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  Scritti di altri autori  »  Narrativa  »  La fine della famiglia patriarcale, di Sergio Menghi 30/05/2024
 

La fine della famiglia patriarcale

di Sergio Menghi



La fine della famiglia patriarcale avveniva di solito, ma non necessariamente, con un atto di divisione con il quale cessava il contratto di mezzadria e si passava alla conduzione diretta o a una nuova attività artigianale o commerciale o nel campo dei servizi.

Nel mio caso si è passati alla conduzione diretta di un fondo più piccolo, di circa 5 ettari, nei pressi di Camerino.

Tale scelta fu molto analizzata dai miei familiari che decisero, alla fine, di propendere per una soluzione che avrebbe portato gradualmente al passaggio dall'agricoltura ai servizi, attraverso una formazione scolastica adeguata e Camerino aveva le caratteristiche per garantire ciò.

Vi erano infatti tutte le scuole di livello superiore alle medie e anche l'università, ma quest'ultima era vista, dalla mia famiglia, come una meta non idonea al nostro ceto sociale e culturale.

Poi, per me, le cose si sono messe diversamente per puro caso, infatti mia zia Annina, dopo avermi aiutato a superare la barriera delle scuole medie, mi consigliò di frequentare una scuola tecnica, al fine di conseguire un diploma, già strumento utile, a quei tempi, per trovare una occupazione.

Io trovai subito una occasione di lavoro presso un negozio di mobili a San Severino.

Il mio compito era, sulla carta, molto professionale perché dovevo redigere un inventario per conto di una socia occulta che voleva vederci più chiaro sulla dinamica dell´azienda. Infatti svolgeva una mole di lavoro costantemente in crescita, ma non si conoscevano i dati patrimoniali e di conto economico.

La mia teoria, senza la pratica, non riusciva a trarre il ragno dal buco; sapevo, tra le altre cose, che bisognava fermare l´attività per il tempo necessario alla redazione del bilancio, ma in questo caso, parlare di fermo sarebbe stato come suicidarsi.

Non c´era mai tregua, nemmeno nei giorni festivi, anzi era proprio in quei giorni che arrivavano i capi famiglia, dalle vicine contrade, per acquistare gli arredi per le nuove famiglie che si componevano con il matrimonio dei figli.

Erano gli anni del boom economico e a creare la liquidità, necessaria per fare gli acquisti, non c´era il denaro, ma le cambiali, nei casi più critici, poi sostituite dalle ricevute bancarie che venivano cedute ai fornitori, come se fosse denaro contante, per finire poi alle banche che le avrebbero poste all´incasso servendosi della loro rete distributiva.

Un meccanismo che mi fa pensare, ai giorni nostri, alla cessione del credito d´imposta nei vari tipi di bonus messi in atto dai recenti governi, al fine di creare crescita economica orientata a finalità specifiche: efficientamento energetico, strutture antisismiche, risanamento ambientale.

Solo che, appena diplomato, io non avevo l´apertura mentale per comprendere queste dinamiche. Il proprietario del negozio, invece, mi stimava e mi avrebbe confermato nel lavoro se non fosse accaduto quanto segue.

A portarmi all'università di Perugia, alla facoltà di Economia e Commercio, fu un mio compagno di scuola, un certo Giuseppe, amico intelligente, di indole vivace, che mi convinse con semplici parole.

Mi disse: 'perché vuoi andare a lavorare così giovane, siamo gli unici ad aver conseguito il diploma di ragioneria con la media del sette, abbiamo la possibilità di iscriverci all'Università di Perugia con il presalario, con il quale ci danno tutto gratis, vitto e alloggio compreso, oltre ad un compenso mensile di 5.000 lire al mese per le piccole spese´.

E aggiunse: `ma soprattutto abbiamo la possibilità di conoscere le straniere, ragazze molto emancipate rispetto alle nostre, che ci potranno far vivere una vita mai immaginata, nemmeno nei sogni'.

E fu così che, come Pinocchio convinto da Lucignolo, partimmo per il paese dei balocchi, non trovammo Mangiafuoco o forse riuscimmo a schivarlo, vivemmo gran parte di quella rivoluzione culturale che va sotto il nome del sessantotto.

In quel periodo io frequentavo un poco, per altri motivi, diversi dallo studio, la facoltà di lettere e filosofia ed era un continuo di assemblee degli studenti che discutevano di argomenti che io capivo poco, penso che fosse la mia cultura rurale a farmeli disconoscere, non capivo il perché di tutta quella rabbia che covava dentro gli animi degli studenti e delle studentesse in particolare.

Voglio raccontare un episodio che mi accadde e dimostra quanto ancora io fossi ingenuo nonostante la mia maggiore età.

Uno studente della facoltà di lettere, piccolo di statura ma molto vivace e attivista nel movimento studentesco abitava, come me, alla casa dello studente e mangiavamo spesso insieme alla mensa universitaria.

Un giorno mi disse di andarlo a trovare in camera per affidarmi un compito speciale. Io andai, in quanto noi della casa dello studente ci conoscevamo abbastanza bene ed eravamo legati da un rapporto di relativa amicizia.

Lo trovai pronto, con un foglio di carta bianca sul tavolo, da un lato, ed un altro di carta assorbente imbevuta di inchiostro nero, dall'altro.

Mi disse di impregnare tutte e due le mani con l'inchiostro nella carta assorbente e depositare l'impronta sul foglio bianco.

Io eseguii, pensando che volesse fare uno scherzo a qualcuno, lui confermò che si trattava proprio di uno scherzo in una festa di compleanno.

Il giorno dopo tutti gli ambienti studenteschi delle varie facoltà di Perugia erano pieni di un manifesto con la scritta: "GIU' LE MANI DALL'ORUP" e sotto due grandi mani che non potevano che essere le mie.

La via d'accesso alla mensa era piena di questi manifesti ed anche le ragazze straniere osservavano con attenzione queste mani che, dal vivo, non erano mai state apprezzate prima.

Quando passai davanti al cassiere con il vassoio in mano mi venne il sospetto che mi potesse intercettare anche il Direttore della mensa, che controllava ogni cosa, mi diede la solita occhiata di compiacenza che bastò a mettermi a mio agio ed a farmi comprendere che sapevano ed approvavano.

L'ORUP era l'Opera Universitaria Perugina e, come tutti gli enti pubblici, erano molto oggetto di contesa a livello politico, insomma, avevo dato il mio contributo con il minimo sforzo, senza che mi distraessi, più di tanto, dai miei studi che era la cosa fondamentale.

Tornando indietro nel tempo di ben 13 anni dalla data dei fatti sopra descritti vorrei completare il racconto del periodo del distacco dalla coltivazione del fondo a mezzadria ed il passaggio a quello, più piccolo, a conduzione diretta.

Ricordo che è stato abbastanza traumatico. Le famiglie dovevano passare, alcuni mesi, divise e coabitare con una parte di quella subentrante.

Mio nonno e la famiglia di mio padre siamo andati ad abitare nella casa colonica di Camerino, mia nonna con la famiglia dello zio Venanzio rimasero, fino al periodo della stima, cioè della valutazione dei beni ceduti, nel fondo che andavamo a lasciare, coabitando, per un po´ di mesi, con una parte della famiglia subentrante.

La casa di Camerino, essendo più piccola e dovendo ospitare, per alcuni mesi, anche una parte della famiglia che avrebbe lasciato l'attività agricola, non aveva sufficiente capienza per tutti e ci si doveva arrangiare nel migliore dei modi.

Si dovevano anche fare dei lavori edili per creare gli spazi per tutti i componenti della nostra famiglia quando si sarebbe riunita. Io mi ricordo che in quel periodo conobbi uno dei coabitanti di nome Giovanni che parlava sempre della Juventus, ma io non sapevo di che si trattasse.

La televisione non era ancora arrivata a casa, sarebbe arrivata prima la radio e poi la TV, ma diversi anni dopo quel 1955. In ogni modo si accendeva solo la sera per ascoltare il telegiornale nelle ore di cena.

Da quanto detto emerge che cominciava a serpeggiare un certo nervosismo nelle relazioni familiari a causa del ridotto tenore di vita.

Parte della nostra famiglia cercò anche di trovare un lavoro a Roma, come era accaduto per tante altre, ma non ci riuscì e quindi rimase unita fino alla scomparsa, ad uno ad uno, dei vari componenti: il nonno, poi la nonna, poi mio padre, mio zio, mia zia ed ultima mia madre nel 2004. Comunque il ricordo è sempre molto vivo in noi discendenti e credo lo sarà ancora per molto.

Ripensandoci ora, quel nervosismo, a cui accennavo sopra, poteva essere una flebile scintilla di quel più vasto incendio che stava cominciando a divampare nelle aree industrializzate del Nord, con masse di emigrati dal Sud, disadattate nel nuovo ambiente di lavoro, cosa che, in Inghilterra era avvenuta molto prima con la rivoluzione industriale e che in Germania aveva fatto nascere il marxismo.

Ma il sessantotto aveva nel braciere, a mio avviso, anche altra carne a cuocere.

Conteneva l'inizio della rivoluzione femminile, mai finita e tuttora in corso.

Ad esempio, quella valutazione tipica di noi maschi di allora, che vedevamo nelle straniere il modello emancipato di donna, non era per niente gradito alle nostre ragazze che volevano, quanto meno, avere la libertà di decidere, sganciandosi dai vincoli imposti dalle famiglie.

Ma, anche in questo caso, vale il detto che tra il dire ed il fare c'è di mezzo il mare. E lascio a ciascuno la propria interpretazione.


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