LA MIA AMICA
di Assunta Altieri
Ci siamo scrutate nell'anima io e la mia amica. Ci siamo scorte
nella mischia di risate e drink, di parole e sogni, di speranze e disillusioni,
di progetti e cambiamenti. Ci siamo scelte nella frescura primaverile di una
serata milanese che ha cullato le nostre prime confidenze, per nulla timide e
già affacciate sul terrazzo di un'amicizia che ci avrebbe accompagnate, lieve e
rispettosa delle nostre individualità possenti, senza up and down e prepotenze emotive. Al
Fondaco dei Mori, in via Solferino,
abbiamo stretto un patto silenzioso, sancito con la condivisione di un sentire
che ci ha portate, spesso, sulla strada delle medesime sensazioni e, talvolta,
delle medesime meschinità. Abbiamo condiviso il riso indiano e i pensieri.
Abbiamo unito i nostri contrari, nella coincidenza strana dei colori
contrastanti scelti per quella sera: io il bianco e lei il nero. E mentre
camminavamo un passo avanti a seghe mentali che non ci scalfivano, sentivamo
che insieme eravamo il tutto di qualcuno. Ridemmo di quel sentimento che ci fu
poi rivelato. A entrambe e contemporaneamente. Un'orgia della vita.
Abbiamo spalato il dolore dai davanzali delle nostre esistenze,
chiacchierando sotto il grande albero del suo giardino, alimentando con il mio
sangue mediterraneo le fameliche zanzare dell'estate successiva, ridendo
dell'avversione degli odiosi insetti verso il sangue celtico che scorre nelle
sue vene. Rientravo da Parigi, contenta di un successo professionale messo nel
taschino, e con il segreto di un amore in sboccio che aveva vagato fra le petites rues de Saint
Germain,
al ritmo del blues che si
elevava dagli angoli della fête de la musique, sulla riva della Senna animata da
musicisti e saltimbanco, nel metro
affollato di colori e idiomi, nell'atmosfera rilassata del Buddhabar, rivelato da uno
sguardo complice nell'ascensore dell'hôtel
de Crillon. Un amore scomodo,
vissuto nel silenzio, raggelato dalle acque nere del Reno a Düsseldorf
e scaldato nel Café Sacher a
Vienna, fino al suo naturale raccontarsi, e scritto su una foglia d'autunno nel
Parco Giardino di Bruxelles.
Alla mia amica, ho affidato i miei pensieri, ponendoli sulla parannanza dell'intimità della sua cucina, sorseggiando un
tè profumato di rosa. Li ho raccontati a lei perché non si perdessero nel
silenzio del loro stesso divenire, per assaporarli ancora negli anni a venire, sapientemente custoditi nel ricordo di un momento
addolcito dalle pesche al vino.
Abbiamo camminato sotto la pioggia di Milano, e scritto chilometri di emozioni.
Abbiamo fatto il bagno al lago e ho indossato le parole da lei tradotte in un
venticinque aprile che mi rimane caro per una nottata senza fine, iniziata in
un ristorante messicano e proseguita fra le sagrestie di chiese sconsacrate,
per nulla intimorita dagli sguardi allucinati dal mio essere del
tutto estranea all'alcol e alle droghe in una nottata di baldorie. Una notte, con risveglio sull'oceano, a Lanzarote,
nelle grotte di Jameos del Agua e Cueva de los Verdes, dominate dal Timanfaya, imbiancate di calce e
illuminate dall'arte inconfondibile di Cesar Manrique; fra i delfini che ti
fanno compagnia fino a Graciosa;
fra las dunas di Corralejo a Fuerteventura,
dune di sabbia e vento; davanti a un chioschetto con
un uomo grasso e sporco che affettava con un coltello affilato e unto il Patanegra, che gocciolava sugna al sole; nella spiaggetta di sabbia e ciotoli
del villaggio di pescatori sotto al Faro
del Tostón a Punta Nord, dopo chilometri
di niente che stancano le ossa traballanti su una jeep gialla.
Abbiamo letto fra le parole che ci siamo dette. Abbiamo frugato a lungo, io e
la mia amica, nelle nostre imperfezioni, senza mai irrompere nelle nostre vite,
disegnando il profilo delle nostre anime, colorando i giorni che ci hanno viste
sotto lo stesso cielo e costruendo i nostri cieli differenti. Abbiamo affidato
l'una all'altra emozioni che avremmo potuto raccontare
solo ai silenziosi muri delle nostre case. Abbiamo reso veri, raccontandoceli,
sogni muti.