La
fine della famiglia patriarcale
di
Sergio Menghi
La
fine della famiglia patriarcale avveniva di solito, ma non
necessariamente, con un atto di divisione con il quale cessava il
contratto di mezzadria e si passava alla conduzione diretta o a una
nuova attività artigianale o commerciale o nel campo dei servizi.
Nel
mio caso si è passati alla conduzione diretta di un fondo più
piccolo, di circa 5 ettari, nei pressi di Camerino.
Tale
scelta fu molto analizzata dai miei familiari che decisero, alla
fine, di propendere per una soluzione che avrebbe portato
gradualmente al passaggio dall'agricoltura ai servizi, attraverso una
formazione scolastica adeguata e Camerino aveva le caratteristiche
per garantire ciò.
Vi
erano infatti tutte le scuole di livello superiore alle medie e anche
l'università, ma quest'ultima era vista, dalla mia famiglia, come
una meta non idonea al nostro ceto sociale e culturale.
Poi,
per me, le cose si sono messe diversamente per puro caso, infatti mia
zia Annina, dopo avermi aiutato a superare la barriera delle scuole
medie, mi consigliò di frequentare una scuola tecnica, al fine di
conseguire un diploma, già strumento utile, a quei tempi, per
trovare una occupazione.
Io
trovai subito una occasione di lavoro presso un negozio di mobili a
San Severino.
Il
mio compito era, sulla carta, molto professionale perché dovevo
redigere un inventario per conto di una socia occulta che voleva
vederci più chiaro sulla dinamica dell´azienda. Infatti svolgeva
una mole di lavoro costantemente in crescita, ma non si conoscevano i
dati patrimoniali e di conto economico.
La
mia teoria, senza la pratica, non riusciva a trarre il
ragno dal buco; sapevo, tra le altre cose, che bisognava fermare
l´attività per il tempo necessario alla redazione del bilancio, ma
in questo caso, parlare di fermo sarebbe stato come suicidarsi.
Non
c´era mai tregua, nemmeno nei giorni festivi, anzi era proprio in
quei giorni che arrivavano i capi famiglia, dalle vicine contrade,
per acquistare gli arredi per le nuove famiglie che si componevano
con il matrimonio dei figli.
Erano
gli anni del boom economico e a creare la liquidità, necessaria per
fare gli acquisti, non c´era il denaro, ma le cambiali, nei casi
più critici, poi sostituite dalle ricevute bancarie che venivano
cedute ai fornitori, come se fosse denaro contante, per finire poi
alle banche che le avrebbero poste all´incasso servendosi della
loro rete distributiva.
Un
meccanismo che mi fa pensare, ai giorni nostri, alla cessione del
credito d´imposta nei vari tipi di bonus messi in atto dai recenti
governi, al fine di creare crescita economica orientata a finalità
specifiche: efficientamento energetico, strutture antisismiche,
risanamento ambientale.
Solo
che, appena diplomato, io non avevo l´apertura mentale per
comprendere queste dinamiche. Il proprietario del negozio, invece, mi
stimava e mi avrebbe confermato nel lavoro se non fosse accaduto
quanto segue.
A
portarmi all'università di Perugia, alla facoltà di Economia e
Commercio, fu un mio compagno di scuola, un certo Giuseppe, amico
intelligente, di indole vivace, che mi convinse con semplici parole.
Mi
disse: 'perché vuoi andare a lavorare così giovane, siamo gli unici
ad aver conseguito il diploma di ragioneria con la media del sette,
abbiamo la possibilità di iscriverci all'Università di Perugia con
il presalario, con il quale ci danno
tutto gratis, vitto e alloggio compreso, oltre ad un compenso
mensile di 5.000 lire al mese per le piccole spese´.
E
aggiunse: `ma soprattutto abbiamo la possibilità di conoscere le
straniere, ragazze molto emancipate rispetto alle nostre, che ci
potranno far vivere una vita mai immaginata, nemmeno nei sogni'.
E
fu così che, come Pinocchio convinto da Lucignolo, partimmo per il
paese dei balocchi, non trovammo Mangiafuoco o forse riuscimmo a
schivarlo, vivemmo gran parte di quella rivoluzione culturale che va
sotto il nome del sessantotto.
In
quel periodo io frequentavo un poco, per altri motivi, diversi dallo
studio, la facoltà di lettere e filosofia ed era un continuo di
assemblee degli studenti che discutevano di argomenti che io capivo
poco, penso che fosse la mia cultura rurale a farmeli disconoscere,
non capivo il perché di tutta quella rabbia che covava dentro gli
animi degli studenti e delle studentesse in particolare.
Voglio
raccontare un episodio che mi accadde e dimostra quanto ancora io
fossi ingenuo nonostante la mia maggiore età.
Uno
studente della facoltà di lettere, piccolo di statura ma molto
vivace e attivista nel movimento studentesco abitava, come me, alla
casa dello studente e mangiavamo spesso insieme alla mensa
universitaria.
Un
giorno mi disse di andarlo a trovare in camera per affidarmi un
compito speciale. Io andai, in quanto noi della casa dello studente
ci conoscevamo abbastanza bene ed eravamo legati da un rapporto di
relativa amicizia.
Lo
trovai pronto, con un foglio di carta bianca sul tavolo, da un lato,
ed un altro di carta assorbente imbevuta di inchiostro nero,
dall'altro.
Mi
disse di impregnare tutte e due le mani con
l'inchiostro nella carta assorbente e depositare l'impronta sul
foglio bianco.
Io
eseguii, pensando che volesse fare uno scherzo a qualcuno, lui
confermò che si trattava proprio di uno scherzo in una festa di
compleanno.
Il
giorno dopo tutti gli ambienti studenteschi delle varie facoltà di
Perugia erano pieni di un manifesto con la scritta: "GIU' LE MANI
DALL'ORUP" e sotto due grandi mani che non potevano che essere le
mie.
La
via d'accesso alla mensa era piena di questi manifesti ed anche le
ragazze straniere osservavano con attenzione queste mani che, dal
vivo, non erano mai state apprezzate prima.
Quando
passai davanti al cassiere con il vassoio in mano mi venne il
sospetto che mi potesse intercettare anche il Direttore della mensa,
che controllava ogni cosa, mi diede la solita occhiata di compiacenza
che bastò a mettermi a mio agio ed a farmi comprendere che sapevano
ed approvavano.
L'ORUP
era l'Opera Universitaria Perugina e, come tutti gli enti pubblici,
erano molto oggetto di contesa a livello politico, insomma, avevo
dato il mio contributo con il minimo sforzo, senza che mi distraessi,
più di tanto, dai miei studi che era la cosa fondamentale.
Tornando
indietro nel tempo di ben 13 anni dalla data dei fatti sopra
descritti vorrei completare il racconto del periodo del distacco
dalla coltivazione del fondo a mezzadria ed il passaggio a quello,
più piccolo, a conduzione diretta.
Ricordo
che è stato abbastanza traumatico. Le famiglie dovevano passare,
alcuni mesi, divise e coabitare con una parte di quella subentrante.
Mio
nonno e la famiglia di mio padre siamo andati ad abitare
nella casa colonica di Camerino, mia nonna con la famiglia dello zio
Venanzio rimasero, fino al periodo della stima, cioè della
valutazione dei beni ceduti, nel fondo che andavamo a lasciare,
coabitando, per un po´ di mesi, con una parte della famiglia
subentrante.
La
casa di Camerino, essendo più piccola e dovendo ospitare, per alcuni
mesi, anche una parte della famiglia che avrebbe lasciato l'attività
agricola, non aveva sufficiente capienza per tutti e ci si doveva
arrangiare nel migliore dei modi.
Si
dovevano anche fare dei lavori edili per creare gli spazi per tutti i
componenti della nostra famiglia quando si sarebbe riunita. Io mi
ricordo che in quel periodo conobbi uno dei coabitanti di nome
Giovanni che parlava sempre della Juventus, ma io non sapevo di che
si trattasse.
La
televisione non era ancora arrivata a casa, sarebbe arrivata prima la
radio e poi la TV, ma diversi anni dopo quel 1955. In ogni modo si
accendeva solo la sera per ascoltare il telegiornale nelle ore di
cena.
Da
quanto detto emerge che cominciava a serpeggiare un certo nervosismo
nelle relazioni familiari a causa del ridotto tenore di vita.
Parte
della nostra famiglia cercò anche di trovare un lavoro a Roma, come
era accaduto per tante altre, ma non ci riuscì e quindi rimase unita
fino alla scomparsa, ad uno ad uno, dei vari componenti: il nonno,
poi la nonna, poi mio padre, mio zio, mia zia ed ultima mia madre nel
2004. Comunque il ricordo è sempre molto vivo in noi discendenti e
credo lo sarà ancora per molto.
Ripensandoci
ora, quel nervosismo, a cui accennavo sopra, poteva essere una
flebile scintilla di quel più vasto incendio che stava cominciando a
divampare nelle aree industrializzate
del Nord, con masse di emigrati dal Sud, disadattate
nel nuovo ambiente di lavoro, cosa che, in Inghilterra era avvenuta
molto prima con la rivoluzione industriale e che in Germania aveva
fatto nascere il marxismo.
Ma
il sessantotto aveva nel braciere, a mio avviso, anche altra carne a
cuocere.
Conteneva
l'inizio della rivoluzione femminile, mai finita e tuttora in corso.
Ad
esempio, quella valutazione tipica di noi maschi di allora, che
vedevamo nelle straniere il modello emancipato di donna, non era per
niente gradito alle nostre ragazze che volevano, quanto meno, avere
la libertà di decidere, sganciandosi dai vincoli imposti dalle
famiglie.
Ma,
anche in questo caso, vale il detto che tra il dire ed il fare c'è
di mezzo il mare. E lascio a ciascuno la propria interpretazione.
Da
Ricordi