Fulvio Tomizza
(1935-1999)
a
cura di Grazia Giordani
Immaginate un ragazzo di
bell'aspetto, vagheggiato dalle mule triestine per i suoi occhi di velluto,
dotati di irresistibile languore. Pensatelo sradicato, spaesato, rifugiato a
Trieste, questo
avvenente ventenne che si è lasciato alle spalle la sua Istria tanto amata,
dovuta abbandonare quando la sua adorata penisola istriana è passata sotto l'amministrazione jugoslava.
Era nato nel 1935 da una famiglia
della piccola borghesia a Giurizzani (Juricani in croato), vicino a Materada, dove i suoi genitori
erano proprietari di piccoli appezzamenti di terreno. Precocemente dotato di
senso artistico e di predisposizione alla scrittura – conseguita la
maturità classica a Capodistria – passò
temporaneamente a Belgrado e a Lubiana, occupandosi di teatro e di cinema. Qui,
infatti, girò come aiuto regista un film che venne presentato al festival di
Venezia.
Ma noi prendiamo a immaginarlo poco
più che ventenne, negli
anni triestini, ricongiunto alla madre, dopo la tragica morte del padre –
sospettato dai soldati titini di ribellione al
regime. Proprio in questi anni conosce la giovane, poco meno che coetanea Laura
Levi, una signorina di buona famiglia, con cui intreccerà una delicata storia
d'amore e che diventerà presto sua moglie.
Ventiduenne, nel 1957 vinse il suo
primo riconoscimento importante al “Cinque Bettole” di Bordighera
con tre racconti (in commissione: Giancarlo Vigorelli,
Carlo Bo, Bonaventura Tecchi,
Carlo Batocchi e Italo Calvino). Quegli stessi racconti d'esordio, erano stati
molto lodati dal futuro suocero (quel mulo el ga ciaf !)
La famiglia di Laura avrà grande
importanza nella vita e nella formazione di Fulvio, molto pieno di ammirazione
per l'estro artistico del suocero, musicista di valore, docente di storia della
musica all'Università di Trieste.
La nostalgia per la sua terra lo
spingerà a scrivere nel 1960 il suo primo romanzo di grande successo Materada in cui narra la storia di una famiglia
che – al consolidarsi del regime comunista -
lascia tutto dietro le sue spalle e parte. Autobiografica più che mai,
questa sua opera prima, risveglierà l'interesse della critica letteraria non
solo nazionale, piena di ammirazione per il valore epico del racconto di un
popolo diviso alla ricerca di una nuova identità. Sarà Francesco, istriano di Materada, qui nom de plume del nostro Fulvio, a decidere di abbandonare il suo paese,
strappando le radici che lo legano a una terra aspra e fertile che ora gli è
negata e contesa. Con i nuovi trattati del 1954 la zona B dell'Istria in cui Materada è inclusa – viene assegnata definitivamente alla Jugoslavia, anche se è permesso
scegliere se restare o emigrare verso Trieste. In questo lacerante scenario storico il venticinquenne autore racconta le
sorti di un popolo disorientato e straziato da rancori, odi e vendette
sanguinose, registrando che in Istria – dopo un repressivo fascismo –
subentrava un radicale comunismo.
Materada, 1961, Mondadori, pp.175,lire 1.000
Cap. I (prime due pagine
da: “La guerra tutti l'abbiamo provata a “in
quel pezzo di carta ingiallita”.)
Cap. XIII (p.142 da “Umago è per me il più bel posto del mondo” a
“qualche donna si è poi affogata”.)
pp. finali: 174, 175
Tre anni dopo Materada,
compare il racconto drammatico La ragazza
di Petrovia
che ci parla ancora di un popolo che alla fine della seconda guerra mondiale è
stato costretto dagli eventi politici a lasciare casa, terra e famiglia per
stabilirsi in Italia, nei “campi di raccolta” vicini a Trieste, sperando in una
nuova esistenza, in mezzo a squallori e nuove discriminazioni. Protagonista del
romanzo è Giustina che, in attesa di un figlio, vivrà un amore senza speranza., al
quale segue Il bosco di acacie in cui
l'autore parla ancora dell'esodo degli
italiani d'Istria offrendoci un concentrato di grande bellezza di stile e
contenuto per l'azione incalzante, per i silenzi e i risvolti freudiani del
protagonista quando accompagna il padre a morire in una terra che non è la sua.
Nascita e morte inducono a un'analisi psicologica di raro spessore.
Nel 1969 Tomizza
guadagna il Viareggio il primo premio di grosso
spessore con L'albero dei sogni
(personaggio principale è il padre che è stato per lo scrittore una autorità
alla quale aveva forse trasgredito. Quindi, per ovviare ai sensi di colpa –
tema ricorrente nella scrittura tomizziana formatasi
alla scuola dell'amato Dostoevskij – lo scrittore si autoanalizza.
Il racconto poggia su uno sfondo autobiografico di un autore che sente di
scrivere “non solo per vocazione, ma anche per una piccola missione”.
1977 Questo è l'anno del capolavoro
di Tomizza
La
miglior vita, “epica della frontiera”, meritatissimo Premio
Strega. Romanzo corale, cronaca attraverso gli anni, di un villaggio istriano
di confine, Radovani, narrata dal sacrestano Martin Crusich che ha servito messa a sette suoi parroci. Il
romanzo abbraccia uno spazio ampio, comprensivo di tutto il ‘900, in una terra
mista di stirpi, dominazioni e religioni, ovvero due grandi guerre, mutamenti
di nazionalità, esodi volontari o forzati, molte morti,
una rivoluzione socialista, un'epidemia di vaiolo, un terremoto.”Continuavamo a
trovarci in piena guerra per l'eterna questione dell'essere
italiani e dell'essere slavi, quando in realtà non eravamo che bastardi”
– dirà il sacrestano, interpretando il pensiero dell'autore. Memorabili alcuni
dei sette parroci: Don Stipe, il cappellano biondo che sogna invano una
riscossa, anche religiosa, dei popoli slavi e incoraggia le nozze di Martin con
Palmira. C'è il prete vessato dalla sua perpetua e
quello che la vessa, il sessuofobo e – infine – don Miro che è stato partigiano
con Tito, straziato da un amore pericoloso con una maestrina del villaggio, per
non arrendersi, si
distrugge di vino e di cancro. Con la sua morte, Radovani,
in regime socialista, non avrà più parroci. Nella deserta canonica alloggerà
Martin, divenuto guardiano dei ricordi. Un modesto nonzolo è dunque in grado di
ricreare il passato, di rispecchiare il presente, di additare il futuro. Tomizza gli ha assegnato il compito di fare storia con la cronaca,
di estrarre la cronaca dalla storia, visualizzando la politica dei regimi, dei
fascisti, dei partigiani, del mondo
ricco e povero, dei fedeli, degli agnostici, dei giovani e dei vecchi
La miglior vita, 1996, Oscar Mondadori,
pp.310, Lire 13.000
Capitolo I (da “La mano mi trema” a
“mito di fuoco”)
Capitolo III Prima pagina
Ultime due pagine del
romanzo
Nel 1984 esce Il male viene dal Nord con radici nel passato della
Controriforma. Il capodistriano
Paolo Vergerio il Giovane si sposta verso il
Protestantesimo.
1986. Nel romanzo Gli sposi di via Rossetti l'autore
ricorre ad una corrispondenza privata
per narrarci di due giovani sloveni –
residenti a Trieste – terminata in tragedia con la loro morte. Siamo nel 1944..
Trieste è chiusa nella morsa dell'occupazione tedesca e nel contempo percorsa
dalla diffidenza e dall'odio che oppongono la maggioranza italiana alla
minoranza slovena. Tomizza ritrova un gruppo di
lettere d'amore scritte da Stanko Vuk
– incarcerato per cospirazione antifascista - alla moglie Dani, i due sposi poi assassinati. L'autore s'interroga quindi sulla qualità di
quel sentimento d'amore.
Questo è un romanzo a cui sono
particolarmente affezionata perché ha segnato l'inizio della mia fraterna
amicizia con l'autore con cui – da quell'anno, fino alla sua morte – ho
intrattenuto anche una fitta corrispondenza.
Con il suo arrivo a Badia – il 30 marzo 1987 – mi è stao
affidato il compito dalla biblioteca – di fargli da chaperonne – conducendolo a visitare i monumenti della nostra piccola città.
Lunghe ore di dialogo umano e letterario hanno lasciato un segno profondo nei
miei ricordi.
Gli sposi di Via
Rossetti, 1986, Mondadori, pp.197, lire 18.000
Parte Seconda (pp.110-112, pp.158-159;
pp.195-197)
I
rapporti colpevoli, uscito nel 1992 ,
regalerà un cemento tutto speciale alla storia della nostra amicizia perché
venerdì 12 marzo 1993, l'autore lo presentò in Accademia dei Concordi a Rovigo
in “tandem” col mio romanzo Hena. Secondo Zanzotto ci
troviamo davanti le pagine
più belle e rivelatrici di tutta
la sua opera”. Questo è un romanzo più che mai psicoanalitico, di
autopunizione in cui passato, presente e futuro si coagulano in un unicum di
rara suggestione. Un vero cocktail di dostoevskijani
sensi di colpa. Siamo di fronte a una kafkiana chiamata in giudizio. Sfilano
davanti ai nostri occhi varie città. Surreale, onirico e salvifico, poiché da
questa scrittura l'autore si è sentito purificato.
Sono le donne della sua vita, la madre, la
moglie, la figlia, che ognuna in modo diverso, più o meno consapevolmente,
limitano quei bisogni o ne impediscono la gratificazione. Donne che egli ama e
verso le quali sente di avere dei doveri, cui adesso {la cinquantina, età
dell'andropausa e di bilanci punto o poco rassicuranti) vorrebbe
"disubbidire". Ma slacciarsene significa provare sensi di colpa e
rimorsi, che bisogna far ricadere sulle donne col suo suicidio, per far sentire
colpevoli loro e punirle così delle sue mancate gratificazioni. Un suicidio,
quindi, come mancanza di gratificazioni.. Il romanzo –
finalista al Campiello – ha vinto l'ambito premio Boccaccio.
I rapporti colpevoli, 1992, Bompiani, pp.327,lire
30.000
Capitolo Secondo (p.35 da “quasi tutte” a “disponibilità erotica”)
Franziska, agosto 1997, Mondatori, pp.225, lire 27.000
Per la
rivista fiorentina II Portolano ho recensito il volume che Fulvio mi ha
fatto avere prontamente.
Recensione. Franziska
di Fulvio Tomizza, Mondadori
“E' fuor
di dubbio che quando Tomizza - istriano di nascita e
triestino d'adozione -, intinge la penna nei suoi temi di frontiera per narrare
vicende di minoranze etniche che gli stanno fortemente a cuore, la sua vena di
scrittore ritrova tutto lo smalto dei bei tempi, di quando con romanzi di
elevato spessore quali L'albero dei sogni o La miglior vita, riceveva i premi
Strega e Viareggio.
Con Franziska,
sua ultima figlia letteraria, uscita per i tipi della Mondadori, lo scrittore
ci offre uno struggente e delizioso ritratto di donna, ricostruito e immaginato
sulle basi di un epistolario originale. Possiamo constatare come la Storia corra parallela alla
vicenda privata della slovena del Carso e ci rendiamo conto, sollecitati dalla
penna dell'autore, di quanto appaia ai nostri occhi maggiormente accattivante e
letterariamente valida la vicenda privata dell'infelice protagonista, piuttosto
che l'inevitabile cornice storica reale che fa da fondale alla narrazione.
La nascita eccezionale (con Francesco
Giuseppe per padrino e la concessione in dono di mille corone, avendo visto la
luce nelle prime ore del secolo ventesimo), la vita tribolata della figlia del
falegname Skripac, il suo unico grande amore deluso,
offrono un vigoroso pretesto a Tomizza per
scandagliare con cuore sensibile l'animo femminile sul filo delle inesplicabili
incongruenze della vita.
Ritorna a galla il clima, l'atmosfera
in cui lo scrittore è vissuto ed è stato educato; dalla pagina emergono i suoi
convincimenti politico-storici, la sua personale visione della vita. Appare
nella pagina a linee maiuscole tutta la crudeltà del Novecento nei confronti
della Slovenia - patria di Franziska -, un'etnia
travagliata che solo da due anni è riuscita ad avere uno Stato. La protagonista
è toccata dalle due guerre e dalla persecuzione fascista, ma noi, in quanto
lettori, pur consapevoli della necessità ineluttabile di un back-ground
storico, siamo soprattutto attratti dalla parte umana e sentimentale del
romanzo, dall'amore che intercorre tra la giovane e il maturo (solo negli anni,
purtroppo) Nino Ferrari, l'italiano di Cremona, ufficiale sul Carso e poi
ingegnere a Trieste, resi emotivamente partecipi di un sentimento che si snoda
difficoltoso per gli impacci di due anime e di due culture, di due mondi che,
sfiorandosi, annaspano per capirsi. L'anno fatale dell'incontro è il 1918, la
storia ha un andamento positivo fino al 1921, poi - con l'affermarsi del
fascismo - l'incendio della casa del popolo, tutte le oppressioni storiche
coincidono con i tentennamenti dell' intiepidito
innamorato, un uomo amletico, indeciso, molto più borghese di quanto egli
stesso pensi di essere. Nino Ferrari, esteriormente è colto, un po' fuori dalla
norma, dotato di un'intelligenza sui generis, severo giudice di quella
grettezza provinciale di cui in realtà è succube, e l'ultima crudele lettera
alla sua sventurata donna rivela tutto il suo gelido egoismo. A Franziska crolla il mondo addosso. I passaggi psicologici
che ci descrivono il dolore, la delusione, la caduta intima della protagonista,
sono di raro vigore introspettivo.
Quello della giovane slovena è uno
dei più bei ritratti femminili dell' attuale
letteratura, dipinto con mano delicata, attenta alle sfumature, a quei sussulti
del cuore che solo un grande scrittore sa cogliere e sublimare.”
Franziska, 1997, Mondadori, pp.225, lire 27.000
Capitolo primo (prime
due pagine)
Capitolo quarto (pp.115,
116, 117)
Nel chiaro della notte, uscito nel marzo 1999 –
due mesi prima della morte dell'autore – è un'opera prevalentemente onirica ed autoironica
da me recensita nelle pagine culturali dell'Arena
Nel chiaro della notte di Fulvio Tomizza, Mondadori
“I SOGNI
SVANISCONO ALL'ALBA
Sarebbe piaciuto a Fellini un
racconto così. Ci riferiamo al primo, incontrato leggendo Nel chiaro della
notte, la silloge - fresca di stampa - che Fulvio Tomizza
ha pubblicato per i tipi della Mondadori. Il grande riminese che non è più fra
noi ne avrebbe saputo trarre uno di quei suoi film onirici in cui sogno e
realtà si fondono in un'amalgama
inquietante che intriga lo spettatore. E Il trio Mystic
- così si intitola il racconto d'apertura a cui facciamo riferimento - ha
proprio quel tono di favola, popolata di saltimbanchi, che intendiamo
sottolineare per coinvolgente incantamento e onirica magia.
"Dove saranno finiti Mystic, la sua bella figlia con le trecce castane, l'amante
Albina, prosperosa e dalle pupille rosse, priva di un pelo persino sul
sopracciglio, la quale cadeva in catalessi e nella
vita fungeva da matrigna?" - così esordisce Tomizza,
ospitandoci, senza preamboli, dentro il suo immaginario della notte e
rendendoci complici, fin dalle prime righe, delle sue fantasie più intime e
altrimenti inconfessate, entrando in un mondo dove tutto è possibile: che
l'autore venga accecato dalla bella Rosa, sua fidanzata e figlia di Mystic (per cui il campo visivo gli "venne occupato
dall'intera figura del capo che, ripartita in quattro sezioni, (gli) pareva
ulteriormente allungata e tetra"); che i morti parlino e ritornino a
morire ; che i congiunti o i paesani appaiano in età e in luoghi diversi; che a
Milano si possa arrivare con la nave (Come persi la nave per Milano); che Tomizza stesso abbia la facoltà di partire in aereo senza
aeroporto (come scrive in Volo individuale: "...io volo, ma mi ci vuole il
luogo adatto da cui staccarmi da terra. Non preoccuparti,
l'ho fatto altre volte, ci sono abituato".
I luoghi sono quelli in cui l'autore
ci ha da anni "trasportati", qui visti comunque con l'occhio
allucinato di chi sta sognando, o frammisti a posti irreali, che la carta
geografica ignora, in un mosaico di possibilità infinite. L'Istria,
il Carso e la Dalmazia
continuano ad essere terre d'elezione anche quando l'autore appoggia la testa
sul cuscino, poiché quello è il mondo che più ardentemente porta dentro di sé,
come in Visita ai miei luoghi, dove "la pioggia infittisce e tanto vale
puntare diritti sui nostri luoghi: miei e del vecchietto di Umago.
Anche per strada c'è ben poco da vedere. Il cattivo tempo appiattisce ogni
cosa, tutto appare grigio, fumoso, sprofondato in una stagione neutra che non
consente neppure alla terra rossa né ai roveri dalla
chioma fulva di assumere rilievo, colore. È l'eterno tempo di
un'Istria povera, lontana, dove la vita sonnecchia perfino nelle case e se
qualcuno azzarda a mettersi su una strada è per portare il grano al mulino;
fradicio quanto i buoi o l'asino".
Ci sono pagine molto forti in cui il
sogno è soprattutto incubo, come in Ultimo ritorno del padre, in cui la madre
porge ai fratelli Tomizza "la testa del padre
interamente stretta in pezze di lana" e ancor più in Donna crocifissa che
è forse il più cruento e straziante degli incubi dell'autore. A questo
proposito sarebbe troppo facile fare della spicciola psicoanalisi sui sogni tomizziani, sulle sue angosce della notte, sul suo bisogno
di attorniarsi della rassicurante cerchia di persone care: Laura, la moglie,
Franca, la figlia, i suoceri a cui è legato da affetto profondo, gli amici, la
gente semplice, la sua casa di Materada che sogna
invasa dei ladri. Timori dichiarati o sotterranei emergono da quell'antro
profondo della coscienza da cui Freud sapeva pescare a piene mani, frugando
dentro la nostra psiche.
L'autore de L'albero dei sogni (il
sogno già da allora aveva grande importanza nella sua pagina) con cui nel '69
vinse il Viareggio) e della Miglior vita (Premio
Strega del '67); degli Sposi di via Rossetti nel '93; dei Rapporti colpevoli
nel '94 con cui vinse il Boccaccio e di Franziska nel
'97 - quattro volte finalista al Campiello -, insignito a Vienna del Premio di
Stato austriaco per la letteratura europea, tradotto nelle principali lingue,
anche Nel chiaro della notte, pur nella malinconia onirica del suo raccontare,
ha spesso note di piacevole ironia che si fa autoironia ne Il premio dei premi
e amaro sorriso in Ultimo appestato a Venezia.
Nell'ultima
pagina, Tomizza si congeda da noi "nella piena
luce diurna", ormai il diafano chiarore della notte, con le sue magiche
suggestioni, lo ha abbandonato, i sogni sono lontani, svaniscono all'alba, ma
non tanto da non aver lasciato una scia opalescente di immagini e voci in
dissolvenza, anche nei nostri pensieri.”
Opere postume dell'Autore:
La
visitatrice, maggio 2000,
pp.127, lire
26.000
L'azione si svolge a Trieste nel
periodo successivo all'indipendenza della Repubblica di Slovenia. Una
misteriosa visitatrice resuscita i fantasmi del passato nella memoria di un
padre sconosciuto. L'uomo ripercorre il torbido periodo della sua giovinezza.
Basta il breve arco
di due notti a regalarci una storia amara e struggente.
La visitatrice, piè di pagina capitolo
sesto p.43 da “Vale la pena patire” a
fine p.44 .
Il
sogno dalmata, Mondadori, pp.176, lire 28.000, uscito nel maggio
2001
Da me così recensito nelle pagine
culturali dell'Arena
ISTRIA E DALMAZIA: DUE MONDI IN
CONTINUO CONFRONTO
""Il sogno
dalmata" è il romanzo che oso considerare il mio ultimo capolavoro" -
ha affermato l'autore - Fulvio Tomizza (1935-1999) -
forse presago di essere in procinto di consegnare ai suoi lettori il suo
estremo testamento letterario, con cui si è congedato da un pubblico attento -
fin dagli anni dello splendido "Materada"
(1960), de "L'albero dei sogni" (Premio Viareggio nel 1969) e de
"La miglior vita" (Premio Strega nel 1997) -, alla sua scrittura
asciutta venata di una poesia essenziale, in perfetta armonia con i paesaggi
scabri e gli stati d'animo sofferti, così esemplarmente descritti.
Lo "scrittore di
frontiera", come amava autodefinirsi, ha chiuso la sua produzione
artistica nella più grande coerenza tematica, parlando di quelle etnie
minoritarie e di quei luoghi geografici cari al suo cuore, che per anni hanno
scandito la puntualità della sua scrittura. Con questo suo romanzo di congedo,
l'autore compie un "viaggio" su duplice binario, ripercorrendo le vicissitudini
dei suoi avi dalmati fattisi istriani, ripercorrendo quindi egli stesso un
viaggio in senso inverso, in un clima di "reale finzione", secondo
una cifra narrativa da sempre a lui cara, approfondendo radici e spessore del
suo essere uomo ed artista.
Mito e storia, coralità ed esperienza
intima si rincorrono continuamente nella pagina, intrisa di realtà e sogno, in
linea con l' "allure" creativa maggiormente
conseguente e connaturata nell'animo dell'autore.
Nel Seicento prende riparo in Istria
una colonia di dalmati e di albanesi, al fine di sfuggire ai turchi e ritrovare
la consolazione di una nuova patria - con l'appoggio interessato della
Serenissima - sul desolato sfondo di una terra martoriata dall'epidemia della
peste.
La Storia si
ripete - sembra dire l'autore, che in effetti, spesso ha sostenuto nelle sue
opere, questa tesi di nietzcheana matrice dell' "eterno ritorno dell'uguale" (non è
difficile per noi, a questo proposito, operare un confronto con i fuggiaschi
che sbarcano attualmente sulle nostre coste pugliesi); anche ai fuggitivi del
passato, come a quelli odierni, tocca in sorte l'escamotage di traffici
criminali per la sopravvivenza, e - per soprammercato -, nel caso del romanzo,
la percezione di essere approdati in terre altrettanto aride di quelle
abbandonate.
La penna di Tomizza,
che comunque aveva tanto amato quei luoghi, da lui scelti per viverci in estate
(piantando addirittura con le sue mani in quell'arsa terra, un folto uliveto),
e per dormirvi il suo ultimo sonno, si fa particolarmente incisiva nel
descriverne l'asprezza pietrosa: "Tutti gli elementi del paesaggio
istriano si riproponevano inaspriti: le spine formavano da sole le siepi e
rispuntavano in altri cespugli sui prati, i massi di pietra non relegati nei
boschi riemergevano tra le viti e gli ulivi, il mare che si profilava sotto,
ora invitante, ora minaccioso, ribolliva nelle
strettoie tra la litoranea elevata e il dorso delle isole. Pecore
e capre brucavano quanto di verde trovavano saltando i macigni, ognuna col suo
campanaccio al collo, per dare notizie di sé".
Il romanzo, tra fantasia e verità, ci
offre anche il ritratto di un leggendario avo del narratore: Zorzi Jurcan, già combattente al
soldo di Venezia contro i pirati, futuro padrone del territorio, mentre il
raffronto tra i due mondi istriano e dalmata si fa insistente motivo conduttore
della narrazione.
Non manca l'amore - sentimento spesso
descritto nella tematica tomizziana (vedasi "Gli
sposi di via Rossetti" o lo struggente "Franziska",
solo per citare due fra le sue ultime opere) -, questa volta sbocciato tra lo
stesso narratore e una studentessa universitaria di Zara.
Al clima festoso ed ammiccante che
fiorisce intorno alla vicenda amorosa, descritta con toccante "levitas" lirica, farà da contrasto l'atmosfera
bellica, l'odore della guerra, poiché dopo le
infervorate giornate dell'indipendenza croata, scoppierà la guerra balcanica,
totalmente distruttiva.
Pagine percorse da un brivido
squassante di malinconia, uno spleen esistenziale che abitava realmente anche
dentro l'animo dell'autore, sempre consapevole della brevità della gioia,
sempre incline ad una sofferta felicità, portatore di due anime, come accade
agli esseri dotati di una sensibilità che travalica il normale sentire.”
Il sogno dalmata da metà p.168 “Un uomo diventa vecchio” alla fine del
romanzo.
Bibliografia
Materada, Milano: 1960.
La ragazza di Petrovia,
Milano: 1963.
La quinta stagione, Milano: 1965.
II bosco di acacie, Milano: 1966.
Trilogia istriana, raccolta, Milano: 1967;
comprende i raconti Materada,
La ragazza di Petrovia e Il bosco di acacie.
L'albero dei sogni, Milano: 1969.
La torre capovolta, Milano: 1971.
La città di Miriam, Milano: 1972.
Dove tornare, Milano:
1974.
Trick, storia di un cane, 1975.
La miglior vita, Milano: 1977.
L'amicizia, Milano, 1980.
La finzione di Maria, Milano: 1981.
Il male viene dal Nord, Milano: 1984.
Ieri, un secolo fa, 1985.
Gli sposi di via Rossetti, Milano: 1986.
Quando Dio uscì di chiesa, 1987.
Poi venne Cernobyl, 1989.
L'ereditiera veneziana, Milano: 1989.
Fughe incrociate, Milano: 1990.
I rapporti colpevoli, Milano: 1993.
L'abate Roys e il fatto
innominabile, 1994.
Alle spalle di Trieste, 1995; scritti dal '69 al
'94.
Dal luogo del sequestro, 1996.
Franziska, 1997.
Nel chiaro della notte, 1999.
La visitatrice, maggio 2000
Il sogno dalmata maggio 2001
Riconoscimenti letterari. :
1965 Premio Selezione Campiello (La quinta
stagione)
1969 Premio Viareggio (L'albero dei sogni)
1972 Premio Fiera letteraria (La città di Miriam)
1974 Premio Selezione Campiello (Dove tornare)
1977 Premio Strega (La miglior
vita)
1979 Premio del Governo Austriaco per ła
Łetteratura Europea
1986 Premio Selezione Campiello (Gli sposi di via
Rossetti)
1992 Premio Selezione Campiello; Premio Boccaccio
(I rapporti colpevoli)
Pagine da prendere in considerazione
per la lettura.
Materada, 1961, Mondadori, pp.175,lire 1.000
Cap. I (prime due pagine
da: “La guerra tutti l'abbiamo provata a “in
quel pezzo di carta ingiallita”.)
Cap. XIII (p.142 da “Umago è per me il più bel posto del mondo” a
“qualche donna si è poi affogata”.)
pp. finali: 174, 175
La miglior vita, 1996, Oscar Mondadori,
pp.310, Lire 13.000
Capitolo I (da “La mano mi trema” a
“mito di fuoco”)
Capitolo III Prima pagina
Ultime due pagine del
romanzo
Gli sposi di Via
Rossetti, 1986, Mondadori, pp.197, lire 18.000
Parte Seconda (pp.110-112,
pp.158-159; pp.195-197)
I rapporti colpevoli, 1992, Bompiani, pp.327,lire
30.000
Capitolo Secondo (p.35 da “quasi tutte” a “disponibilità erotica”)
Franziska, 1997, Mondadori, pp.225, lire 27.000
Capitolo primo (prime
due pagine)
Capitolo quarto (pp.115,
116, 117)
La visitatrice, piè di pagina capitolo
sesto p.43 da “Vale la pena patire” a
fine p.44
Il sogno dalmata da metà p.168 “Un uomo diventa vecchio” alla fine del romanzo