Ernesto
- Umberto Saba - Einaudi - Pagg. XXIV 160 - ISBN
9788806226961
- Euro 12,00
Nel
1953 Saba ha scritto il suo unico romanzo e lo ha fatto mentre si
trovava lontano da Trieste, a Roma, durante uno dei suoi innumerevoli
ricoveri dovuti alla sua condizione psico-fisica. Ho avuto il piacere
di leggerlo nella sua prima edizione Einaudi del 1975, arricchita da
"Tredici lettere di Umberto Saba in cui si parla di "Ernesto"
con una nota di Sergio Minussi". Il romanzo, come testimonia
questa corrispondenza, circolava tra gli amici più intimi del poeta,
sorprendeva ed emozionava, subiva importanti battute d'arresto e
nasceva accompagnato dall'intento dell'autore di non essere destinato
alla pubblicazione. Lo conosciamo grazie alla volontà della figlia
Linuccia.
Nella
sua esiguità, è sorprendente per una serie di caratteristiche che
gli sono proprie: è intimo e delicato ma al tempo stesso lucido e
spietato; ha il sapore dell'autobiografia, concorre infatti a
richiamare episodi noti della biografia del poeta; ricalca la poetica
dell'autore e regala un intenso ritratto della vera Trieste della
fine dell'Ottocento, attraverso la fine ambientazione realistica e la
quasi necessaria trasposizione linguistica, di questa essenza, nel
dialetto, che abbonda in ogni pagina e veicola i dialoghi tra i
protagonisti.
Si
tratta sostanzialmente del racconto di un breve periodo
dell'adolescenza tormentata di un ragazzo orfano di padre e che ha
come tutore uno zio. Sostanzialmente è un ragazzetto imberbe che
però già lavora, per volere materno, mentre frequenta un istituto
commerciale, in luogo del liceo che ha abbandonato. Si dimostra anche
come un biricchino, curioso e irrisolto, capace di oltrepassare i
limiti legati all'appartenenza sociale e soprattutto sessuale: entra
infatti a stretto contatto con un giovane uomo, garzone presso lo
stesso magazzino dove lui segue la contabilità e cura la
corrispondenza.
Viene
da lui iniziato al sesso...
La
narrazione non lesina particolari eppure non appare disturbante, il
focus è infatti da ricercarsi nel percorso interiore di questo
giovanotto che in fondo, sperimentando, ricerca se stesso, stretto
nella morsa dell'amore materno e nell'assenza della figura paterna.
La prospettiva è però quella a posteriori della voce narrante che
sa quale adulto, complesso e tormentato, diventerà Ernesto e lo
accompagna all'ingresso della vita matura con tenerezza e forse
rimpianto.
"Con
quella frase netta e precisa, il ragazzo rivelava, senza saperlo,
quello che, molti anni dopo sarebbe sato il suo "stile":
quel giungere al cuore delle cose, al centro arroventato della vita,
superando insistenze e inibizioni, senza perifrasi e inutili giri di
parole; si trattasse di cose considerate basse e volgari ( e magari
proibite) o di altre considerate, "sublimi" e situandole
tutte - come fa la Natura- sullo stesso piano. Ma allora non ci
pensava certo."
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