Intervista
con Flavio Ermini, Direttore della rivista di ricerca
letteraria “Anterem”
http://www.anteremedizioni.it/
“Anterem”
è il nome di un gruppo di poeti che promuove una rivista letteraria, quattro
collane editoriali, un premio di poesia, un centro di documentazione.
Il nome “Anterem” porge esplicitamente attenzione al valore prelogico della parola, chiamata a essere il luogo di
raccordo fra percezione e sensibilità. Si riferisce alla parola che non è
ancora il corrispettivo della cosa designata. Si rivolge, vichianamente,
alla parola che precede le forme tipiche della riflessione. Alla parola che
ancora non ha varcato quel limite oltre il quale la rappresentazione del mondo
comincia a scindersi in classificazioni.
La questione che il nome “Anterem” custodisce è questa: è ancora possibile dare vita
a una parola in grado di nominare ciò che ancora non è stato pensato? è ancora consentito al poeta di collocarsi, con la sua voce,
nel luogo della nascita delle parole, dove ancora le cose non ci sono e le
parole sono ancora un “prima”, un ante rispetto
alla cosa?
Le origini della vostra casa editrice?
“Anterem”
è una rivista letteraria. Fondata nel 1976 da Flavio Ermini
e Silvano Martini, si è subito istituita come un laboratorio di ricerca.
“Ricerca” quale tensione indeponibile dell'animo che
si pone in ascolto dell'incertezza e della fragilità. “Ricerca” che tiene conto
di tutti quei processi interiori dove positivo e negativo,
ascesa e caduta, appropriazione e rinuncia convivono indissolubilmente.
La ricerca alla quale si
rivolge “Anterem” riguarda la natura del pensiero
poetico, e pone a tema da più prospettive la fondamentale e controversa
questione sul senso che nel testo si articola e che della scrittura fa il luogo
della propria rivelazione.
“Anterem”
è il risultato del confronto tra ricerca individuale ed elaborazione teorica
collettiva, tanto che ogni numero si configura come un'opera organica,
commisurata al passo della realtà. E determina un incrociarsi ininterrotto di
riflessione critica e pratica poetica, in una libera espressione che trascura
le regole per attraversare saperi diversi. Tendendo a quella forma che non può
essere assimilata ad alcuna soluzione stilistica codificata.
Il gruppo di lavoro
editoriale che sta affrontando questo programma, mantenendo in vita un modo non
conformista di vedere le cose, è costituito da Giorgio Bonacini,
Davide Campi, Mara Cini, Flavio Ermini
(direttore), Marco Furia, Madison Morrison, Rosa Pierno, Ranieri Teti, Sirio Tommasoli, Ida Travi.
Nel corso degli anni, intorno alla rivista sono nate e cresciute
varie iniziative: quattro collane editoriali (“Itinera”,
“La ricerca letteraria”, “Limina”, “Pensare la
letteratura”) il Premio nazionale di poesia Lorenzo Montano – articolato in
quattro sezioni: poesia singola, raccolta inedita, opera edita, poesie scelte –
un Centro di documentazione sulla poesia contemporanea in collaborazione con la
Biblioteca Civica di Verona.
Quali sono gli elementi
di originalità del vostro progetto?
Il nostro lavoro
editoriale ha come oggetto della sua ricerca la natura stessa del pensiero
poetico. Con un fine preciso: elaborare nuovi eventi di scrittura e nello
stesso tempo dare vita a strutture di pensiero adeguate a parlarne. La proposta
originale che noi facciamo è questa: che ci si apra al fatto che la poesia
pensa. E a tutte le conseguenze che ciò comporta. Chiediamo che venga riconosciuta quella particolare forma di pensiero che
non è strettamente legata alla filosofia, alla religione, alla scienza, alla
psicoanalisi, alla politica... e che scorre in altro alveo: nella poesia. Per essere più espliciti: il pensiero che parla dalla poesia è un pensiero non
filosofico, non religioso etc., ma una provocazione a
pensare altrimenti. Con il fine di raggiungere i fenomeni della vita non
visibili e dunque inaccessibili con il linguaggio tradizionale: sono realtà
che, non nominate, si sottraggono, si trascinano via, per rispecchiarsi nel
silenzio, con il quale il linguaggio letterario si trova invece in stretta
comunicazione. Torna a farsi avanti con forza l'imperativo di Hanna Arendt: «Denken ohne Geländer»,
pensare senza balaustre. Ovvero
aprirsi al volto in ombra del pensiero. Ovvero esporsi alla libertà del senso e
al senso della verità.
Quale pensate che sia il futuro
dell'editoria in Italia e della vostra casa editrice in particolare?
Va ricordato che la parola
è lo statuto dell'essere umano, per la sua capacità di costituirsi limite su
cui le figure e le cose del mondo prendono la loro misura. È in questa tensione
che il linguaggio letterario le scopre differenti e dunque individualmente
esistenti. Tensione in cui si apre il fondamento, la regione originaria in cui
l'essere si manifesta.
Detto questo, va aggiunto
che la poesia deve essere pensata non come un rapporto sulle sensazioni, ma come l'organizzatrice diretta delle stesse. Come scrive Guy Debord, «si tratta di
produrre noi stessi».
L'editoria di qualità ha
questo compito: pensare alla letteratura in un modo meno volgare di come la
concepiscono le case editrici che lavorano privilegiando unicamente il lato
commerciale del libro. O che
cedono a una spettacolarità che dà in pasto la letteratura a una
platea che ancora vede nell'autore il diverso e il separato, di cui è interessante
conoscere la tastiera vocale, la tenuta del gesto, il colore dei capelli.
Come evitare il baratro?
Non certo con un felice isolamento.
«Si tratta di produrre noi
stessi»: mettendo in questione modelli e forme di vita, aprendo nuovi scenari.
Ognuno per sé, per la propria specificità. Perché fuori di sé non è proprio
possibile trasformare un bel niente se non si è capaci di trasformare se
stessi.
«Ogni risultato, ogni
passo avanti nella conoscenza è il prodotto del coraggio, della durezza con se stessi»
scrive Nietzsche. Aggiunge Wittgenstein:
«Chi non vuole discendere in se stesso perché è troppo doloroso, costui rimane
naturalmente alla superficie nello scrivere».
Insomma, ci vorrebbe
maggior tolleranza per le parti notturne della nostra anima, tenute al solito
accuratamente nascoste.
In Italia si legge poco:
di chi è la colpa? Un po' anche delle case editrici?
I tempi che viviamo sono
più del calcolare che quelli del meditare. Anziché proteggere la sua felicità,
l'uomo si dà un'esistenza pietrificata, si infligge progressive mutilazioni.
Di fronte alla new economy e contro la stasi dell'intelligenza si possono
scegliere varie strade. La morbida nostalgia per il passato e la furiosa
resistenza sono forse i due sbocchi più semplici e immediati. Ma il “natio
borgo” non esiste più; non c'è patria in cui tornare. E la battaglia in campo
aperto è perdente.
Ma può esserci anche un
altro modo. Lo indica Cacciari quando, riferendosi ai neoliberisti, afferma che «dobbiamo
essere infinitamente, radicalmente e coerentemente più globali di costoro».
Cosa significa? Vuol dire ricominciare da ciò che resta della comunità
originaria, dove trova dimora il linguaggio, dicendo a chi è vicino che «non è
solo» e prendendo sul serio le proposte di libertà e di uguaglianza e di
opportunità che la Rete e la Globalizzazione
consentono. Ricominciare da ciò che siamo e da come lavoriamo andando dal
locale al globale, navigando tra le comunità della Rete e ritornare nella
nostra comunità originaria ampliando con ciò che viene dalle altre diversità i
fondamenti della nostra cultura locale, delle nostre tradizioni, della nostra
lingua. Cercando di cambiare in senso a noi favorevole questo nostro vivere.
Insomma, il disagio che ci
opprime, se può essere scatenato da altri, è stato tuttavia da noi accolto
senza troppe difese. E col tempo è divenuto quasi una
forma di vita alla quale difficilmente sentiamo ora di poter rinunciare.
Essere pensati da altri
alleggerisce il peso della nostra esistenza. Questo è vero. Ma lo riteniamo
anche giusto?
Come immaginate possa
essere il vostro lettore ideale? E quali passi per avvicinare i lettori ai
libri da voi editi?
Il lettore ideale? Il
prototipo dell'essere pensante: un essere che non si lascia pensare da un altro
essere o da una macchina.
Bisogna conquistare
integralmente la realtà, se si vuole che l'immaginazione prenda il volo. Questa
è la rivoluzione culturale a cui ci invita la lotta
contro il neoliberismo e la globalizzazione. Contro
una società che trasforma la parola in merce. E la rende servile.
Sarà una lotta di lunga
durata. Probabilmente l'araba fenice dello spirito creativo dovrà attendere
ancora a lungo nel suo vaso cinerario.
Ma è scritto: «Saremo
giudicati non se avremo vinto, ma se non avremo lottato» (San Marco, Vangelo).
Come ci indica Hölderlin: «Molto c'è da trovare, e di grande, e molto vi è
oltre».
I passi? Quelli che
possono portare, come dicevo prima, a ricominciare da ciò che resta della
comunità originaria.
Quale dei vostri libri vi
ha dato le maggiori soddisfazioni e perché?
Più che a un singolo
libro, siamo affezionati soprattutto a una collana: “Itinera”.
Questa collana presenta poeti, narratori e pensatori che per la redazione di “Anterem”, da cui è curata, costituiscono un punto di
riferimento nel mondo letterario contemporaneo. Ogni volume è dedicato a un
autore e ha carattere antologico; nel senso che presenta una selezione di testi
che coprono i vari versanti dell'intera sua produzione. Tali testi sono
normalmente accompagnati dalla prosa riflessiva dello stesso autore e da note
critiche, nate da lunghe visitazioni e profonde affinità, di altri autori.
Finora ci siamo interessati alle opere di Giuliano Gramigna, Edoardo Sanguineti, Alfred Kolleritsch, Alfredo Giuliani, Ginevra Bompiani,
Antonio Prete. In “Itinera” sono
pubblicate tre antologie di letteratura contemporanea: Ante Rem, con premessa di Maria Corti; Verso l'inizio, con premessa di Edoardo
Sanguineti; Poesia
europea contemporanea, con premessa di Clemens-Carl
Härle. Quest'ultimo volume, curato da Agostino
Contò e Flavio Ermini, è frutto di una coedizione con la Biblioteca Civica di Verona e Cierre Grafica. Anche questo elemento dà l'idea che quanto
a noi interessi il lavoro quale confronto di più intelligenze.