Intervista
a massimolegnani (alias di Carlo Calati)
Chi è massimolegnani, o meglio chi è Carlo Calati, e il perché di
questo strano alias (nome e cognome non separati ma,
uniti)?
Massimo Legnani è stato il protagonista
della prima cosa che ho scritto, ormai una ventina d'anni fa. Il nome, Massimo,
lo avevo scelto per contrasto con il carattere del personaggio, piuttosto
schivo, sempre in ombra, il cognome era un omaggio alla mia città d'origine. In
seguito, quando mi sono affacciato nel web e ho dovuto scegliere un nick mi è venuto naturale rifarmi
a a quella prima figura. Per praticità mi sono messo
a scriverlo tutto attaccato e per vezzo in minuscolo che mi sembrava, e mi sembra tuttora, più in linea col mio carattere.
Dire chi è Carlo Calati è più semplice e meno interessante: sono
medico, pediatra in un ospedale della provincia torinese, sono sposato ed ho
una figlia, fotografa, che spesso mi fornisce il materiale per corredare i miei
articoli e alla quale talvolta offro spunti per qualche serie fotografica. Vivo
in campagna e ho la passione della bicicletta con la quale una o due volte all'anno compio dei brevi viaggi che spesso diventano materia
di resoconti romanzati.
Perché scrivi?
Come ho detto ho iniziato a scrivere in tempi relativamente
recenti. Alla fine di una bella esperienza di lavoro, di quelle irripetibili con un gruppo ben affiatato di colleghi e un
primario straordinario, ho sentito il bisogno di rielaborare il vissuto e in
qualche modo di oggettivarlo, vederlo dal di fuori. Così ho immaginato il
nostro gruppo in uno scenario differente, non di lavoro ma di svago, mi sono
divertito a costruire un intreccio (l'attraversamento a piedi della Foresta
Nera) e a inventare personaggi che ricalcassero il carattere delle persone con
cui avevo convissuto in quel periodo. Solo in un secondo tempo ho trovato
naturale trasferire su carta queste fantasie. Ne è venuto fuori un romanzo
breve che all'epoca mi aveva soddisfatto. Da allora non ho più perso il gusto
di raccontare storie, partendo sempre da qualche elemento reale integrato da
una dose grande o piccola, a seconda delle
circostanze, di invenzione. Ciò che tendo a riprodurre fedelmente non è la
cronaca degli avvenimenti ma le sensazioni che quegli avvenimenti
hanno suscitato in me.
La creatività è un
momento di estasi, oppure il tormento di chi matura idee e cerca di
parteciparle agli altri?
Per quel che mi riguarda né estasi né tormento, piuttosto una
piccola o grande meraviglia in cui mi capita di imbattermi e che solletica la
mia fantasia. Nascono così i miei racconti, sempre da un
dettaglio reale, magari minimo ma che in qualche modo mi colpisce nel profondo,
penso alle chiatte e alle chiuse incontrate pedalando lungo i canali di
Francia, i ritmi lenti fuori dal tempo in cui tutto sembra possibile (così è
nato "chiusa 43"), penso al fotogramma di un film, riemerso alla
memoria dopo anni, in cui un ragazzo accovacciato cercava di imitare il verso
del pavone (e questo è stato il primo nucleo di "appena oltre la follia").
Altre volte sono episodi meno chiari, sensazioni vaghe rubate in giro, il
timbro di una voce sconosciuta, il colore vivido di un fiore, a innescare a
cascata una serie di immagini e di idee che poi
prenderanno forma in un racconto. E sempre, mentre traduco in parole scritte
queste fantasie, provo il desiderio di coinvolgere gli altri, di renderli
partecipi di quanto mi è accaduto od ho inventato. Non
sono il tipo che trova soddisfazione nel puro atto di scrivere e poi mette i
fogli nel cassetto. No, per me la lettura altrui è un momento fondamentale, il
coronamento di quanto si è creato.
E' notorio
che per poter scrivere è indispensabile leggere. Che cosa leggi principalmente?
Leggo due-tre libri a settimana, quasi
esclusivamente romanzi o racconti. Leggo molto ma molto dimentico di quello che
leggo, trattenendo il più delle volte solo l'emozione che mi ha suscitato la
lettura. Non so se questo sia un bene o un male. Di alcuni autori leggo quasi
tutto quello che pubblicano perché di loro ho una stima incondizionata (il
Simenon romanziere, per esempio, Erri De Luca, Maurizio De Giovanni), con altri
ho un rapporto più conflittuale, Baricco santo subito per Castelli di rabbia,
Novecento, Mr Gwyn, Tre
volte all'alba, quasi al rogo per Seta, City, Emmaus.
Ci sono periodi in cui leggo per nazioni con la convinzione che in
ogni nazione ci sia un periodo di creatività contagiosa, così negli anni 90 l'Irlanda con
Trevor Howard, Edna O'Brien,
O'Connor, più avanti l'Ungheria con la Szabo e due altri di cui mi sfugge
il nome, da qualche tempo Israele con i tre grandi (ma di Grossmann
e Hyeoshoua non tutto mi piace) e con Nevo Eskold appena scoperto, di cui ho letto due romanzi straordinari
(La simmetria dei desideri, Neuland).
Qual'é il tuo narratore preferito e perché?
Ne cito tre: Simenon per lo sguardo indulgente che ha per i suoi
personaggi, qualunque cosa abbiano combinato, De Luca
per la poesia che infonde nella prosa, Celine per la scrittura sanguigna e
"visiva".
E poi c'è il mio libro preferito, almeno in questi ultimi anni, LEGàMI, di Henry Roth (non il "grande" Roth,
Philip, ma questo “Roth minore”, un successo all'esordio giovanissimo e poi,
dopo sessant'anni di silenzio ad accumulare lavori, disastri, amori e
sopravvivenze varie, questo romanzo che fa parte di una trilogia, Alla mercé di
una brutale corrente). Si tratta della biografia dell'autore che però contiene
gli elementi per me fondamentali per far diventare letteratura la narrazione di
fatti personali: nessuna pretesa di verità, caos nei ricordi e nella stesura di
questi, integrità delle sensazioni originarie anche se erroneamente collocate
nel tempo e magari pure confuse con altri avvenimenti, nessuno sconto morale
per apparire più presentabile. Ne è risultato, almeno ai miei occhi, un libro
fascinoso, caotico ma penetrabile. Roth lo ha scritto
quando ha scoperto il computer, all'inizio degli anni 90, e l'utilizzo di
questo strumento, nuovo e ancora precario affiora più volte nella narrazione,
diviene uno specchio, quasi un interlocutore a cui ogni tanto l'autore si
rivolge chiamandolo Ecclesia!
Ogni tanto mi riprometto di procurarmi gli altri due libri della
trilogia, ma poi finisco col riprendere in mano questo romanzo già collaudato
eppure sempre nuovo.
Tu sei un autore di
narrativa e, salvo errore, non mi risulta che tu scriva anche poesie, il che
non toglie che tu possa amare leggerle. Al riguardo, quale
è il tuo poeta preferito e per quale motivo?
Con la poesia ho un rapporto conflittuale: amo scrivere in versi
ma sono consapevole di non essere un poeta, mi accorgo che sempre al mio modo
di stendere le parole manca qualcosa perché diventino
poesia. Su scritturafresca
e su scrivi.com ho spesso pubblicato poesie,
ma la resa, non in termini di lettori ma mie riletture, mi ha
lasciato così poco convinto che non mi è mai venuta voglia di mandartene o di
riproporle sul mio blog.
C'è sempre dentro di
noi un desiderio latente, quello che si suole definire un sogno nel cassetto e
che, in campo letterario, è l'aspirazione a scrivere qualche cosa di irripetibile. Nel tuo caso qual'é?
A parte il generico sogno, inteso proprio come tale, elaborato di
notte nel sonno, di raggiungere grande notorietà con la scrittura, testi
astrusi prettamente "onirici" il cui tema cambia da una volta
all'altra mantenendo però sempre una matrice indecifrabile, a parte questo,
dicevo, l'unico sogno che coltivo ad occhi aperti è
quello di vincere la mia pigrizia e proporre qualcosa di mio a qualche casa
editrice. Ho una patologica mancanza di determinazione e di perseveranza per
cui anche di alcuni testi che avevo pubblicato in proprio, dopo i primi
entusiasmi, non ho più curato la diffusione attraverso serate, contatti con
librai, incontri pubblici ecc. Perciò questo è un sogno che resterà tale più
ancora di quelli notturni!