessante divenire. Non c'è
terraferma. Non solo. Davanti a noi si forma un insieme di pulsazioni luminose,
che generano costellazioni, disegni variabili sia per forma sia per intensità a
seconda dell'occhio che le osserva. Ciò che vediamo non è la realtà, ma le
figure sotterranee della nostra anima: quasi un olimpo rovesciato che ha più
familiarità con i demoni che con gli dei. Ognuno di noi deve riuscire ad
accogliere il presupposto che a lui solo e a nessun altro in sua vece spetta il
compito di mettere a fuoco la realtà.
Erano gli anni Settanta,
un decennio fortemente ideologicizzato. Legato a un
estremismo a volte infantile. Ma l'invito che allora rivolgevamo ai nostri
lettori di sottrarsi a un potere che li vuole docili a un senso precostituito –
solitamente compreso tra il tintinnio delle monete e l'apatia del pensiero – lo
sottoscriverei anche adesso.
Un buon esempio di
letteratura rizomatica? L'Azione parallela dell'Uomo senza qualità di Musil.
Ora è comprensibile e direi che alla base c'è un pensiero
filosofico, proprio perché può essere applicato non solo alla letteratura, ma
alle relazioni dell'uomo con la realtà di ogni giorno. ANTEREM è un semestrale
tematico che analizza il discorso poetico e ne approfondisce le diverse
sfaccettature. Considerato che questo lavoro presenta caratteristiche di
elevato livello, direi che la rivista si propone a un limitato numero di
addetti ai lavori, finendo con il divenire elitaria e quindi
accessibile a un numero ridotto di possibili fruitori. Senza pensare di
fare un prodotto con caratteristiche nazionalpopolari, non è che per caso sia
passata per la mente l'ipotesi di scrivere articoli adatti, come
comprensibilità, a un pubblico più ampio e quindi non necessariamente
specializzato?
No, quella che poni è una
questione che non abbiamo mai dibattuto. Non ci siamo mai posti il problema
della divulgazione. Non ne abbiamo mai sentito l'esigenza. Abbiamo sempre
avvertito, invece, la responsabilità di fare ricerca letteraria (il sottotitolo
della nostra rivista, non va dimenticato, è “Rivista di ricerca letteraria”) e
abbiamo sempre ritenuto che la responsabilità vada cercata nell'altrimenti di una scrittura che non
proceda pietrificando le cose nella “spiegazione”, nella didattica. Una
scrittura che si faccia carico di un compito non più solo estetico, ma anche
etico. Noi riteniamo che il nostro compito sia quello di invitare il lettore a
conferirsi in assoluta autonomia il potere di interpretare il mondo e il testo,
il potere di autodirigersi, il potere di sottrarsi alla scena
insopportabilmente illuminata dei mass media. Il potere di concepire se stesso
non solo come lettore, ma anche come soggetto criticamente capace di
intervenire sul testo. Detto questo, non è che noi siamo chiusi in una torre
d'avorio... Della nostra rivista tiriamo 4000 copie. E' un caso raro in Italia
per un periodico di poesia. E se i numeri dicono qualcosa, significa che non
solo gli addetti ai lavori ci leggono...
Quattromila copie non sono poche e io forse sono stato indotto
alla precedente considerazione dall'impostazione pedagogica che, come me, ha
interessato tutti nel periodo scolastico. Nonostante mi ritenga uno che intende
andare - non per partito preso - contro corrente deve essere rimasta
quell'abitudine ad accettare la nozione come proposta da altri. Ovvio che,
almeno tendenzialmente, approvo questo scopo di auto- dirigersi. Ma torniamo
alla rivista, anche se il colloquio è piacevole pure per altri argomenti, sia
pure indirettamente connessi. Rilevo che c'è un corposo numero di
collaboratori, che del resto sono elencati in una delle prime pagine. Con che
criteri vengono scelti? E, come funziona? Mi spiego meglio: poiché il numero è
tematico, li contattate dicendo di scrivere un
articolo della specie, oppure, come nel caso delle poesie, attingete dalla
produzione corrente?
Per rispondere a questa
domanda è necessario premettere che “Anterem” è il
risultato del confronto tra ricerca poetica individuale ed elaborazione teorica
collettiva. E che ogni numero si destina sì a un tema, ma vuole configurarsi
anche come un'opera organica. E questo sin dal primo numero. Va da sé che la
prima serie (quella dedicata alla “parola rizomatica”)
privilegiasse tematiche di ordine ideologico. Alla “fabbrica” era dedicato il
primo numero... La seconda serie sarà legata alle “forme dell'infrazione
letteraria”... E così via. Ma di questo parleremo più avanti se lo vorrai. Per
ora va detto che ogni numero è un incrociarsi ininterrotto di riflessione
teorica e pratica poetica, in un intreccio di forze, pensieri, idee, problemi
diversi. Con la consapevolezza che c'è un unico modo per determinare il corso
della letteratura: elaborare nuove forme espressive e nello stesso tempo dare
vita a strutture di pensiero adeguate a parlarne. Tutti i nostri collaboratori
ne sono consapevoli. Sanno che il loro contributo andrà a far parte di un “dialogo”, in
un programma di ricerca dichiarato. Questo, sia per i testi teorici sia per le
poesie e le prose poetiche. Ogni numero costa da uno a due anni di lavoro. Poco
o niente viene lasciato al caso. Si stabilisce un tema, che solitamente
costituisce un approfondimento del tema del fascicolo precedente, e a ragionare
intorno a questo tema sono chiamati pensatori di varia estrazione, che scrivono
testi originali per noi. Nel caso della poesia ci rivolgiamo a quei poeti che
stanno muovendosi – per quanto ne sappiamo – nell'ambito o, quanto meno, nelle
vicinanze di quel particolare tema; quei poeti che nel loro mobile itinerario sappiamo
che possono incrociare la loro rotta con la nostra... Delicatissima è la fase
dell'ideazione del menabò. L'intento, come dicevo, è quello di dare vita a
un'opera organica. Un po' come il montaggio di un film. È necessario dunque che
ogni intervento sia conseguente a quello che precede e introduca nello stesso
tempo quello che lo segue. Come se si desse vita a una “vicenda”. E accade, come puoi immaginare, che manchi
sempre qualcosa. E allora è necessario chiedere un intervento all'ultimo
momento... o una poesia... Poiché ogni numero viene preparato con due anni di
anticipo, ci troviamo a lavorare contemporaneamente su tre o quattro
tematiche... Non è facile, come capirai. Ma possono capitare anche piacevoli
coincidenze che ci inducono a far transitare un testo da una tematica a una
contigua... Avrai capito che la nostra è una rivista molto particolare anche
nel suo farsi oltre che nel suo offrirsi ai lettori. Forse unica.
Direi unica, perché se ho ben capito Anterem
è un laboratorio di ricerca che, pur seguendo un filo logico, si arricchisce di
volta in volta delle esperienze precedenti, che portano a innestare sulla
struttura principale nuove tematiche o proposizioni maturate. Diciamo che
cresce di numero di in numero nella misura in cui
crescono quelli che vi scrivono. L'idea del montaggio mi piace, un montaggio
che viene ad essere effettuato però dopo ogni scena, cioè dopo ogni numero. La
domanda: chi decide le tematiche?
Una leggenda redazionale
vuole che le tematiche nascano da sole, per partenogenesi. In realtà se tu
scorri i titoli delle tematiche hai proprio questa sensazione. Prendi la Quinta serie, quella dedicata agli “Elementi della percezione”. La
successione è: La poesia pensa, Antipensiero, Il perturbante, Figure del
perturbante, Lo straniero, Pensare l'Antiterra, L'Antiterra, Nozione di
ospitalità e così via. C'è un avanzare nella conoscenza quasi “obbligato”... Ma
poi le leggende vanno sfatate. E il dato di fatto è che le tematiche vengono
sempre discusse in redazione – una redazione, va sottolineato, composta
interamente da poeti: Giorgio Bonacini, Davide Campi,
Mara Cini, Marco Furia, Madison Morrison, Rosa Pierno, Ranieri Teti, Ida Travi –
ed è proprio dalla discussione che emergono le questioni che a noi per primi fa
piacere approfondire. Va detto che la discussione non obbedisce a logiche
predefinite. È molto anarchica. Libera. Tanto che buona parte di questa libertà
confluirà poi tra le pagine della rivista. Dando vita a una ricerca che si
fonda su una tensione indeponibile che conduce
dall'ascolto all'ascolto pensante, in una dislocazione che richiede una sospensione
di ogni abitualità di senso. Un modo che vuole essere un leggero circondare
(come salvaguardare, come custodire) non un possedere, non un rinchiudere nel
concetto. Questa libertà ci ha consentito di misurarsi con tante strategie per
giungere a nominare la parola “ante rem”. Il nostro è un cammino non privo di
peripezie. Le cinque serie lungo le quali fin qui si
articola il nostro viaggio di conoscenza corrispondono proprio alle diverse
strategie messe in atto per giungere a nominare la parola inaugurale, quella
parola (poetante e insieme pensante) che abbia recuperato tutto il primitivo
valore, le sue native potenzialità.
Proprio da quell'ante rem
prendono quindi il nome la rivista e la casa editrice, nate
insieme nel 1976, se non vado errato. Fa piacere, leggendoti, rilevare
che nonostante siano già trascorsi una trentina d'anni permanga immutato
l'entusiasmo. Probabilmente questo dipende anche dal fatto che il tuo non è un
lavoro di routine, ma è un continuo
divenire, così che non vi è mai nulla di ripetitivo, tranne la continuità della
sfida con se stessi nell'attività di ricerca.
Nell'ultimo numero, il 78, L'Apostrophé, la tua introduzione-editoriale inizia con “
Torniamo a parlare del principio e del suo interminabile apparire. Parliamo di qualcosa che, con una
domanda, ogni volta comincia e, con l'ultima domanda, prepara il nuovo inizio.” In pratica mi sembra la filosofia e lo spirito a cui è
improntata la rivista. Inoltre, alcune righe dopo, aggiungi “ L'esperienza
poetica del pensiero coincide dunque con il moto nascente della lingua” e
ancora “ Quella parola è la salvaguardia di ciò che la vita non dice.”.
Vorresti, cortesemente, tradurre, a beneficio dei lettori, il significato delle
tue parole in termini più comprensibili, magari ricorrendo anche ad esempi?
La struttura di ogni
numero di “Anterem” è particolarmente complessa, così
come le varie fasi ideative e progettuali che ne presiedono la nascita.
Tuttavia il nostro intento è donare alla lettura un'opera che non mostri segni
che rendano ardua la lettura. Eppure qualche volta accade, come nelle frasi che
hai evidenziato nel mio editoriale, che il discorso teorico si faccia
iniziatico. Ne sono consapevole. Ti dirò di più: questa consapevolezza fa parte
quasi sempre di un disegno. Ti svelerò un segreto. In ogni editoriale viene
sempre annunciato uno dei temi che saranno poi trattati dalla rivista. I
lettori che ci seguono da anni ormai lo sanno. Oppure lo intuiscono, com'è
accaduto a te. Ebbene, quell' “esperienza poetica del
pensiero” sarà proprio il tema che affronteremo in uno dei due numeri del
prossimo anno. Di questa tematica noi abbiamo già discusso in redazione e
alcuni studiosi – selezionatissimi, come potrai
immaginare – stanno già lavorando. Sono dunque già in grado di dirti cosa intendiamo
noi per Esperienza poetica del pensiero.
Questo mi consente anche di rispondere alla tua richiesta di “chiarimenti”. Per
esperienza poetica del pensiero intendiamo quell'esperienza che – di fronte al non-veduto
della vita – impone una discontinuità nella riflessione, quasi un
impulso a cogliere il punto d'intersezione tra la ragione del percorso
filosofico e la passione del dire poetico, come accade nell'“ultrafilosofia”
nominata da Leopardi. Con questa tematica intendiamo indagare gli elementi poetici
con i quali il pensiero deve fare i conti quando si trova di fronte a ciò che è
da-pensare
e – in pari tempo –appaiono insufficienti le categorie finora conosciute.
L'esperienza poetica del pensiero, scrivevo nell'editoriale citato, coincide
con il moto nascente della lingua. Perché? Perchè
scopriamo che non c'è sostanziale diversità tra quella parola che stiamo
ascoltando e il silenzio che assedia i bordi dell'essere. Ecco perché la poesia
conduce all'ascolto di noi stessi ed è così vicina a ciò che siamo. Quella
parola è la salvaguardia di ciò che la vita non dice, scrivevo. Perché? Perché
è una parola “delebile”, sottratta alla coscienza per mettere in essere le
cose, così come annuncia la pagina rilkiana: «Terra,
non è questo ciò che vuoi, / invisibile risorgere in noi?». Solo in apparenza
c'è in gioco esclusivamente la poesia. Arrischiandosi nella parola autentica,
gli uomini rischiano di perdere o di trovare la propria essenza.
La rivista non è aperta solo alla poesia, ma anche alla prosa,
quest'ultima comunque breve e, se comprendo bene, sempre di supporto al
discorso poetico. D'altra parte c'è una stretta e permanente correlazione fra
pensiero filosofico e creazione poetica; anzi, se mi consenti, direi che c'è la
vocazione alla filosofia della poesia. Questo non mi sorprende, perché una
rivista di ricerca necessariamente procede a graduali approfondimenti che
sviluppano correnti o incisi di pensiero. Una domanda che può sembrare banale:
perché non affrontare anche la narrativa, o questa si presta meno della poesia
a continue innovazioni espressive, cioè è più statica?
È vero che in linea di
massima il lavoro di ricerca di “Anterem” ha le sue
fondamenta nella poesia, e in modo più specifico, nella grande poesia europea e
in quella tradizione che tiene conto di tutti quei processi interiori dove
positivo e negativo, ascesa e caduta, appropriazione e rinuncia convivono
indissolubilmente. Non è forse vero che la scrittura è definita dall'azione
simultanea di due movimenti di senso opposto? Ecco perché il poeta nomina un
permanere che è anche un andare verso, perché la parola divenga ciò che è. Le
“narrazioni” che noi proponiamo alla lettura prevalentemente si riferiscono
proprio a questo “itinerario della parola nel testo” (come abbiamo titolato un
fascicolo di molti anni fa). Ma non escludiamo racconti per così dire
“tradizionali”, con i loro personaggi, le loro trame... Esempi sono le
narrazioni recentissime di Yves Bonnefoy
e Pascal Quignard, oppure quelle di Gabriella Drudi e
Giacomo Bergamini... Per non parlare di un fascicolo
interamente dedicato a “I romanzi”. Comunque, sì, la percentuale è minima
rispetto alla poesia e alla prosa poetica. Prima accennavo alla grande
tradizione europea e mi rendo conto che non posso lasciare la frase in sospeso così,
senza aver fatto almeno qualche esempio. La ricerca alla quale mi riferisco è
quella che ha le sue radici nella Grecia arcaica dei Nomothetes
e si inoltra con decisione nell'aperto a cui conducono le strade tracciate da Arnaut (le sestine), Petrarca (Fragmenta), Scève,
Ronsard (Sonnets pour Hélèn), Jodelle (i sonetti), Nerval, Jean de Sponde, Hölderlin,
Rimbaud (Illuminations),
Mallarmé, Rilke, Ungaretti,
Char, Celan, Zanzotto. Una
poesia che abbraccia, per riprendere una tua bella espressione, la vocazione
alla filosofia della poesia.
E' una domanda provocatoria, ma fino a un certo punto. Viviamo in
un'epoca di materialismo sfrenato, dominata da bassi istinti, una sorta di
oscurantismo che progressivamente ha addormentato le coscienze e ha facilitato la
supremazia dell'apparire sull'essere. I sentimenti sembrano relegati a memorie
preistoriche, la cultura viene vista come un pericolo e l'intellettuale è
gradualmente emarginato; si è perso il ricordo del passato, si vive un
illusorio presente e sembrano cadute le speranze per un futuro migliore. In
questo contesto, secondo te, la poesia può avere un avvenire?
Come non essere d'accordo
con quello che affermi? I tempi che viviamo sono più del calcolare che quelli
del meditare. Anziché proteggere la sua felicità, l'uomo si dà un'esistenza
pietrificata; via via s'infligge progressive
mutilazioni. Di fronte all'economia della sopraffazione dell'uomo sull'uomo e
contro la stasi dell'intelligenza si possono scegliere varie strade. Una la
indica Cacciari quando, riferendosi ai neoliberisti, afferma che «dobbiamo
essere infinitamente, radicalmente e coerentemente più globali di costoro».
Cosa significa? Vuol dire ricominciare da ciò che resta della comunità
originaria, dove trova dimora il linguaggio, dicendo a chi è vicino che «non è
solo» e prendendo sul serio le proposte di libertà e di uguaglianza e di
opportunità che la Rete
e la Globalizzazione
consentono. Che è un po' quello che tu fai, Renzo, con il tuo sito e con le tue
periodiche newsletter. Ricominciare da ciò che siamo e da come lavoriamo
andando dal locale al globale, navigando tra le comunità della Rete e ritornare
nella nostra comunità originaria ampliando con ciò che viene dalle altre
diversità i fondamenti della nostra cultura locale, delle nostre tradizioni,
della nostra lingua. Cercando di cambiare in senso a noi favorevole
questo nostro vivere. Insomma, il disagio che ci opprime, se può essere
scatenato da altri, è stato tuttavia da noi accolto senza troppe
difese. E col tempo è divenuto quasi una forma di vita alla quale difficilmente
sentiamo ora di poter rinunciare. Essere pensati da altri alleggerisce il peso
della nostra esistenza. Questo è vero. Ma lo riteniamo anche giusto?
Partendo da queste
considerazioni, torniamo alla poesia, perché vorrei rispondere compiutamente
alla tua domanda: c'è un futuro per la poesia? Domanda alla quale io ne
aggiungerei un'altra: c'è un futuro per l'essere umano? La risposta in entrambi
i casi è sì, purché ci si riferisca agli esseri pensanti e alla poesia pensante.
La possibile definizione
di essere pensante è questa: un essere che non si lascia pensare da un altro
essere o da una macchina. E la poesia pensante? La possibile definizione di una
poesia pensante è questa: una poesia che non si lascia pensare da un'altra
istanza; una poesia che in qualche modo sia il prodotto di un'esposizione e di
un ascolto nei confronti delle cose senza mediazione. E questo perché la parola
non abbandoni totalmente l'inquietudine dell'enigma per la quiete della
ragione. Infatti, per la parola poetica non si tratta di afferrare le cose,
come vorrebbe la ragione, ma di incontrarle.
Nominando la cosa, la
parola poetica le assegna il suo destino. Ma nel farlo paradossalmente scava un
abisso tra sé e la parola della comunicazione. Scava un solco tra sé e lo
spirito del tempo. Proprio questo solco ha caratterizzato la poesia dal momento
in cui gli uomini sono passati dalle parole prime, originarie, alle parole
riflesse. E finché gli uomini si accontenteranno delle parole riflesse sempre ci
sarà la necessità che qualcuno, il poeta, ricordi loro – magari attraverso le
pagine di una rivista – che la parola non è sono uno “strumento” ma anche una
“forma di vita”, per citare, insieme, una tematica di “Anterem”
e Wittgenstein. In questo compito è racchiuso il futuro della poesia.
Con questa risposta, ampiamente esauriente, a una domanda di
carattere del tutto generale siamo tornati alla rivista “Anterem”,
che è poi l'oggetto del nostro colloquio, con la speranza anche che queste
apparenti divagazioni siano servite a dare almeno un'idea dell'impostazione e
degli scopi della stessa. Quindi è un laboratorio di ricerca, mai ripetitivo,
sulla poesia, un periodico che si potrebbe definire unico nel suo genere e che
non si accontenta di essere solo letto, ma che esige un maggiore
coinvolgimento, in quanto oggetto di studio.
Ora non resta che appagare la curiosità passando alla materialità
della rivista e pertanto la domanda è questa: dove è possibile acquistare Anterem, come, quanto costa un numero ed eventualmente
quant'è il prezzo di un abbonamento annuale?
Un numero costa 15,00 euro, ma data la tipologia della rivista sono pochi i
lettori “occasionali”. Tutti coloro che ci seguono (studiosi, poeti,
appassionati) scelgono di abboanrsi. In ciò siamo premiati,
io credo, sia per la qualità dei testi che pubblichiamo, sia per la coerenza
delle nostre proposte letterarie, ma anche per la regolarità con la quale la
rivista viene pubblicata.
Prevediamo due forme di
abbonamento. Entrambe sono biennali e molto vantaggiose.
La prima costa 50,00 euro
e dà il diritto di ricevere con regolarità quattro numeri di “Anterem”.
La seconda costa 100,00
euro e prevede che insieme alla rivista vengano forniti per due anni tutti i
libri pubblicati da Anterem Edizioni e tutti i libri
di poesia editi da Cierre Grafica (complessivamente
non meno di 20 volumi, oltre ai quattro numeri di “Anterem”).
Giusto il richiamo alla produzione della
Anterem Edizioni, anche perché Anterem non è solo una rivista di ricerca letteraria, ma è anche
una casa editrice, è pure un premio di poesia (Lorenzo Montano), è un centro di
documentazione della poesia (presso la Biblioteca Civica
di Verona, è un sito web (www.anteremeedizioni.it), è una biennale di
poesia ( e ogni edizioni prevede eventi poetici, artistici e musicali). Quindi
non è esagerato affermare che Anterem è una struttura
dinamica culturale che si realizza in diverse forme partendo dall'idea
originaria. Personalmente credo che la sua funzione finisca con l'essere divulgativa e contribuisca pertanto a una crescita
di conoscenza di cui ci sia da essere fieri, soprattutto in un periodo quale
l'attuale, oscuro, letargico e distopico.
Non so se questa lunga chiacchierata sia riuscita a
rappresentare adeguatamente il valore della rivista, ma
credo che almeno siamo riusciti a far sorgere una naturale curiosità per la
stessa tale da indurre a cercare di leggerla, pur nella consapevolezza che
l'approccio non sarà dei più facili; al riguardo ritengo opportuno precisare
che il leggere non deve essere sempre solo uno svago, ma dovrebbe rappresentare
l'occasione per un accrescimento culturale e a questo scopo Anterem è dedicata.
Ringrazio Flavio Ermini per la
disponibilità dimostrata e lo saluto con l'augurio che questa sua creatura
continui a crescere come nei suoi primi trent'anni.