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  Scritti di altri autori  »  Narrativa  »  L'erba del vicino, di Cesarina Bo 27/01/2010
 

L'erba del vicino

di

Cesarina Bo

 

 

 

La zingara si avvicinò all'auto sportiva ferma al semaforo e si offrì di leggere la mano all'elegante donna seduta al volante. Ada sorrise e con aria accondiscendente allungò la mano sinistra verso la zingara, mentre con la destra iniziò a rovistare dentro alla borsetta in cerca di spiccioli per pagare quel “servizio”.

“Vediamo se mi predice una storia d'amore a lieto fine: ne avrei proprio bisogno in questo momento”, si augurò.

“Lei è una donna molto fortunata: il lavoro e il denaro non le mancheranno mai. Anche per la salute non avrà problemi”.

Fece una pausa, aggrottò le sopracciglia, poi riprese a parlare:

“S'innamorerà presto di un uomo, ma....”.

Un imperioso e prolungato suono di clacson interruppe la zingara e la donna si ritrovò a darle velocemente alcune monete, ingranare la prima e partire quasi sgommando, non senza aver rivolto un gesto eloquente e poco elegante all'impaziente guidatore che la seguiva.

Quella frase lasciata in sospeso aveva messo di malumore Ada. Non che credesse alle predizioni di una zingarella, però sarebbe stata curiosa di sentire il finale di quella frase. Per un attimo pensò di tornare indietro, poi si diede a voce alta della stupida. Guardò l'ora ed accelerò: voleva rientrare prima delle quindici quando anche lui sarebbe rincasato.

Ormai quella storia andava avanti da più di un mese. Quella zingara aveva ragione nell'affermare che “presto s'innamorerà di un uomo”. In realtà le era già successo: si era innamorata del suo nuovo vicino di casa. O, per meglio dire, si era intestardita.

Ada riusciva a conquistare gli uomini con sorprendente facilità. Fino a quel momento, infatti, le era bastato pochissimo impegno per raggiungere i suoi scopi. La bellezza, il modo di fare, l'intelligenza erano armi più che sufficienti per irretire tutti gli uomini che aveva fino a quel momento incontrato e che le erano sembrati degni di nota. La sua, poi, era una specie di sfida contro se stessa e, una volta raggiunto lo scopo, ben presto si stancava della sua conquista.

Entrò in casa quasi di corsa e si diresse verso la camera da letto. Con gesti impazienti si liberò del tailleur di lino, s'infilò un paio di pantaloncini corti e aderenti, un top in tinta, prese l'ultimo libro acquistato e si precipitò in giardino, dove si sedette su una sedia a sdraio messa in posizione strategica. Lui non avrebbe potuto far a meno di transitare a pochi metri da lei se voleva rientrare in casa. Fece appena in tempo a sistemarsi quando vide il Mercedes coupé bianco del vicino percorrere il vialetto e infilarsi nel garage.

“Caldissimo anche oggi, non trova?”, disse Ada appena l'uomo si trovò ad una distanza ragionevole.

Intanto osservava come, nonostante il caldo opprimente, l'uomo fosse perfettamente a suo agio dentro l'abito grigio scuro e come la camicia bianca di lino apparisse fresca di stiro. Lei, invece, sembrava  appena uscita da una sauna: in effetti, la sedia era completamente esposta al sole e posta in un angolo molto riparato dove non spirava neppure un refolo di vento. D'altronde aveva calcolato che quella posizione era la migliore per potergli parlare.

“Sì, fa caldissimo. Forse se spostasse la sedia sull'altro lato della casa potrebbe avere un po' di frescura per via dell'ombra.

Piccoli rivoli di sudore le stavano scendendo lungo il collo e confluivano come torrentelli in mezzo all'attaccatura dei seni. “Per fortuna che è distante e non può vederli”, pensò.

“No, no. A me piace il sole: ci sto volentieri… Volevo chiederle se ha già letto Daedalus di Joyce: è interessantissimo, se vuole glielo posso prestare”.

“Molto gentile, ma lo conosco e personalmente lo ritengo illeggibile. Ora, se permette, entro a farmi una doccia. Buongiorno”.

Aveva acquistato quel libro solo perché sbirciando dentro l'auto del suo vicino lo aveva visto appoggiato sui sedili posteriori. In realtà lo trovava noioso e difficile ed aveva a fatica letto le prime trenta pagine.

Ada sbuffò, rientrò in casa e con malagrazia sbatté il libro in un cassetto, richiudendolo con un colpo secco. Quel suo vicino sembrava irraggiungibile e del tutto insensibile al suo fascino.

Quasi rimpiangeva la coppia che aveva abitato in quella villetta prima del suo arrivo. Era pur vero che con quella loro quotidiana mania per i barbecue si ritrovava la casa sempre piena di fumo e odorosa di carne, ma almeno aveva stabilito un rapporto.

Ad esempio, la donna, ogni volta che la vedeva, si lamentava del fatto che suo marito era incontentabile: “Fosse per lui si dovrebbe fare l'amore tutti i giorni: manco fosse un antibiotico da prendere con regolarità tre volte al dì! E non basta essere disponibile, glielo assicuro! Ha pure certe pretese…”.  Ad Ada veniva da ridere, ma annuiva assumendo un'aria comprensiva per quella “terribile” situazione descritta.

L'uomo, invece, appena aveva occasione di stare solo con lei, la sottoponeva ad un insistente e discreto corteggiamento, adducendo come scusante la forzata castità cui la moglie lo costringeva.

E ora si ritrovava alle prese con il signor “Lasciami Stare”, così lo aveva soprannominato. Ma Ada non voleva cedere: quel suo modo di fare, quel suo ignorarla non facevano altro che renderla ancor più determinata.

Bevve un bicchiere d'acqua fresca, si diede una riavviata ai capelli e torno a sedersi sulla sedia a sdraio, sperando che il vicino uscisse nuovamente da casa. Fu fortunata perché dopo un po' lo vide uscire e mettersi ad armeggiare attorno al tosaerba. Ebbe così modo di osservarlo con calma. Aveva indossato un paio di pantaloncini corti ed era a dorso nudo: in questo modo metteva in bell'evidenza il fisico asciutto e muscoloso. Ad Ada vennero in mente certe statue dell'antica Grecia, pensò al famoso “Discobolo” di Mirone, cui il suo vicino assomigliava in modo impressionante.

Chiuse gli occhi e provò ad immaginare di essere stretta tra le sue braccia, di sentire il suo corpo a contatto con il suo.  Con le dita, lievemente, seguiva i disegni che i muscoli formavano sulla pelle, li percorreva uno ad uno, li accarezzava assecondandone la forma…

… intanto lui, con le labbra chiuse, le ricopriva il volto di piccoli, lievi, quasi impercettibili baci: sugli occhi, dietro le orecchie per poi scendere a baciarle i seni e poi ancora le braccia, i palmi della mano fino a quando il suo respiro si fece più affannoso, il corpo si tese ed aderì completamente al suo e la stretta delle sue braccia divenne più forte, quasi una morsa dalla quale era impossibile fuggire. Allora Ada sollevò il viso e offrì la bocca con le labbra dischiuse. Fu un bacio violento e rapido: la sua lingua la penetrò come se la stesse possedendo, lasciandola, in modo inaspettato, dopo un solo istante con la bocca ancora semiaperta. Ada provò la spiacevole sensazione d'avere la gola riarsa.

Si svegliò ed impiegò un po' di tempo a rendersi conto che aveva sognato. Si era addormentata al sole con la bocca aperta e ciò giustificava la gola secca. Si guardò intorno, ma l'oggetto del suo sogno era scomparso.

Notevolmente scontenta della giornata rientrò in casa e si mise a mangiucchiare controvoglia, senza manco apparecchiare il tavolo.

Che lei fosse testarda era indiscutibile, però anche il comportamento del signor “Lasciami Stare” era tale da attizzare il suo desiderio di conquista. In fondo che gli sarebbe costato mostrarsi gentile, trascorrere qualche sera insieme in modo gradevole?

Eppure, un giorno che aveva avuto modo di parlargli, lo aveva tranquillizzato sul fatto che non era in cerca di marito o di una sistemazione definitiva. E lui era rimasto lì ad ascoltarla educatamente, annuendo di tanto in tanto, senza tuttavia esporre il suo pensiero. E, alla fine, Ada ne sapeva meno di prima.

Si rigirò per l'ennesima volta nel letto. Il caldo soffocante, nonostante fosse sera, e ciò che era accaduto nel pomeriggio le impedivano di addormentarsi: quel sogno, così realistico, l'aveva eccitata non poco.

Cambiò di posizione, rigirò il cuscino alla ricerca di un po' di frescura. Ad un certo punto decise di alzarsi e di uscire nel giardino. Si sedette sulla sedia a sdraio e provò ad assaporare il silenzio della notte, un silenzio rotto solo da alcuni lievi suoni che sembravano miagolii lontani. Tese l'orecchio: a prestare bene attenzione forse erano gemiti di tutt'altra natura e provenienti dalla casa del vicino…

Quella scoperta la impietrì perché non aveva mai avuto sentore dell'esistenza di una donna nella vita di quell'uomo. Anzi, glielo aveva pure chiesto e lui aveva risposto negativamente.

“Un bugiardo, solo un gran bugiardo”, pensò. Ma l'incertezza della situazione non le permetteva di dare un giudizio definitivo. “Devo assolutamente sapere” e, mentre formulava quel pensiero, scavalcò la bassa siepe con l'intenzione di avvicinarsi alla stanza da cui provenivano una luce soffusa e quei gemiti, ora inequivocabili. Nel buio inciampò in alcuni attrezzi appoggiati al muro che caddero con un rumore che le parve assordante, dilatato dal silenzio notturno. Fece appena in tempo ad appiattirsi contro il muro quando vide affacciarsi al vano della porta finestra il suo vicino.

“Cosa è successo?”, chiese una voce dall'interno della casa.

“Sono caduti degli attrezzi, probabilmente sarà stato un animale. Rientro subito, Paolo.”

Paolo, aveva detto chiaramente Paolo e la voce proveniente dall'interno della casa era senza dubbio maschile.

Immediatamente un pensiero si formò nella sua mente: questo significava, anzi sicuramente implicava, che lei non aveva fallito e, in cuor suo, le venne da esultare.

Accompagnata da questo gratificante pensiero, se ne tornò a casa.

“Domani in ufficio arriva un nuovo collega…”, pensò e un brivido di eccitazione la percorse.

Poi, finalmente serena, chiuse gli occhi e si addormentò.

 

 
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