Alle radici del
brigantaggio
di Pietro
Zerella
Parte XX
Monte Taburno base dei reazionari
Cipriano La Gala (qualche altra fonte Cipriano DELLA Gala)
Il monte Taburno, è stato il protagonista di gran parte delle azioni
dei partigiani (1860-1870). Situato nella
catena degli Appennini, è ricco di caverne e dalle quale, forse, ne deriva il
nome: (Taburno- monte delle Taberne);
queste cavità offrivano facili ricoveri e sicuri nascondigli ai rivoltosi
(almeno dieci bande). Il Taburno è un monte famoso,
ne celebrarono la bellezza, i poeti dell'antichità come Virgilio, che l'ammirò
passando dalla via Appia diretto a Brindisi con Orazio, Mecenate, Varo, e altri
studiosi.
Publio Virgilio Marone, massimo poeta del mondo latino, esperto della
cultura agreste, durante il viaggio per Brindisi, in compagnia di Orazio, fu
colpito dalla flora e dalla fauna della Valle Caudina. Al verso 38 del II libro
delle Georgiche, menziona il Taburno e lo indica
adatto alla coltura degli ulivi: “ e rivestire il grande Taburno
con uliveti”
Carlo III di Borbone (1), ne aveva fatto un
deposito estivo dei cavalli stalloni dell'esercito.
Tra la fine del 1860 e l'inizio del
1861, il Taburno diventò una montagna strategica per
le comunicazioni tra la Campania, le Puglie e la Basilicata. Ottima base per la
guerriglia delle tante bande filo borboniche. Da questo monte, i rivoltosi
partivano per impedire le comunicazioni dell'esercito piemontese tra il Tirreno
e l'Adriatico.
La fitta abetaia e il terreno
accidentato e le caverne, erano preziosi alleati per l'occultamento di uomini e
cavalli e per organizzare imboscate contro il nemico.
Per farne il suo quartiere generale,
scelse questa montagna, il capo massa Cipriano La Gala. Aveva ai
suoi ordini una banda di ben trecento uomini (qualche altra fonte parla di
cinquecento uomini) organizzati in commandos di non più
di dieci persone. Questi gruppi organizzavano continue sortite contro i
territori di Cancello, Nola, Caserta, Limatola, Durazzano,
Arpaia, Sant'Agata dei Goti, Cervinara.
Per il ritorno di Francesco II sul trono di
Napoli, La Gala arruolava gli uomini pagandoli con il denaro del comitato
centrale borbonico di Napoli. Quando finirono le sovvenzioni, La Gala fu
costretto a provvedere da sé. Ricorse al sistema delle estorsione di denaro ai
liberali e ai possidenti, non risparmiando i preti.(2)
Le bande, vere e proprie strutture
politico-militari avevano come scopo il combattimento. Esse erano sempre
guidate da un capo, da cui venivano pagati. Il capo si distingueva tra gli
altri per abilità, energia e coraggio e andava all'attacco sempre davanti agi
altri. La Gala poteva contare oltre che
sulla sua banda anche su un migliaio di affiliati che si riunivano e si
allontanavano secondo la necessità o fornivano ai briganti denaro e viveri.
Di solito ogni banda si procurava
le armi con colpi di mano contro i corpi della guardia nazionale o negli
scontri con i Piemontesi, ma in generale erano armati di fucile da caccia
tipico dei contadini. Qualche volta La Gala, a corto di armi poté contare sulla
solidarietà popolare e anche sulla collaborazione di militi come fu il caso di
Francesco Frecentese e Nicola Pinta, militi della
Guardia Nazionale di Palma. Questi furono espulsi dalla milizia perché, in un
giro di perlustrazione, si erano allontanati dai commilitoni raggiungendo gli
uomini di Cipriano per poi ritornare completamente disarmati. (3) L'indomani la
banda, avendo bisogno di altre armi, occupò Cervino e Durazzano
requisendo i fucili dai locali posti di Guardia.
La banda aveva molti centri
direttivi provvisti di larga autonomia. I gruppi più piccoli, formati da pochi
individui, avevano incarichi minori e non di rado fungevano da avamposti o da
fiancheggiatori di bande più grandi quando erano preposte all'invasione di
villaggi, contrade o interi paesi.
Lo studioso Franco Molfese nella sua “storia del brigantaggio dopo l'Unità”
scrive che i briganti effettuavano “scariche improvvise sul fianco delle
colonne avanzanti e attacco principale da altre direzioni, in località
dominanti accuratamente scelte, con vie di ritirata sempre aperte per i boschi
o verso monti”.
La banda per avere successo nei
suoi attacchi e per sfuggire ai soldati, aveva bisogno del supporto di amici
fidati “manutengoli”, di spie, di conniventi. Questi erano contadini, pastori,
artigiani, parroci e anche guardie civili.
Diventò famoso il raggruppamento
capeggiato da Angelo Bianco, noto come Turri Turri, che, forte di cinquanta uomini, si lanciò
all'assalto di Sirignano.(4)
A Visciano,
la sera del 24 giugno 1861 duecento uomini guidati di Crescenzo
e Cipriano occuparono il paese, suonarono le campane a stormo e inneggiarono a
Francesco II distruggendo i ritratti di Vittorio Emanuele e Garibaldi. Nello
stesso giorno, la banda invase pure Pago e Migliano:
la tattica era sempre la stessa: Crescenzo bloccava
il paese dall'esterno, Cipriano lo invadeva assalendo la casa comunale e il
posto di guardia, requisendo fucili e viveri. (5)
La Gala, forte di un largo
consenso popolare, con i suoi uomini controllava i distretti di Nola e Caserta
sino all'Irpinia, al Taburno, al Sannio.
Era evaso nel 1859 dal bagno penale di Castellammare di Stabbia, dove stava
scontando una condanna a venti anni di lavori forzati “per furto accompagnato
da pubblica violenza”. Riuscì a evadere dandosi alla macchia.
I giudici di Santa Maria Capua Vetere lo definirono: “ una figura torva dalla corporatura
solida, la fronte alta, gli occhi aguzzi, dalla mascella prepotente su cui si
stagliava una barba ruvida, tutto ciò concorreva a circoscrivere una fisionomia
dura, folle, ribelle. “Un assassino, uno corridore di campagna.. un malfattore
volgare, un uomo dedito al sangue, alla rapina, un uomo che mangia le carni del
suo antico compagno di galera.” (6)
Cipriano dal 1860 si batte per la
causa di Francesco II. M. Monnier lo definisce:
“forzato evaso, capo di banditi e generale borbonico, assai più avventuroso e
più importante di Chiavone…”.
La banda La Gala, e l'autrice di
delitti, a volte raccapriccianti come atti di cannibalismo, di grassazioni, di
sequestri, di assalti a villaggi e masserie, treni e diligenze. Furono
tantissimi i colpi di mano e i delitti, ma non tutti in nome di Francesco II.
Particolarmente crudele era il fratello Giona.
La resa dei conti arrivò alla
fine di dicembre '61. La banda braccata da ogni parte, da Benevento, Caserta e
Napoli; si divise in piccoli gruppi per eludere la vigilanza dell'esercito e
guadagnare il confine pontificio.
La sera del 6 gennaio 1862, i
militi ebbero notizia che Cipriano si aggirava nel territorio dei Mazzoni di Capua, usando come ricovero durante la notte,
una casa di Casal di Principe:(7)
“I carabinieri di Capua ricevono
l'ordine di recarsi sul posto e accerchiare la casa. Il sergente Luigi Monti e
il maresciallo Giacomo Gedda lungo il percorso, intimano l'alt a vari uomini a
cavallo. Non si ottempera al comando. Gli uomini si danno alla fuga, meno uno
che viene riconosciuto nella persona di Angelo Menniello,
manutengolo, è obbligato a dare le indicazioni necessarie per arrivare al
rifugio. Nella casina, tutti dormono meno Cipriano che sveglia i suoi e insieme
con Giona e Domenico Papa, si apre un varco tra i
militi sparando su di loro ed uccidendo il maresciallo Gedda. Nella sua
sortita, è favorito dall'oscurità e dalla pioggia battente; Non fanno a tempo a
porsi in salvo Aniello Mercogliano, un ex sequestrato
obbligato ad aggregarsi nella banda, in cui è rimasto sei mesi e due guardiani
di bufali che hanno concesso l'ospitalità. Arrestati i tre, si procede
all'inseguimento e il contadino Carlo Guerra proprietario della masseria
Bonito, ammette di aver dato aiuto a tre uomini, di cui uno ferito gravemente
alla mano. Nell'impossibilità di fornire bende, ha stracciato una camicia e
dato un asino al ferito. Antonio Federico, Ferdinando Santoro, Francesco
Gravante, Marcello Petrella e i sacerdoti Vincenzo e
Giovanni Caianiello, hanno riconosciuto nel ferito
Cipriano La Gala. I tre raggiungono il confine e si mettono al sicuro. Una
fitta rete di omertà li protegge, finché amici potenti procurano ai La Gaia, a
D'Avanzo e Papa un passaporto con tanto di visto dell'ambasciata di Francia per
Marsiglia e della legazione di Spagna per Barcellona”.(8)
I quattro fuggiaschi, con uno
stratagemma, furono arrestati il 10 luglio 1863 nel porto di Genova, sul
piroscafo Aunis (nave francese delle messaggerie
imperiali). La nave era diretta a Marsiglia. Durante l'assenza del capitano,
sceso a terra per vidimare le carte di bordo all'Ufficio di Sanità portuale,
salirono sul vapore un commissario di polizia italiana, agenti e carabinieri e
arrestarono i quattro, in aperta violazione della Convenzione consolare
italo-francese. (9) Alla fine si trovò un compromesso diplomatico. I quattro
furono, riconsegnati alla Francia con l'accordo che le autorità transalpine
restituissero i detenuti agli italiani. Il 7 settembre i francesi li
riconsegnarono alle autorità italiane.
L'arresto di La Gala e compagni
decretò anche quello del principe Medici di Ottajano,
accusato di aver contribuito a mantenere e armare le bande del Taburno. (10)
Dalle carte processuali si conosce
la famiglia di Cipriano La Gala:
“La madre di Cipriano Della Gala, il
fratello di lui Romano e la germana Marta erano tutti indiziati come coloro che
provvedevano a somministrare ogni sorta, fu l'Autorità politica della Provincia
obbligata “ ad arrestarli.”La prigioni di quai tutta la
propria famiglia determino Cipriano della Gala a tentare l'ardito colpo di mano
per liberarla, il quale nelle sue conseguenze, e ne frutti posteriori ha
dimostrato essersi egli sospinto a quell'andare diversamento
non tanto per la salvezza e liberazione de' suoi, quanto per farsi il campione
della causa della reazione politica, la quale negli scorridori
di campagna e negli uomini volti ad ogni generazione di misfatti trova soltanto
i suoi sostenitori”.
La sentenza era scontata.
Dal verdetto si evince l'indirizzo
politico della condanna dei quattro arrestati. Alla richiesta della difesa di
riconoscere agli imputati il reato politico, ricordando le varie buone azioni
di Cipriano tra le quali: “il fatto di Cancello, l'assalto al treno, quando i briganti
salvarono il denaro privato e presero solo quello pubblico con grida
inneggianti a re Francesco”, il Presidente non ne volle sapere, rigettò ogni
richiesta.
Il giudice aveva già sentenziato
che la banda La Gala era fatta di “volgari malfattori”.
Le testimonianze orali, erano
spesso confuse. Rilasciate dai comparenti, tra la verità e la menzogna, tra la
precisione e l'inesattezza, tra l' “è così” e il “mi pare”. (11)
L'interrogatorio del 24 febbraio 1864 di
Della Gala
Nel processo
del 24 febbraio 1864, Giona, D'Avanzo e Papa
rigettarono ogni accusa d'aver fatto parte della banda. Solo Cipriano affermò:
“ho corso la campagna onoratamente, non ho fatto estorsioni, ho ricevuto denari
da diverse persone dabbene e con questo ho soddisfatto ai bisogni della banda”,
poi, incalzato dal Presidente di Corte sul perché avesse scorso la campagna
disse “per difendere il mio soprano”.
I quattro furono accusati di
“estorsione di lire 204, pasta, sale e tabacco commessa a mano armata e del
sequestro di Vincenzo d'Avanzo avvenuti il 23 maggio 1861, di grassazione di
314 lire e 50 centesimi ai danni del ricevitore della ferrovia di Cancello
nella sera del 23 giugno 1861, di omicidio di Gennaro Ferrara commesso a Cancello
il 27 luglio del 1861 e dei carabinieri Bartolo Cuminelli
e Pietro Brocchieri uccisi la stessa sera a Cimitile,
ed ancora dell'omicidio a Palma del bersagliere Federico Pellegrino il 31
agosto 1861 e nello stesso mese del saccheggio delle case di Giovanni e Michele
Mascolo di Sasso, di grassazione di lire 12,750 il 2
settembre a Paolisi in danno di Giacomo e Pasquale Viscusi, di assassino di Francesco de Cesare avvenuto sul Taburno il 4 settembre, nonché di numerosi altri crimini”.
Cipriano respinse ogni addebito
dichiarando: “non sono andato facendo queste lazzaronate”.
La Gala fece rilevare: “si sta
indagando su anni di guerra civile in cui per mantenere una colonna armata di
cinquecento uomini eraè indispensabile ricorrere a
ricatti, sequestri e furti. Eppure c'è chi concesse denari di propria
iniziativa e si vide scrivere il suo nome in un registro da Giovanni D'Avanzo:
al ritorno di Francesco II chi aveva finanziato i combattenti sarebbero stati
ripagati”. (12
Assalto alle carceri di Cicciano e di Caserta
Il 13 novembre del 1860 La Gala assalì il carcere di Cicciano
liberando Ferrara Alessio di Taurano, Del Mastro
Francesco, Guerriero Giuseppe di Baiano e Colucci Domenico di Domicella
(13)
Nel mese di giugno del 1861 in tarda
serata Cipriano (qualche altra fonte parla di Antonio Caruso di Avella) con diciassette uomini della sua banda travestiti
da Guardia Nazionale, si presentarono alle porte del carcere di Caserta
accompagnati da diversi mastini napoletani dicendo che dovevano consegnare due
briganti. Nessuno ebbe dubbi del tranello, furono loro consegnate le chiavi. In
pochi attimi furono liberati 56 detenuti di cui 34 aderirono la stessa notte
alla banda, erano Giona (fratello di Cipriano La
Gala), Domenico Gentile, Domenico Sparano, Alessandro Greco, Antonio Fiorilli, Giovanni Iandola,
Filippo Luri, Giovanni D'Avanzo, Giuseppe Barone,
Nicola Maturo, Giuseppe Basilicata, Raffaele Chiavitto,
Giuseppe Tartaglia, Nicasio Penna, Francesco De
Nardo, Stanislao Picasio, Giovanni Perone, Angelantonio Rinaldi, Angelomaso Marino, Pellegrino Petrillo,
Vincenzo Lo Duca, Salvatore Villani, Raffaele Santoro, Francesco Novelli,
Giuseppe La Manna, Vito Stolfa, Francesco e Andrea Cerrito, Giovanni De Cesare, Luigi Spera, Francesco e
Vincenzo Casilla, Saverio Caccavale
e Alessandro Rossi. (14)
Dai tanti episodi si rileva che se
per le autorità politiche e giudiziarie del Regno d'Italia Cipriano La Gala era
un bandito, un assassino, un “camorrista”, per il popolo invece Cipriano era
considerato un liberatore.
Nel processo la difesa sostenne che
“Cipriano è da considerarsi un partigiano
del Borbone e basta. Quanto poi alle buone azioni in difesa degli umili, basta
far riferimento ai numerosi contadini che spontaneamente hanno voluto fare
testimonianza, onde rendere di pubblico dominio le restituzioni di denaro e
suppellettili, nonchè il rilascio di molte persone”.
(15) Cipriano non negò gli addebiti, ma dichiarò di avere agito per motivi
politici e che gli si attribuivano colpe non sue ma di altri capibanda che
agivano nella zona.
A sua discolpa, chiese al giudice
di mettere a verbale i nomi dei capibanda che scorazzavano sul Taburno nel 1861, attribuendo a costoro, che agirono
durante la sua latitanza, tutte le azioni delittuose. Anzi “sempre che mi occorse incontrarmi non mancai
di dolermi con loro delle tante grida che dappertutto si levavano per gli atti
obbrobriosi ai quali si lasciavano andare, e di esortarli a impedire ogni
eccesso”. (16).
Nomi dei Capibanda e
degli altri briganti che trafficavano sui Monti di Cervinara: 1) Domenico Bello di Cervinara. - 2) Pasquale Martone,
id. - 3) Antonio Caruso di Avella. - 4) Domenico
il Calabrese. - 5) Antonio Zappatore.
- 6) Antonio Pungolo. Capibanda che esistevano tra' monti e
contorni di Cancello. 1) Giuseppe Tiniero di Arienzo - 2) Antonio Pipolo,
Napoli o Marigliano - 3) Lisco Fabiano di Marigliano - 4) Donato Pizza dì Cicciano
- 5) Felice di Marigliano
- 6) Angelo Pascarella
alias Angiolillo
di Messercola - 7) Luigi Esposito di Marigliano - 8) Francesco Liberato di Camposano. Capibanda che stavano pe'
monti di Taburno. 1) I fratelli Giovanni e Tommaso Romano di Limatola
- 2) Il nipote del Generale
Bosco a nome Giuseppe
- 3) Luciano Martino di Casalduni - 4) Padresanto di Guardia Sanframondi
- 5) Cosimo di Cerreto - 6) Giuseppe Gallo di Casalduni
- 7) Vincenzo alias Pelorosso di
Cerreto - 8) Un Maggiore borbonico che portava 180 persone -.9) Il nipote del
generale Vial, il tenente ed altri che venivano da
Benevento - 10) Michele
Caruso di Benevento (16). Capibanda de' dintorni di Nola. 1) Crescenzo Gravina di Palma - 2) Angelo Bianco di Bajano
- 3) altro a nome La Vecchia di Monteforte - 4) Pasquale
D'Avanzo di Avella - 5) Antonio Del Mastro di Avella - 6) Ginseppe
Santaniello della parte di Palma - 7) Benedetto D'Avanzo di Avella o Mugnano.
Nelle udienze
successive i testimoni si mostrano reticenti, non riconobbero gli imputati,
caddero in contraddizioni e il Pubblico Ministero si lamentò di così spiccata
perdita di memoria. Alcuni arrivarono ad affermare, con suo sommo dispetto, che
era proprio così; “avevano subito tali violente emozioni, da esserne restati
davvero scimuniti”.
I cronisti
riferirono che la paura chiuse la bocca di tutti “e non c'e verso di provare
l'effettiva presenza degli imputati ai fatti”.
(17)
Il generale
piemontese Giuseppe Govone che interrogato alla
Camera nel dì 13 luglio del 1863 sul perché le popolazioni meridionali
sostenessero i briganti, ebbe a dire: “I
cafoni veggono nel brigante il vindice dei torti, che
la società loro infligge”. Per i contadini Cipriano Della Gala non era un
delinquente, un uomo pericoloso, no, era addirittura un uomo che dava la
libertà”.(18)
I generali Pinelli
e Franzini
Dal 30 giugno 1861, le forze italiane che in Terra del
Lavoro combattevano la resistenza, erano formate: “La Guardia Nazionale Mobile, cinque battaglioni di bersaglieri, due
reggimenti di fanteria, artiglieria da montagna, due compagnie di granatieri e
quattro squadroni di cavalleggeri”, comandate dal generale Ferdinando Pinelli.
Queste forze dovevano sgominare le
bande “di Cipriano la Gala forte di circa 150 briganti, fra i quali volontari
francesi e bavaresi; quella di Antonio Caruso di circa cinquanta; una terza di
Antonio del Mastro di circa quaranta; una quarta di Angelo Bianco di circa
trentasei; una quinta di Crescenzo Gravina, di cui
ignorasi il numero dei componenti”.
In tutto i reazionari erano
circa trecento contro un numero assai maggiore dell'esercito governativo che non
riuscì ad avere ragione di questi partigiani anche perché questi avevano
l'appoggio popolare, ciò che mancava ai piemontesi.
Dai resoconti del tempo
degli scontri tra le truppe del generale Pinelli e le
bande dei reazionari, dai giornali dell'epoca non sempre veritieri, si
apprende:
“Il primo settembre del 1861, le truppe eseguirono i chiari comandi del
generale Pinelli: occuparono le pendici di Montevergine, Monteforte ed
ancora Mercogliano e Summonte. Imponenti colonne di
uomini presidiavano montagne e centri abitativi di Roccarainola,
Mugnano e Baiano. Al
comando di Pinelli c'erano 4.000 uomini, due
compagnie di granatieri e 2 pezzi di artiglieria piazzato sul castello di Avella, una numerosa colonna di bersaglieri che
occupava l'intera piana di Lauro. Così disposte le truppe attesero l'intera
notte di sabato ed all'alba di domenica scagliarono tre violenti attacchi. Il
primo a Sarmola si ingaggiò con la banda di Antonio
del Mastro; i briganti furono accerchiati al sopraggiungere dei bersaglieri da
Lauro. Il secondo attacco fu mosso tra Falconara e Fornino contro la banda di
Angelo Bianco. Il terzo, infine, avvenne a Fellino direttamente con Cipriano La
Gala”.
Il comunicato di Pinelli riferiva che le bande di del Mastro e Bianco erano
state distrutte, ma pochi giorni dopo apparvero più attive e più numerose di
prima.
Poiché il generale Pinelli non aveva ottenuto i risultati sperati, fu
sostituito dal generale Teobaldo Franzini
il quale adottò provvedimenti draconiani.
Impose ai sindaci dei distretti di
Nola, Avellino e Melfi, di impedire a ogni cittadino di allontanarsi dal centro
urbano per raggiungere campagne e monti perché aveva notato che “dalla gente che lavora in campagna
all'appressarsi della forza sempre si alzino voci, gridi ed anche si tirino
colpi di fucile nel colpevole fine di darne avviso alle bande de'briganti”.
Ordinava la fucilazione immediata
di chi assumeva simili comportamenti. Inoltre soggiungeva “ che la raccolta delle castagne nel mese di
novembre fosse conclusa in tre giorni, che fossero distrutti i pagliai e murate
le case rurali per impedire ai briganti di rifugiarvisi”. (19)
In seguito a tali ordini, furono arrestati i parenti dei
briganti come il padre di Antonio Caruso, la madre e la sorella di Cipriano e i
suoi fratelli Romano e Felice “e l'altro stretto congiunto Felice Barone e il
figlio che sta nel luogo detto Madonna delle Grazie”. (20)
Ai primi di marzo del 1864 la Corte
d'Assise di Santa Maria Capua Vetere emise la
sentenza della pena di morte per i due fratelli La Gala, i lavori forzati per
Papa e venti anni per D'Avanzo. Dopo pochi giorni, però, un decreto reale
commutò le condanne a morte in carcere a vita.
Secondo gli accordi con la Francia,
l'estradizione era stata concessa solo dopo che il governo torinese si era
impegnato a non applicare la pena capitale ai detenuti.
Cipriano fu rinchiuso nel Reclusorio
della Foce a Genova e Giona in quello di Portoferraio
ove rimasero fino alla fine.
Mentre di Angelo Sarno, non si
seppe più nulla: fu liberato o forse morto.
Il generale Franzini
in una sua relazione del 1863, indicò che nella sola zona dell'avellinese vi
erano stati 111 scontri tra i militari e i briganti. (23)
Note
a-(da Processi Celebri – Reggio Emilia
–Tipografia della Gazzetta 1864)
b-(da (di Luisa Sangiuolo
da: "Il Brigantaggio nella Provincia di Benevento 1860-1880"
De Martino, Benevento, 1975
C-(da Storiografia- “I briganti Della
Gala”. Analisi del brigantaggio (a cura di Angelo D'Ambra)
1-Re di Napoli dal
1734 al 1759.
2-E' in provincia di Avellino
3-ASC, Alta Polizia f. 5879)
4-(Gabinetto Prefettura, B. 279 f. 3139)
5- I briganti Della Gala”. Analisi del
brigantaggio (a cura di Angelo D'Ambra)
6-(G.C. Gallotti, pp. 176)
7- E' in provincia di Caserta.
8. Luisa Sangiuolo da: "Il
Brigantaggio nella Provincia di Benevento 1860-1880" De Martino,
Benevento, 1975
9- ibidem
10- C. Cimmino, pag.59). (da Storiografia- “I briganti Della Gala”. Analisi del brigantaggio (a cura
di Angelo D'Ambra)
11-ibidem
12-ibidem
13-(ASC, Alta Polizia, f. 3863).
14-(Sentenza Sezione di Accusa della Corte di Appello di Napoli del 4 luglio
1863).
15-(Processi Celebri – Reggio Emilia –Tipografia della Gazzetta 1864)
16-. Cipriano La Gaia da Noia (Napoli) non sa leggere nè
scrivere.
17- Michele Caruso non è nato a Benevento, bensì a Torremaggiore
provincia di Foggia - Ha invero operato nel beneventano.
18- Luisa Sangiuolo
da: "Il Brigantaggio nella Provincia di Benevento 1860-1880"
De Martino, Benevento, 1975
19-(da Storiografia- “I briganti Della
Gala”. Analisi del brigantaggio (a cura di Angelo D'Ambra)
20-(ASC, Gabinetto Prefettura, b. 1 f. 29)
21-(ASC, Alta Polizia, f. 6617)
22-(A cura di Angelo D'Ambra) Pubblicato da red. prov. “Alto Casertano-Matesino & d”
23- F. Molfese, Storia del Brigantaggio dopo l'Unità o.c.
Andrea De Masi
Il
22 maggio 1861, la banda di Andrea De Masi detto Miseria, in nome di Francesco
II assalì il posto di guardia di Bucciano
impossessandosi di armi e munizioni, abbattendo lo stemma Sabaudo e sostituendo
il tricolore con la bandiera bianca gigliata dei Borbone dopo di che, si
diedero alle razzie in danno dei liberali tra i quali il sindaco Michele De Blasio che ebbe incendiata la casa e decimato il gregge
ammontante a circa mille pecore.
Pochi
mesi dopo, il 4 ottobre, la banda tentò
di assaltare di nuovo il posto di guardia di Bucciano,
ma questa volta furono respinti e il De Masi, dopo essere stato ferito, si
rifugiò sul monte Taburno. Agli inizi del 1863 fu
catturato e processato a Benevento con l'accusa di aver partecipato alla
requisizione di Laiano e ai fatti di Pontelandolfo. Il 14 luglio dello stesso anno evase dal
carcere di Benevento e si rifugiò sul Taburno. Cercò
di riorganizzare la sua banda, ormai ridotta a sedici elementi, dandosi a
depredare e sequestrare i i ricchi della zona di Bucciano. Bonea, Moiano e Montesarchio.
Braccato
dalla guardia nazionale, dal Taburno, con l'aiuto del brigante Taddeo di Cervinara, si
spostò sui monti del Partenio. Purtroppo la convivenza dei due briganti non durò molto, per la rivalità sorta tra i due, il De Masi ritornò sul Taburno dove si alleò col brigante Giovanni Mauro di
Montesarchio. Ma neanche questa alleanza durò molto fino a quanto si accorse
che Mauro cercava di ucciderlo per conto di Taddeo. De Masi non sentendosi più
al sicuro sul Taburno decise di cambiare aria e di
andarsene a Roma ospite del capo brigante Cosimo Giordano.
La
banda fu sgominata e tutti i membri processati a Caserta. Fra gli arrestati
c'era anche una donna, Lucia Quarantiello accusata di
connivenza.
Nota
(Internet-Storia brigantaggio uccianese-Bucciano)