L´accesso
negato
di
massimolegnani
Sommando
liquidazione, risparmi e piccoli prestiti da parte di alcuni amici,
Adele era riuscita ad acquistare una porzione della dimora signorile
da poco ristrutturata e poi smembrata in cinque proprietà.
Per
la cifra che aveva messo faticosamente insieme le era toccato
l´appartamento più piccolo, senza diritto all´uso del giardino,
il parco dicevano in paese, che si estendeva, ampio e
rigoglioso, nel retro della casa. Gli altri quattro proprietari non
mancarono nel tempo, di far notare ad Adele come la preclusione del
giardino facesse di lei una proprietaria di serie b.
I
suoi due locali erano stati ricavati dagli ambienti delle vecchie
cucine di cui l´architetto aveva mantenuto i muri originali a vista
e la grande cappa dove un tempo c´erano il camino e i fornelli. A
lei era piaciuto quell´angolo che un tempo era stato il cuore
pulsante della casa e ne aveva fatto la sua camera da letto, la cappa
sfruttata come un originale baldacchino. Dormire dove per generazioni
erano stati cotti i cibi le sembrò da subito una nota di allegra
stravaganza in una vita fin troppo convenzionale. La seconda camera
in origine fungeva da dispensa adiacente alla cucina e presentava
numerose nicchie negli spessi muri per la conservazione degli
alimenti; con Adele quelle nicchie divennero ricovero dei libri e di
tanti oggetti senza fissa dimora. La stanza dava accesso al terrazzo
che si sviluppava lungo la facciata posteriore della casa e offriva
una vista d´insieme sul giardino. Naturalmente lei di quel terrazzo
possedeva solamente una piccola porzione d´angolo, separata dal
resto da una grata in ferro.
Nonostante
l´esiguità degli spazi, quei pochi metri quadrati di piastrelle e
ringhiere divennero ben presto un luogo accogliente, il preferito di
Adele. Per prima cosa aveva fatto correre dei rampicanti sulla grata,
un gelsomino e una clematide intrecciati, per escludersi alla vista
dei vicini e sottrarsi all´obbligo di impacciati convenevoli. Poi
aveva riempito ogni spazio, soprattutto vicino alla ringhiera, di
piante e fiori in vaso per impedirsi di affacciarsi sul giardino che
le era precluso. Quello era il suo unico cruccio, non poter scendere
a passeggiare tra i vialetti, camminare a piedi nudi sull´erba,
raccogliere qualche fiore, bearsi gli occhi allo stagno delle ninfee.
E le faceva male anche la trascuratezza in cui versava il giardino.
Tra i cinque proprietari lei era l´unica a vivere lì in pianta
stabile, gli altri erano torinesi che venivano in campagna nei fine
settimana e non sempre avevano voglia di rasare il prato o di bagnare
le piante. C´era sì un giardiniere che ogni quindici giorni
svolgeva i lavori più grossi e impegnativi, ma mancava una mano
quotidiana che accudisse con amore le ortensie, le rose, le forsizie
e tutto quel bendidio che lentamente deperiva. Così era meglio non
vedere, Adele si sedeva sulla sdraio a leggere circondata dalla
barriera verde che aveva creato, cercando di dimenticare che cosa ci
fosse oltre. Ma non era facile.
La
svolta avvenne quasi per caso: una domenica aveva invitato per un tè
i Riboldi, i vicini con cui aveva qualche confidenza. Questi con poco
tatto si lamentarono delle fatiche del giardinaggio, lei con
noncuranza aveva dato qualche consiglio su come sfruttare le zone
umide e quelle più soleggiate mettendo a dimora le piante più
adatte che elencò con una competenza un po´ saccente, finchè la
signora Riboldi con una certa stizza disse brava, perché non ci
pensa lei? Adele anziché offendersi per il sarcasmo implicito
nella proposta, rispose con prontezza volentieri, se mi pagate
bene, perché il giardino non è mio.
La
sera stessa i Riboldi ne parlarono con gli altri proprietari che
concordi, prima di rientrare in città, proposero ad Adele di curare,
dietro un adeguato compenso, la manutenzione del giardino. Lei
accettò con un sorriso distaccato come facesse loro un favore, ma in
cuor suo gioiva per la realizzazione del suo sogno.