Gordiano Lupi intervista Daniele Pierucci, classe 1983, autore di “Zeroellode
- Quella cosa che chiamano università (atenei a
perdere)” Phasar Edizioni, 2013.
Direi di cominciare questa intervista
con una parte della bistrattata Costituzione italiana. Una parte che è bene
tenere sempre presente.
Articolo 21:
Tutti
hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola,
lo scritto e ogni altro mezzo di
diffusione.
La
stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure. […]
Ottimo incipit. Soprattutto quando non
c'è diffamazione, ma soltanto un mero resoconto di fatti, di domande retoriche
e di legittimi sospetti, come avviene nel libro. Secondo te in Italia abbiamo
la libertà di parola?
Come
no? Da esprimersi a volume zero, in una stanza insonorizzata, dopo le 24 su Tele Cantina Libera. [PV Docet]
Perché hai deciso di dare alle stampe
questo libro?
Per
portare all'attenzione della collettività alcune str…anezze
che sovente accadono negli atenei.
Dopo quel che abbiamo letto
effettivamente c'è di che pensare. Quali sono gli aspetti che ti hanno dato
maggior fastidio e quali sono quelli che ritieni più gravi?
Senza
riferimenti particolari, trovo intollerabile l'imperialismo e il colonialismo
di certi/e professori/esse e di certi presidenti di corso, trovo intollerabile
che certa gente si ritenga così in alto da permettersi di non rispondere, trovo
intollerabile che nell'università sia tutto imposto e non esista niente di
concordato, trovo intollerabile che nell'università non esista la transizione
da teoria a pratica (vedi certi ridicoli tirocini), trovo intollerabile che alcune
regole siano create ad hoc e che altre vengano
liberamente reinterpretate in base alla convenienza del momento. Trovo
inaccettabile che certi/e professori/esse e certi presidenti di corso abbiano
il culto della propria personalità, che lo vogliano imporre agli altri, che si
considerino persone fatte verbo e che credano di essere il secondo avvento,
trovo inaccettabile che salgano in cattedra per pontificare e per impartire il
loro dogma, trovo inaccettabile un sistema manageriale
tetragono alle opinioni altrui, trovo inaccettabili le frasi falsissime di
certi presidi/rettori che dicono, addirittura in televisione, la prima cosa è
l'attenzione allo studente, trovo inaccettabile che tráttino
l'università come il loro piccolo feudo e che lì dentro valga la legge
dell'usucapione. Trovo oscena la guerriglia mirata sull'individuo (vedi Cap.
4). Trovo inammissibile che gli studenti stiano zitti e si sacrifichino per gli
ideali di altri. Trovo scandaloso che non esista vigilanza di alcun tipo su
niente, in particolare sulla condotta di questi individui. Sono queste
mentalità che rendono gli atenei del tutto inadeguati a formare le nuove classi
lavoratrici.
Come mai i tentativi di chiarire i
disguidi che si erano venuti a creare con l'università non hanno dato risultati?
Perché
il sistema università è malato terminale di autodichia,
vale a dire di volontà apologetica verso se stesso. In parole povere ogni organo
fa come gli pare consapevole del fatto che non ci sono
né controlli né sanzioni. Esattamente come succede in
parlamento le regole esterne lì dentro non valgono. Ne sono
prova il mio insulso tentativo di parlare con la responsabile dell'ufficio
tirocini professionalizzanti nella sciocca speranza di risposte serie, il mio
inutile tentativo di interpellare il garante nella sciocca speranza di risposte
serie, il mio stupido tentativo di conciliazione con il presidente nella
sciocca speranza di risposte. Avrei dovuto aspettarmelo: scaricabarile, omertà
e reticenza. La loro frase tipo è ego me absolvo.
Secondo te che cosa bisognerebbe fare?
Non
ho certo la presunzione di risolvere ventenni (…) di problemi stratificati.
Qualche suggerimento è già stato avanzato nel capitolo 7. Mi
sento di ripeterne tre: servono controlli e sanzioni (che adesso sono del tutto
inesistenti); contemporaneamente è necessario allontanare i mercanti dal tempio;
inoltre è essenziale ascoltare le istanze dell'utenza.
Troppi individui che siedono in cattedra sono solo chiacchiere e poltrona. Non
meritano il ruolo che rivestono, non sono credibili né
in quel che proferiscono né in quel che fanno.
Che intendi dire?
Spessissimo
quando si sente parlare personaggi che occupano, non si sa perché, posizioni di comando sembra che il loro unico scopo sia
inspirare un sentimento di disperazione. Dicono cose che appaiono lontane dal
buonsenso, dalla logica e dalla realtà. Pare di essere in campagna elettorale
dove un candidato può dire tutte le sciocchezze che gli passano per la testa;
sembrano persone che hanno bisogno di sentirsi parlare e di udire la propria
voce. Purtroppo si tratta di gente abituata a sproloquiare senza
contraddittorio, gente che oltre a non tollerare per alcun motivo opinioni
diverse dalle proprie fa di tutto per annientarle, gente che sa un sacco di
cose superflue e non crea conoscenza ma al massimo, se ne è
capace, ne trasmette una già preconfezionata che oltre a essere inutile e obsoleta
non arricchisce affatto l'allievo. D'altra parte è difficile ascoltare gli
altri (vale a dire gli utenti/studenti che pagano) quando ci si ritiene onniscienti
e onnipotenti (vedi l'appendice nonché l'indegna frase
del Cap. 4 qui dentro niente è illegale se io decido di farlo).
Effettivamente quell'affermazione
meriterebbe di essere perseguita nelle sedi appropriate. L'università che hai
conosciuto è tutta come l'hai tratteggiata? Oppure hai trovato anche
situazioni, risvolti e persone che esulano da questa
descrizione per niente lusinghiera?
Ovviamente
ho trovato anche situazioni, risvolti e persone
decisamente positivi; in quantità molto minore, ma li ho trovati. Persone oneste,
volenterose, serie, capaci, trasparenti, sincere, umili, educate,
coerenti, competenti; persone che conoscono la deontologia, l'etica, la
moralità, il rispetto, l'integrità, l'onore, la correttezza, la didattica,
l'insegnamento, la conoscenza e la trasmissione di conoscenza. Come detto la
percentuale è piuttosto bassa, ma è bene dire e far sapere che, nonostante
tutto, ci sono anche loro.
Cosa pensi quando si sente dire che la laurea è
un punto di partenza e non di arrivo?
Penso
a una mia ex insegnante la quale, a chi le diceva che il post laurea (specializzazioni,
master…) fa diventare “impiegabili” gli studenti, rispondeva che sarebbe stato
molto meglio che gli studenti fossero invece diventati
“impiegati” alla svelta, senza staccare assegni nominativi direttamente ai masteratori/specializzatori e
sapendo che l'esperienza ci si fa nel corso della professione.
Nel libro esprimi alcune considerazioni
riguardo gli ordini professionali. Tutti sanno che da
anni esistono proposte per la loro abolizione. Vuoi aggiungere qualcosa?
Non
mi pare si siano viste migliorie da quando è stato introdotto l'obbligo
dell'abilitazione; anzi, tutt'altro. Se uno è capace
le cose le sa fare anche senza l'esame di stato; se uno è incapace può avere
cinquanta abilitazioni, rimarrà un incapace. L'Italia è il paese degli albi
professionali; tutti gli albi che esistono qui non ci
sono in nessun'altra parte del globo. Trovo ridicolo che ci sia un albo sez. A e
un albo sez. B. Trovo insensato un esame di stato
perché allora mi domando a cosa servano i cinquanta esami precedenti per
conseguire la laurea; allo stesso modo trovo pretestuoso che per poter lavorare
bisogna versare periodicamente una quota all'ordine; il paragone più calzante è
con il commerciante partenopeo (non me ne voglia la categoria nella quale fra
l'altro ho molti amici) che per tenere aperto il negozio e per portare la
pagnotta a casa deve “elargire” una parte dei suoi guadagni a un “circolo non
propriamente culturale” in cambio di protezione (protezione da cosa? Dal
circolo stesso?)
Leggendo il libro mi hanno colpito due ipotesi:
quella delle intercettazioni email e quella del
registro dei sovversivi. Cosa pensi a riguardo?
Non
c'è da stupirsi di una cosa del genere visto che siamo
nel paese delle meraviglie. Anche questa è Italia, diceva il Gabibbo. L'unica
cosa che penso è che, nonostante il più che fondato sospetto di esistenza, non sia
possibile dimostrarne l'esistenza. Per quel che
riguarda le intercettazioni email
non posso non domandarmi che ci stia a fare il garante della privacy, quale
significato sia dato alla parola privacy e perché ogni segnalazione cada nel
vuoto e venga insabbiata. Ah, già, perché “lavorano per noi”; e il tutto viene fatto con la scusa della “sicurezza”. Invece per
quanto riguarda il registro dei sovversivi siamo nel sublime. Chi ha avuto tale
trovata è indiscutibilmente un genio. Riesci a capire la portata di quell'idea?
È veramente immensa e ingegnosissima: schedare le
persone ancor prima che inizino a lavorare (se mai inizieranno).
Fantastico, davvero. Rappresenta l'evoluzione moderna delle lettere di
referenze. È un modo come un altro per confinare i dissidenti.
Adesso che è
quattro anni che sei fuori da quella cosa
che chiamano università (come dici nel sottotitolo del libro) quali sono le
tue sensazioni verso quel periodo?
Quando
mi ero immatricolato mi ero anche creato delle
aspettative (come tutti, credo), aspettative che immancabilmente sono andate infrante.
Credo di poter dire che l'università come l'ho vissuta io sia stata la
delusione più grande della mia vita; ho rinunciato a sette anni di esistenza
per privilegiare l'oscurantismo dell'accademia, senza
risultati (nonostante la laurea in tempi rapidi e con voto alto). Non avevo mai
fatto un uso così improduttivo del mio tempo. Non c'è niente di più lontano e
di più differente dell'università e del lavoro. A distanza di anni lo dico
senza vittimismo: l'università mi ha usato, mi ha mentito e mi ha sfruttato. I
miei sentimenti verso quell'istituzione si possono riassumere in un'asserzione
sola: mi vergogno di essermi laureato. Mi rendo conto che è una frase forte e
che non sarà facilmente condivisa, ma è opportuno chiarire (ad
uso di coloro ai quali fa comodo generalizzare e strumentalizzare) che il
riferimento è indirizzato alle inutilissime facoltà
umanistiche, come è quella che ho stupidamente scelto io. Per tutti quei
perbenisti-buonisti che in questo momento si stanno scandalizzando di fronte a
quella frase, prima leggete il libro e poi imparate a rispettare opinioni
diverse dalle vostre, se mai vi riuscirà.
Sei rimasto in contatto con i compagni
di studi che hai conosciuto nelle due università? Qual era la loro opinione
dell'ateneo? A loro è servita la laurea?
Ho
mantenuto alcuni contatti, sia pure sporadici, con circa la metà di quelli che
ho conosciuto. Non so cosa essi pensino adesso dell'università; posso dire che
durante la frequenza dei corsi i malumori erano ampiamente diffusi. Molto
ampiamente. Senz'altro ad alcuni la laurea sarà servita a qualcosa: ad esempio
so che una minima parte si è iscritta all'ordine (anche se fanno tutt'altro),
ma so anche che tanti di loro usano il pezzo di carta come raccattapolvere
in cornice. Questo perché la saturazione di quella presunta professione [psicologia,
ndc] è a livelli inimmaginabili. Eppure queste facoltà
continuano a esistere senza motivo alcuno.
Visto che hai studiato psicologia, qual è il tuo
pensiero in merito?
Penso
che sia una forzatura, per dirla con un eufemismo; una grandissima forzatura. Non
riconosco a tale materia né la dignità né l'utilità di scienza. E a questa
domanda ti risponderò con delle domande. Si può
davvero curare la mente? O ce lo vogliono far credere?
Si può davvero prevedere la mente? O ce lo vogliono
far credere? Era proprio indispensabile inventarsi la dubbia figura
professionale dello psicologo? O è servita solo ad arricchire certa gentaglia?
A prescindere dalle risposte che possono avere questi interrogativi, intendo
prevenire una tua nuova curiosità che senz'altro mi vorresti chiedere: io ho
scelto psicologia perché mi sono stupidamente fidato della disinformazione
record portata avanti dai giornali, dalla televisione, dai professori, dagli
atenei, da alcuni siti internet, da alcuni forum, dai social
network.
Le tue sono domande estremamente
logiche e legittime; purtroppo quando si pecca di ingenuità ci se ne accorge
solamente troppo tardi. Hai dei rimorsi? Dei rimpianti?
Chi
non ne ha, in qualsiasi ambito della vita e non solo dell'università? Il mio
rimorso è di aver arricchito certi personaggi, avendo contribuito con le mie
tasse a formare il loro immeritatissimo stipendio, e di aver pagato per
mantenere quello stato di cose. Il rimpianto è di aver letteralmente buttato
via (in modo inconsapevole, ma questo non cambia le cose) una parte consistente
di vita senza ritorni di alcun tipo. Mi viene in mente un aforisma di Karl Kraus che dice un uomo debole ha
dei dubbi prima di una decisione, un uomo forte li ha dopo, un uomo stupido non
ne ha. I personaggi discutibili che ho trovato nell'università non hanno mai
avuto dubbi.
Qual è il caposaldo che hai assodato
nelle tue disavventure accademiche?
Te
ne dirò tre.
·
L'università non è affatto
indispensabile come invece taluni vorrebbero farci credere.
·
Diffidare. Questo è il secondo concetto
da imprimersi in testa. Diffidare sempre da chi è
considerato esperto e, ancora di più, da chi si autodefinisce esperto e
racconta di esserlo. È basilare educare la propria mente al dubbio e allo
scetticismo. Una cosa che i perbenisti di cui sopra etichetteranno come cultura
del sospetto.
·
Sapere, scienza, approfondimento,
libero pensiero: se tutte queste cose non vi interessano,
in particolare la quarta, iscrivetevi pure all'università.
Qual è la tua speranza riguardo al
futuro dell'università?
In
queste condizioni l'università è senza futuro, o meglio, è l'utenza dell'università
ad essere priva di futuro. Mi auguro che le cose che
ho vissuto io, che sono solo una piccola parte dei quel che non va, non le
rivivano altri. L'informazione, nonostante chi usa la censura come arma di difesa,
deve circolare.
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Gordiano Lupi
www.infol.it/lupi