Stringimi prima che arrivi la notte
Claudio
Volpe. Intervista all'Autore
di
Iannozzi Giuseppe
Stringimi prima che arrivi la notte – Claudio Volpe – edizioni Anordest – Collana Linea controcorrente –
Pagine 320 – ISBN 13 9788896742761 – € 12,90
Per
gentile concessione dell'Autore Claudio Volpe,
è qui possibile leggere il primo capitolo di questo grande romanzo.
Claudio Volpe, “Stringimi
prima che arrivi la notte” (Edizioni Anordest) è il
tuo secondo romanzo, presentato al premio Strega. Non è purtroppo rientrato
nella cinquina dei finalisti, anche se, a mio giudizio, avrebbe meritato molta
più considerazione. Prima di parlare del tuo romanzo, Claudio, volevo da
te sapere qual è la tua opinione in merito al premio Strega e ai meccanismi
che, bene o male, lo fanno funzionare.
Io credo che il Premio
Strega sia un'ottima vetrina per farsi conoscere e prendere in considerazione
non solo dai lettori ma anche dagli “addetti ai lavori”. Ripeto quello che
dissi l'anno scorso quando venni escluso dai 12 con il
mio primo romanzo “Il vuoto intorno”: la mia felicità è stata quella di poter
essere presentato e dunque avere il supporto di persone come Dacia Maraini,
Paolo Ruffilli, Renato Minore, Cesare Milanese. Per
me è tutta una scoperta quotidiana fatta di piccoli passi e di grandi felicità.
Per me non è importante ora andare allo Strega per incrementare le vendite o
avere fama immediata, ma riuscire a conquistare la fiducia di scrittori validi
che credano nel mio scrivere nonché costruire un
pubblico che voglia seguirmi nel mio viaggio esistenziale. Si scrive non per i
premi o per la gloria e neppure per i soldi. Si scrive perché farlo dà l'impressione di non essere inutili nella corsa
selvaggia attraverso la vita, perché dà l'impressione di poter contribuire a
dare un contributo all'avanzamento della civiltà, e si scrive per celebrare la
complessità e la bellezza del mondo e degli esseri umani, per dissotterrare
creature dalla terra, vite nascoste ma immensamente ricche di significato.
“Stringimi
primi che arrivi la notte” è un romanzo che non ho esitato a
definire così: “Stringimi prima che arrivi
la notte è un Capolavoro di sensibilità artistica umana e
psicologica, un romanzo scritto con stile invidiabile e che avrebbe meritato di
rientrare, almeno almeno, nella cinquina del premio
Strega. […]”. Qualcuno (Nicola Vacca, sulle
pagine elettroniche di Satisfiction) ha detto che
è il tuo un romanzo politicamente corretto, dai toni quasi
sempre ecumenici, un romanzo che si rivolgerebbe a una fascia di lettori
massificati. Un giudizio severo questo. Tu, Claudio Volpe, scrivendo “Stringimi primi che arrivi la notte”, in realtà a chi
hai pensato di rivolgerti?
Rispetto il parere di
Nicola Vacca così come rispetto il parere di qualunque critico e lettore. Un
romanzo può benissimo piacere come non piacere. Rivendico però il diritto di
non concordare con letture atte a svilire o minimizzare la portata del mio
romanzo. Mi è stato detto che “Stringimi prima che
arrivi la notte” prende in giro la letteratura. Se guardo però a quello che sta
succedendo, ossia al numero di persone che mi scrivono dicendomi di aver letto
il romanzo e di aver trovato una piccola parte di senso per la propria vita,
per la propria storia, di avervi trovato il coraggio di rialzarsi e di
affrontare i problemi quotidiani, sento di essere sulla giusta strada. Molti di
coloro che mi scrivono sono ragazze o ragazzi che hanno avuto o hanno tutt'ora problemi di anoressia (alcuni di loro li ho anche
incontrati di persona). In ogni email che mi viene scritta mi viene detto che la realtà e le sensazioni
descritte sono pienamente quelle che si celano nel loro animo. Mi dicono che ho colto in pieno il senso della loro sofferenza trattandolo
con rispetto e profondità. Ora, a fronte di queste considerazioni fatte di vita
vera, credo che qualunque critica letteraria, nel bene o nel male, venga ridimensionata e ceda il passo al senso delle
esperienze umane che cercano il modo di aggrapparsi l'una all'altra per
salvarsi. Scrivendo questo romanzo mi sono rivolto a chiunque abbia voglia di
leggere non per passare del tempo ma per riflettere, calarsi nel dolore altrui
e cercare di immedesimarsi nell'altro fino a vivere attraverso l'anima
dell'altro. L'attività di immedesimazione è un ottimo
modo per allenare cuore e mente e combattere l'aridità sentimentale dei nostri
giorni che ci rende cinici, frustrati e fondamentalmente cattivi.
Sono dell'avviso che il tuo lavoro sia tutt'altro che
buonista, porti infatti in scena una storia che, per
certi versi, potrebbe apparire scabrosa. Raimondo e Delia non possono avere dei
figli e questo fa star male entrambi, nel profondo dell'intimità. Senza figli
la loro vita non ha senso. Siamo di fronte a un dramma sociale comune a molte
coppie più o meno giovani, un dramma che, troppo
spesso, viene sottovalutato. Raimondo rischia di impazzire e così pure Delia, ma Raimondo cerca (o trova) conforto nel ventre di Annuska tradendo così la moglie. E' esso un uomo a metà,
che ama e che forse ama troppo. Il tradimento non
desta quasi più scandalo nella moderna società, pur restando una delle cause
precipue del femminicidio. Avresti voglia di
approfondire i temi che ho qui accennato?
E' vero, hai descritto in
modo perfetto Delia e Raimondo. La prima è una donna che si sente incompleta,
monca, manchevole di qualcosa che dia senso alla sua
vita. La sterilità biologica si ripercuote sulla sterilità sentimentale della
stessa innescando in lei un processo di incattivimento
e chiusura. Delia è uno dei miei personaggi preferiti, complessa, enigmatica,
in grado di meravigliarsi costantemente davanti all'immensità della vita, in
continua sofferenza. Finirà per capire che la soluzione al proprio dolore sta
nell'imparare a lasciarsi custodire dagli altri, affidarsi e sentirsi parte di
un mondo grande e caotico dove nessuno possa sentirsi escluso o emarginato.
Soprattutto è incapace di odiare, anche quando il marito la tradirà lei non riuscirà a serbare rancore e lo perdonerà.
L'incapacità ad odiare è uno dei suoi tratti
distintivi. Raimondo, invece, è un uomo buono ma debole e remissivo. Si innamorerà di un'altra donna e vivrà con lei un amore
dirompente e incontrollabile e nonostante ciò continuerà ad amare anche sua
moglie. Possibile? Assurdo? Non lo so. So solo che costruendo questi due
personaggi ho voluto porre una serie di interrogativi
ben precisi: è possibile che l'amore non possa essere chiuso in un rapporto
bilaterale? Cosa fare se ci si innamora di più
persone? Cosa fare nel caso in cui ci si innamori di
un altro/a partendo dal presupposto che l'amore è l'antidoto alla morte (in
latino A-MORS: negazione della morte)? È possibile impedire ad
una persona di amare e dunque di salvarsi dalla morte? Le risposte non le ho
poiché la vita è una domanda continua e solo nel
confronto collettivo si possono rintracciare punti di riferimento. Questo per
dire che il mio romanzo è tutt'altro che ecumenico o didascalico.
Alice è la figlia che, alla fine, Raimondo e Delia sono
riusciti ad adottare. Ma anche così la loro vita di
coppia non è felice. Alice sente forte l'amore del padre adottivo, non riesce però a comprendere appieno quello della madre, una
donna cardiochirurgo ossessionata dalla morte, dal dolore altrui, dalla paura
che i cuori dei suoi pazienti possano fermarsi da un momento all'altro. Alice
ama Raimondo e lo ama non solo perché è suo padre. Lo
ama come solo una donna può amare un uomo.
Claudio, cosa hai voglia di dirmi in merito al rapporto fra Alice e suo
padre?
Il rapporto tra i due è
un rapporto fortissimo, simbiotico, d'amore
relazionale quasi. Un lieve riferimento al complesso di Elettra potrebbe anche
rintracciarsi, ma non è su questo che ho voluto concentrare l'attenzione quanto
sull'analisi dell'amore inteso in tutte le sue sfaccettature. Amore universale,
amore che non puoi controllare, dirigere, comandare,
amore che ti colpisce e ti afferra, ti ferisce e ti guarisce, amore che assume
le forme più strane e impensabili e brucia carne e spirito.
Alice è vittima dell'anoressia. Il suo dolore pare che
nessuno sia in grado di comprenderlo e quindi di curarlo. Lei non nutre alcuna
fede in Dio a differenza di suo padre che, seppur con tanti sbandamenti, ancora
ci crede in un Dio che ha creato l'umanità. Ma chi è in realtà Dio? Tu, Claudio Volpe, nutri la
certezza assoluta che l'umanità sia stata modellata a immagine e somiglianza di
un Dio?
Io non sono portatore di
certezze o verità assolute. Credo però che la fede in un dio trascendente non
debba far dimenticare che la divinità è prima di tutto e soprattutto nell'uomo.
Quando il Dio cristiano è sceso sulla terra si è fatto
uomo come a dire: “per camminare con gli occhi puntati verso il cielo non
finite per calpestare gli uomini sulla terra”. Se mi guardo attorno
vedo che le religioni stanno rischiando di fallire nel loro compito. Da
strumento di felicità e celebrazione dello spirito stanno diventando mezzo di
lotta contro l'essere prismatico e la libertà dell'uomo.
Non sarebbe forse più corretto dire che, nel corso dei
secoli, l'uomo ha creato i suoi propri dèi a sua immagine e
somiglianza?
Questo è poco ma sicuro.
A prescindere dall'esistenza o meno di un dio, dalla fede o meno in esso,
quello che è sicuro è che un dio di immenso amore
sarebbe sicuramente ben diverso da come gli uomini lo dipingono. Credo che gli
uomini siano portati costantemente a rimpicciolire dio alla loro misura.
Qual è stata la genesi di “Stringimi
prima che arrivi la notte”?
Una
genesi durata buoni sei mesi, fatta di scrittura compulsiva, viscerale,
violenta, necessaria, sofferta. Il mio scrivere è
sempre così: un viaggio attraverso le mie viscere e quelle del mondo.
Come e quanto è cambiato il mondo che ti circonda dopo la
meritata esplosione del tuo primo romanzo, “Il vuoto intorno”? Pur essendo molto
giovane, tu, Claudio Volpe, hai una rara capacità di immedesimarti nel
dolore altrui per tradurlo in pagine di Letteratura. Quanto c'è di te in “Stringimi prima che arrivi la notte”?
La mia vita è cambiata in
meglio. Ora inizio a credere di poter vivere non con ma di scrittura, cioè di
poter nutrire la mia anima di arte e bellezza. Ho avuto la fortuna di conoscere
molti scrittori e intellettuali di cui sono riuscito a conquistare la stima e
la fiducia, prima fra tutti la più grande scrittrice italiana nel mondo, Dacia
Maraini. Ora passo molto tempo a rispondere e dialogare con i miei lettori e a
girare l'Italia (e in parte l'Europa) per presentare i miei romanzi. Per il
resto sono quello di sempre. Leggo in modo compulsivo,
studio per terminare l'università, vivo da ragazzo quale sono. Identica è la
paura di rischiare di perdere tutto, che il sogno termini, che l'impronta meravigliosa
che sta prendendo la mia vita venga arrestata, la
paura di dover vivere senza scrittura e senza dialogo con il pubblico dei
lettori, con gli altri. Soprattutto, ciò che proprio non è cambiato è la voglia
di farcela, di costruirmi il mio posto nel mondo, la voglia di esser
intraprendente e conquistare ogni singolo passo avanti nel mondo della
letteratura. La voglia di essere felice.
Claudio, nel tuo ultimo romanzo incontriamo tre figure femminili principali, Delia, Annuska e Alice. Nessuna delle tre è felice e mai lo sarà,
neanche quando morte sopraggiungerà. Possiamo dire che “Stringimi
prima che arrivi la notte” è un romanzo dalla parte delle donne, del loro
dolore più intimo? Le donne del tuo romanzo sono puro frutto della tua
immaginazione, o accolgono invece alcune peculiarità di persone reali?
Esatto,
un romanzo dalla parte delle donne. Non nascondo, né mai l'ho
fatto, di amare la complessità del mondo femminile, la loro spiccata
sensibilità e capacità di accettare e gestire la complessità dell'essenza
umana. Amo follemente scrittrici come Dacia Maraini, Margaret Mazzantini, Melania Mazzucco, Alda Merini…. Un importante
scrittore, Cesare Milanese, ha detto che la mia è una scrittura androgina per
intendere che riesco a scrivere con la sensibilità di un uomo e con quella di
una donna. Non potrebbe esserci complimento più bello per me. Diciamo che usare
entrambi i miei cromosomi, quello femminile X e quello
maschile Y, mi rende orgoglioso.
Nel tuo lavoro, Claudio Volpe, tu parli anche
dell'Afghanistan e della sanguinosa guerra che si sta consumando al suo
interno, oramai da parecchi anni. Il tuo romanzo non vuol essere una
ricostruzione storica, questo credo sia ben evidente. Delia, forse nel
tentativo di salvare più sé stessa che non le vittime
offese dai bombardamenti, decide di recarsi in territorio di guerra per portare
a chi soffre la sua esperienza di chirurgo. Un personaggio enigmatico quello di
Delia, una donna che ama la vita, che non può avere dei figli suoi e che però
non riesce ad amare, non più di tanto comunque, Alice, la figlia che lei e suo
marito hanno adottato. Delia cova in sé una guerra interiore, sin dalla
nascita, una guerra che pare non possa risolversi né
oggi né domani. Dico giusto?
Dici perfettamente. Anche
se molte scene di guerra descritte sono realmente accadute e sono frutto di una
mia documentazione attuata tramite video report reali, spesso amatoriali. Non
ho voluto assolutamente ricostruire percorsi o vicende storiche. Ho voluto
semplicemente descrivere quello che accade in quei posti da un particolare
angolo visuale, quello di un medico che presta servizio nei campi di battaglia,
vedere la storia dalla parte delle vittime e far capire come Delia, condividendo
il suo dolore con quello del mondo, riesca a salvarsi.
Annuska anela all'amore, alla stabilità. Non è
bella lei, ma non passa inosservata agli occhi di Raimondo. Il suo destino sarà
dei più crudi. In Italia si arrabatta come può, portando in giro un teatrino di
burattini. Annuska è, a mio avviso, un personaggio dostoevskijano inserito all'interno di un
dramma in parte dostoevskijano e in parte tolstojano.
Claudio, nel dramma che tu disegni con equilibrata umana pietas, io ho percepito una profondità analitica propria della grande
Letteratura russa di fine Novecento. Credo di non sbagliarmi…
Non sbagli. Annuska è un personaggio che amo. Derelitto, randagio,
complesso, luminoso, una creatura che ho voluto far
emergere dalla polvere. Una vita che potrebbe apparire anonima, triste,
sbiadita, drammatica eppure così ricca di senso e di fascino. La letteratura
russa è un punto di analisi inarrivabile in tema di dolore, drammaticità e
riflessione esistenziale. Dunque sia io che Annuska ti ringraziamo per il paragone.
Il perdono. Ma l'uomo è davvero
in grado di perdonare, di portare un dono opponendolo all'offesa ricevuta? Io
penso che l'uomo, tutt'al più, sia in grado di
dimenticare ma non di perdonare, perché il perdono è proprio di un Dio e l'uomo
non vive la condizione di un ipotetico dio.
Non so se noi uomini
siamo davvero in grado di perdonare, credo però che sia indispensabile
provarci. Il male e il dolore sono una catena che genera anelli continui. Se
non riusciamo a far morire il male in noi stessi evitando di perpetrarlo e
lasciarlo in eredità agli altri, condanneremo l'umanità ad
una sofferenza senza fine. Imparare a perdonare significa, invece, spezzare la
catena e iniziare a generare amore.
Quale il monito o il messaggio sociale e umano che esplichi attraverso la storia che è in “Stringimi prima che arrivi la notte”?
Rispetto per la
meravigliosa complessità dell'essere umano. Essere umano che è mostro e angelo
al contempo, dolore e felicità, buio e luce. Il mondo è stracolmo di male, gli
uomini ammazzano la propria dignità e quella degli altri continuamente: sembra
che il fondo sia stato già toccato da tempo. Ma ci sono persone che con il loro semplice stare al mondo
sono in grado riscattare l'umanità intera. Quando ascolto una canzone, quando
leggo una poesia o guardo un'opera d'arte, quando penso ad
un attore sul palcoscenico o ad uno scrittore che trema mentre scrive la storia
di un personaggio, beh, in questi momenti riesco a dimenticare tutto il male
del mondo e ad inchinarmi dinanzi all'immensa bellezza dell'esistenza. Il senso
di questo romanzo sta tutto qui. Nel rendere eterno il momento in cui possa
sentirsi il bisogno di genuflettersi al cospetto del miracolo del nostro esistere.
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