IL SACCO
di Francesco Giubilei
La situazione in Italia era
ingarbugliata: gli alleati erano sbarcati in Sicilia da ormai un anno, il sud
era libero mentre il nord era ancora in mano alla
Repubblica Sociale.
L'avanzata alleata proseguiva in modo
inarrestabile, Roma era caduta da tempo ed erano giunte le prime voci della
liberazione di Perugia.
Il presidio tedesco però aveva ancora
il controllo del piccolo borgo nell'Appennino Umbro.
I collegamenti ferroviari erano stati
interrotti dai bombardamenti alleati.
Ormai in paese i fascisti non si
facevano più vedere, la condanna alla dittatura era unanime.
Non tutti però potevano dimostrare la
loro avversione nei confronti della dittatura, c'era chi aveva dei doveri,
degli obblighi, dei giuramenti da rispettare.
I dipendenti pubblici dovevano
continuare a servire, come se niente fosse accaduto, lo stato e le Istituzioni,
nonostante queste non esistessero più.
Tra questi l'arma dei Carabinieri.
Il giovane maresciallo della caserma
del borgo si incamminava, attraverso gli stretti vicoli del paese, verso la
bottega del calzolaio.
Le case, tutte abbandonate, recavano
i segni delle razzie compiute da vagabondi in cerca di qualcosa da mettere
sotto i denti.
Chi aveva la possibilità era scappato
in montagna, al riparo dalla ritirata delle truppe tedesche, nei boschi
dell'Appennino Umbro, o in vecchie baite e rifugi.
Ogni tanto il maresciallo intravedeva
qualche figura incappucciata proseguire veloce lungo la strada, senza che lo
degnasse di uno sguardo.
In realtà sapeva cosa pensavano i
passanti di lui e della sua situazione delicata.
L'alito dei partigiani aleggiava sul
paese e le azioni di sabotaggio erano sempre più frequenti.
A causa del lancio di una bomba da
parte di un partigiano (poi ucciso) aveva perso la vita un soldato tedesco.
Quel giorno il maresciallo si
ricordava di essere stato convocato al comando tedesco dove aveva avuto luogo
una discussione per più di due ore.
I tedeschi infatti
volevano compiere una rappresaglia per vendicare l'uccisione del soldato ma alla
fine, grazie a Dio, il maresciallo era riuscito, con il suo ottimo tedesco, a
evitare questo inutile massacro.
Il sacco di iuta che portava sulle
sue larghe spalle ciondolava pericolosamente ad ogni sbalzo del terreno e ad
ogni sali e scendi che era costretto a fare a causa della stradina dissestata.
Si stava avvicinando alla piazza del
paese dove c'era la bottega di Giuseppe, calzolaio antifascista da sempre.
Giunto in prossimità della piazza,
prima di scorgere l'antica chiesa intravide fuori da
un negozio, quello di generali alimentari di sor Antonio, una piccola folla di
persone.
Tutti smisero di parlare al suo
passaggio.
Gli occhi di tutti erano rivolti
verso la divisa da carabiniere che indossava e al sacco che sorreggeva a fatica
sulle spalle.
Con un cenno del capo salutò il gruppetto ma nessuno ricambiò quel saluto.
In tutta risposta Cecchinelli,
ex membro del Pci ed ora
probabilmente partigiano, sputò a terra toccandosi con le grandi mani
piene di calli a causa del suo lavoro nei campi i folti baffi neri.
Si raccontava in paese che quando nel
'34 un gruppo di camicie nere si era recato a casa sua per chiedergli perché
non avesse la tessera del partito, Cecchinelli aveva
risposto con grande coraggio “perché io non sono un fascista di merd…” e prima di finire la frase fosse stato prelevato dai militari e portato nella piazza del paese dove fu
purgato con l'olio di ricino.
Davanti a molti cittadini ammutoliti
per la scena invece di sentirsi umiliato aveva preso un grande tovagliolo di
stoffa ed in segno di fierezza si era pulito i baffi.
Finalmente il maresciallo era
arrivato alla bottega del calzolaio.
Per fortuna i soldati tedeschi che
erano di guardia nella piazza non l'avevano notato altrimenti gli avrebbero
chiesto che cosa c'era in quel sacco.
Aprì la vecchia porta in legno e lasciò cadere dalle sue spalle il pesante
fardello.
Il calzolaio trasalì, non si era
accorto della sua entrata e stava lavorando una scarpa con una suola in legno molto rovinata.
- Qual buon vento maresciallo?
- Ormai in paese non tira più un buon
vento, Giuseppe, i comunisti sono pronti a prendere il potere e per quelli come
me sarà davvero dura.
- Su, non dire così. Vuoi un
bicchiere di vino rosso? Me l'ha portato sora
Marianna, lei e suo marito ne l'avevano una scorta in
cantina ma ora sono andati su in montagna alla loro cascina.
- Lo vedi, la gente ha paura.
Promettimi almeno che mi difenderai.
- Per quel che conta la mia voce. Io
sono stato da sempre un antifascista convinto, non ho mai appoggiato il regime.
ma sono offuscato da questi anti
fascisti dell'ultima ora che pretendono di dettare legge. Io li conosco questi.
Quando c'era Mussolini stavano con lui, ora si dichiarano
estranei al regime perché vogliono avere cariche politiche dopo la liberazione.
- Ma io che posso fare? Ho sempre
servito lo stato con grande fedeltà. Sono sempre stato un uomo senza bandiere,
ho sempre fatto il mio dovere.
- Me ne rendo conto, ma che cos'è
quel sacco?
- E' farina voglio che la consegni ai
partigiani perché capiscano che io non sono contro di loro.
Giuseppe gli porse il suo bicchiere e
versò il vino rosso.
Alcune gocce schizzarono fuori nel
bancone di legno.
La vecchia bottega apparteneva alla
famiglia di Giuseppe da anni.
Già suo padre ci lavorava.
Suo nonno l'aveva acquistata con un
grande sacrificio economico per coronare il sogno di suo figlio.
Luigi era attratto dalle scarpe come
non lo era per nessun altra cosa ed aveva trasmesso la passione al figlio.
Il maresciallo bevve tutto il
bicchiere senza prendere fiato.
La salita l'aveva spolpato.
-Te ne verso altro?
- No, grazie, tra un'ora entro in
servizio - accompagnò quella frase con una smorfia del volto. Aveva perso
fiducia nel suo lavoro.
Lui che si era arruolato da
giovanissimo perché attratto dalla divisa, lui che, come scherzava sua sorella,
ci era nato con la divisa non credeva più in quello che faceva.
Non servirono a nulla le parole di
conforto di Giuseppe.
Dopo alcuni minuti il maresciallo
uscì, sconsolato alla volta della caserma per fare l'ultimo turno di lavoro
prima della liberazione.
Quella notte
infatti un via vai continuo interessò il piccolo borgo.
Le truppe tedesche si ritirarono
verso nord mentre la prima camionetta alleata scese da
un monte cittadino.
In comune il capo del C.L.N.
cittadino, alcuni partigiani e il comandante del presidio patrioti discussero
con il capitano della polizia inglese.
La cittadina venne
dichiarata “occupata per conto di S.M. britannica” e affidata in presidio ai
partigiani.
Questa notizia contribuì a
impensierire il maresciallo.
Il sacco di farina che aveva donato ai partigiani solo alcuni giorni prima e che era un bene
preziosissimo, ora non aveva più nessun valore davanti alle tavolette di
cioccolato, allo zucchero, ai barattoli di carne in scatola portati dagli
inglesi.
Due giorni dopo Cecchetti entrò nella bottega di Giuseppe per
ritirare un vecchio paio di scarpe.
- Hai sentito Peppe del Maresciallo?
Brutta faccenda davvero-
- Perché cos'è successo? - chiese
allarmato.
- Un gruppo di partigiani l'ha
malmenato, sai era un ex fascista.
- Ma come? Ti avevo consegnato quel
sacco di farina che aveva offerto ai partigiani.
- Mi avevi consegnato? Ma io che
c'entro?
Cecchetti ritirò
dal bancone le sue scarpe e prese i soldi per pagarle.
Mentre usciva dalla bottega Giuseppe
notò qualcosa di bianco uscire dalla tasca di Cecchetti:
farina.
Anche le grandi banconote erano
copiosamente imbiancate.
Allora il calzolaio comprese.
Un senso di malessere lo pervase.
L'episodio rafforzò la sua sfiducia
negli uomini.