Il
miele del diavolo
di
massimolegnani
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Si ricorda, maresciallo? Le spiegavo che in inverno non sarebbe
potuto succedere. D´inverno è
troppo freddo per fermarsi a riflettere, le dicevo tutto infervorato,
non si lasciano pause morte tra un fare e l´altro, siamo atomi
agitati, non c´è la temperatura adatta a farsi domande
esistenziali che poi non sai dove ti portino. Lei mi guardava
perplesso, aveva sollevato la visiera del berretto con la fiamma
d´ordinanza come per scrutare meglio le mie rughe, trovare forse in
quelle il senso del mio vaneggiare. Sostenevo che a
gennaio non puoi soppesare un tradimento, misurare uno sgarbo,
nemmeno immaginare una reazione. Ma in estate, con tutte quelle ore
lente, quegli atomi immobili, in estate ti fai le domande e sei tutto
un ribollire di risposte rancorose.
Beh,
me lo lasci dire, erano tutte fesserie che le spiattellavo per
giustificare il mio delitto.
Forse
ci credevo davvero, ma adesso mi rendo che era una stupidaggine: sì,
anche a gennaio puoi avere buoni motivi per uccidere. E non mi guardi
con quella faccia smarrita, maresciallo.
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Si figuri se non me lo ricordo, signor Legnani, è stato il delitto
più efferato della mia carriera. Quella matita infilzata
nell´occhio, diomio che orrore! Ma mi meraviglio di trovarla qui,
la credevo giustamente in galera.
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Mi hanno assolto per non aver commesso il fatto, anzi, a essere più
precisi, perché il fatto non sussiste.
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Ma com´è possibile? Ho visto con i miei occhi il cadavere riverso
sulla scacchiera e ho raccolto io la sua confessione!
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Eppure è semplice: i giudici non hanno alcun potere sui delitti
commessi sulla carta.
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Non capisco, mi vuole dire che in realtà non ha ucciso il suo amico?
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Certo che l´ho ucciso, ma solo qui, in questa dimensione che
fluttua tra il vero e il falso.
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Insomma, era tutta una messinscena, mi aveva raccontato una balla!
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Non è esattamente così. È che io non racconto bugie, ma non dico
mai la verità...racconto il falso per contrabbandare il vero.
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Continuo a non capire e mi sto anche irritando perché ancora non so
cosa ci faccio qui stamattina.
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Beh, le ho telefonato pregandola di venire a casa mia perché ieri ci
sono ricaduto.
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Ricaduto in che cosa?
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Nel crimine gratuito.
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Perbacco, ha ucciso qualcun altro?
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No, non qualcun altro, sempre lui, il mio amico.
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Oddio, questo non può essere, lei sta di nuovo farneticando!
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Certo, farnetico, ma vede, maresciallo, il bello della carta è che
si può sproloquiare e ripetere più volte lo stesso omicidio.
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Gli ha di nuovo ficcato la matita nell´orbita??
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No, gli ho spaccato in testa un barattolo di miele da un chilo.
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Lei aveva di nuovo perso a scacchi? Mi racconti e io intanto registro
la sua confessione. Questa volta, caro signor massimolegnani, non
deve sfuggire alla giustizia, non c´è carta che tenga!
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A scacchi non ci abbiamo nemmeno giocato ieri sera, che poi era la
sera di Capodanno. Io gli avevo appena regalato una scacchiera da
viaggio di gran pregio, con i piccoli pezzi cesellati in avorio, una
vera opera artistica, e naturalmente gli avevo proposto una partita,
tanto per inaugurare il regalo. Lui si è intascato il dono con una
noncuranza sfacciata e al tempo stesso mi ha detto che non aveva
piacere a giocare con me perché il nostro livello di preparazione
era troppo basso, ad ogni apertura dovrebbe corrispondere una
risposta adeguata, codificata, e questo ci capita raramente. Ha
usato il plurale ma era evidente che mi stava accusando di essere un
giocatore troppo scarso. Ero esterrefatto, se n´è accorto dopo
trent´anni che giochiamo assieme? E se n´è accorto proprio ora
che, diversamente da un tempo, mi capita sempre più spesso di
batterlo? Un comportamento ipocrita e meschino spacciato per
franchezza.
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Ne convengo, ma questo le si ritorce contro: qui si configura
l´aggravante dei futili motivi! Si beccherà il massimo della pena,
caro lei.
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Aspetti, non è finita qui. La serata si trascinava tra chiacchiere
banali e qualche battuta perfida, ma sotto covava e cresceva una
tensione fatta di una rivalità tra noi mai dichiarata apertamente.
Ammetto che io non ero dell´umore migliore ma mi irritava il suo
modo di aggirarsi per casa mia toccando oggetti delicati con aria
schifata e storcendo la bocca davanti alle più svariate cose,
candele, foto, bottiglie, libri, niente gli andava bene, come si
fosse trovato in un museo d´arte moderna le cui opere gli erano
incomprensibili.
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Un individuo indisponente, il suo amico, non c´è che dire. Ma di
qui a ucciderlo, perbacco!
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Ho resistito quasi impassibile a quella specie di inventario da
ufficiale giudiziario, ma dentro ribollivo come il mosto di novembre
in cantina. Ha avuto la faccia tosta di dirmi troppa roba qua
dentro, troppe cianfrusaglie, troppe scemenze forse preziose, anche
volendo è impossibile regalarti qualcosa di pregio. Non ho
ribattuto, immaginavo che, come suo solito, fosse venuto a mani
vuote. Invece ha tirato fuori da un sacchetto un barattolo dicendomi
tieni, me l´ha regalato un amico ma a me il miele non piace.
Capisce quant´era stronzo?
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Sì, sì, d´accordo. Quindi lo ha ucciso, ma io continuo a pensare
ai futili motivi.
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Quando per darsi un tono ha spalancato lo sportello della stufa e ha
cercato di ficcarci dentro un pezzo preso a caso, non ci ho più
visto, solo io posso gestire la mia stufa, così ho preso il
barattolo e gliel´ho spaccato in testa. Venga a vedere,
maresciallo, il cadavere è in cucina.
Il
maresciallo, poco avvezzo ai casi d´omicidio, seguì visibilmente
teso il signor Massimo che, reo confesso, si muoveva a proprio agio.
Grande fu la sorpresa di entrambi quando non trovarono il cadavere
vicino alla stufa dove lui l´aveva lasciato. Videro la vittima
seduta per terra, la schiena appoggiata alla parete, lo sguardo perso
e in bocca parole senza senso, qualcosa a che fare con l´apertura
di Capablanca.
Insomma
il morto non era morto nemmeno sulla carta.
Massimo
guardò il suo amico tramortito che gocciolava sangue e miele dalla
testa, poi, rivolto al maresciallo mormorò quasi fra sé: vabbè,
sarà per un´altra volta.