Se
una panchina al parco
di
massimolegnani
Forse,
anziché stare lì in poltrona a guardarmi l´ombelico, dovrei
andare al parco come tanti miei coetanei, il sacchetto in mano del
mangime, distribuire briciole e dirimere le liti tra piccioni e
passeri, privilegiare i deboli e castigare i prepotenti come fossi un
provvidenziale dio della giustizia.
Forse.
Salvaguardare i passeri e intanto intrecciare, con altri anziani di
pari mia noia e identica ovvietà, discussioni sui filoni
inesauribili d´infimo livello, calcio, caldo e cataclismi. Senza
tralasciare ghiotte divagazioni sui lavori in corso di via Mazzini.
Che
squallore! No, non fa per me questo appassire nella scontatezza che
prima che si apra bocca sai già la frase trita che ne uscirà.
No,
se proprio devo andare al parco, mi cerco una panchina in ombra dove
buttare l´esca di una parola dall´apparenza inoffensiva, margine,
trota, curva, e da quella
divagare nei miei meandri astrusi, sperando che qualcuno ascolti, il
bimbetto con la palla, la dog sitter alle prese con tre cani, un
volpino, un labrador e un setter, la signora all´uncinetto, il
vecchio col giornale.
Ho
sempre avuto problemi con i margini, di
guadagno?, chiede il mio
vicino forse memore di antichi azzardi in borsa, no,
dei quaderni a scuola, gli
rispondo, facendo partire lo sproloquio. È che non sono mai riuscito
a stare dentro i bordi, le linee verticali che sancivano il confine.
Non volevo spezzare la parola, mi sembrava un sacrilegio, e con la
parola il pensiero da mantenere nella riga, se andavo a capo
diventava un´altra storia. E mi è rimasta addosso questa
incapacità di rispettare i margini, perché il carattere si forma
fino a sette anni, poi è un continuo replicare gli stessi
atteggiamenti. Così a volte saltavo il limite con esuberanza, altre
inciampavo e cadevo nel ridicolo. Guardo il vecchio al mio fianco, ha
rituffato la testa nel giornale, forse sonnecchia, di sicuro non mi
ascolta. La signora dell´uncinetto, invece, non s´è persa una
parola ed è furente, si alza di scatto, mi addita con l´uncinetto,
inveisce: non potrebbe parlare
come tutti del tempo, delle mezze stagioni, del telegiornale? Questo
suo scavare nel proprio privato, il renderlo pubblico in una
confidenza non richiesta, ha qualcosa di osceno.
Si liscia la gonna come a riportare ordine alle cose e se ne va a
cercare una panchina meno destabilizzante.
Mi
restano il bambino e la dog sitter. Mi rivolgo al primo, alla
tua età mi spaventava il mondo ma sentivo l´attrazione per
l´ignoto oltre i margini del foglio. Prima
che gli chieda quanti anni ha, lui fa rimbalzare tre volte il pallone
a terra poi lo lancia lontano e lo insegue scomparendo alla mia
vista.
Ero
io la trota grassa, confido
all´unica persona rimasta, facevo
grandi cerchi piroettando al centro dello stagno.
Accompagno le parole con un gesto della mano a disegnare l´arco
della trota che guizza a pelo d´acqua. La dog sitter ha uno sguardo
perso da vetro opaco e qualche buco sulle braccia. Non demordo, amo
tutto ciò che curva e non conclude.
Lei mi guarda smarrita mentre il setter inizia a ringhiare fissandomi
torvo come non gradisse le mie parole. Tento di proseguire ma ora
anche gli altri cani abbaiano, ululano, ringhiano e la loro cagnara
sovrasta la mia voce. Taccio ma loro ormai sono impazziti, si mettono
a correre strattonando i guinzagli e trascinando via la stralunata
dog sitter che sembra fare sci nautico sulla ghiaia del vialetto.
Sono
rimasto solo e inascoltato. Ma se una panchina al parco porta a
questi risultati, meglio la poltrona a guardarmi l´ombelico.