L´ultimo
sortilegio
di
Grazia Giordani
II
«Buon
giorno, disse lei, semplicemente.
Io sorrisi e rimasi un po´a
fissarla. «Entra» - dissi poi.
Mi diede il foulard e
l´impermeabile, e fu allora che avvertii il suo profumo forte e
penetrante: sapeva di gardenia. Certi profumi mi colgono come di
sorpresa, mi confondono e mi si attaccano addosso, senza che io possa
farci niente; per questo non amo i profumi.
Lei, entrando nella
casa che tante volte aveva tentato di immaginare, si guardò intorno
come se cercasse qualcosa.
«Esito perché mi sento così
estranea, spiegò.
Le indicai il divano. Si sedette con l´aria
di ubbidire. Ogni suo gesto sembrava suggerito da un bisogno di
ubbidienza.
«Quasi quasi vado nell´altra stanza e ti parlo al
telefono» - scherzai.
«Oh, sì. Fallo» - implorò lei,
divertita. Le sue gambe fasciate dalla seta delle calze, brillavano
nervose. Il suo tailleur verde scuro faceva pensare alla divisa delle
hostess. I capelli biondi erano leggermente scomposti sulla fronte,
le sue labbra rosseggiavano spavalde, come capita alle signore di
provincia.
«Ti ho deluso» - disse lei.
Le presi una mano
e l´avvicinai alle labbra. Lei si abbandonò sulla spalliera del
divano. Mi fissò con espressione stupita.
Il mio pigiama, sotto
l´accappatoio casalingo,appariva spiegazzato, sapeva di sonno
innocente.
«Stavo dormendo» - le dissi, sedendole
accanto.
«Sto soltanto qualche minuto, ho un treno tra meno di
un´ora» - disse lei.
«Una tappa propedeutica»
«In un
certo senso sì»
«Sai che la mattina sono più disposto che la
sera?»
Eccolo quel suo respiro che tante volte avevo udito nel
parlare con lei al telefono. Le presi il volto tra le mani e la
baciai. Lei chiuse gli occhi e si abbandonò. Il suo profumo ora mi
eccitava e mi eccitavano le sue gambe, fasciate di seta chiara. Il
respiro, quel respiro.
«Ora devo andare» - disse lei - con
quella sua bocca che mi appariva come il frutto del peccato.
III
La
vidi uscire dalla stanza con passo lieve, un po´ stordita.
L´accompagnai all´ascensore e la strinsi un´ultima volta tra le
mie braccia.
Rientrato in casa, mi guardai allo specchio. Una
traccia del suo rossetto sembrava allargare il mio labbro superiore
che mi affrettai a ripulire; ma non feci subito una doccia, non
volevo togliermi di dosso anche il suo profumo. Mi piaceva adesso
sentirlo vivo come un caldo ricordo sulla mia pelle, dentro le pieghe
del mio pigiama e negli spazi del mio immaginario. Cominciavo a venir
meno a uno dei miei principi; non era più tanto vero che tutti i
profumi mi venissero a noia: il suo sapeva di lei, era lieve e
sensuale ad un tempo, fresco e carnale, contraddittorio e forse
proprio per questo non volevo separarmene.
***
Uscì
dall´ascensore barcollando un poco, come se fosse in preda ad una
sottile ebbrezza, come se delle stuzzicanti bollicine di champagne la
vellicassero dentro. .Per non soffrire troppo del distacco, immaginò
situazioni che avrebbe voluto vivere con lui. Pensò a un concerto
gustato in sua compagnia. Le aveva detto di amare Mahler. Ecco, erano
a teatro ad ascoltare la sinfonia N.4; sedevano accostati, la coscia
di lei fasciata di velluto nero strisciava contro quella di lui,
chiusa dentro una morbida stoffa di lana. Un brivido caldo percorreva
la loro carne, le mani si cercavano e parlavano la lingua delle dita
che sanno dire e dare, dare tanto.
Ecco, erano al ristorante e
lei si chinava sul piatto più del dovuto e poi si sfilava una
scarpina e, maliziosa, posava per un attimo il suo piccolo piede fra
le sue gambe.
Ecco,erano in riva al mare e passeggiavano
tenendosi stretti, illanguiditi dall´ultimo sole al tramonto Gli
occhi di M. brillavano di una folgorante luce scura e nella sua voce
vibravano quelle affascinanti note profonde che le entravano dentro,
sempre più dentro.
Magia di sogni lontani, inverosimili,
letterariamente vagheggiati.