Un
piccolo furto
di
Vincenzo D’Alessio
Accadeva
sovente che il buon curato bussasse alla nostra porta nel primo
pomeriggio per bere una tazza di caffè insieme.
Raccontava
aneddoti legati alla sua vita con la libertà e l’ironia
che solo l’età consente.
Riportò
che negli anni del dopoguerra, nelle povere contrade dove svolgeva la
sua missione, i coloni erano alle prese con la miseria e solo pochi
avevano la possibilità di sfamarsi con i frutti della terra e
l’allevamento degli animali domestici.
Accadde
che tre ragazzi, dei quali uno era il figlio del calzolaio del borgo,
avessero scoperto le provviste che il prete di quella parrocchia
conservava nel sottoscala della canonica, la quale aveva una
finestrella per areare il luogo buio dove era appeso ogni ben di Dio.
Il
calzolaio svolgeva la sua attività nel borgo in un locale di
proprietà della parrocchia e aveva la finestrella inclusa nel
perimetro dell’angusto locale che dava sul sagrato.
I
ragazzi, animati dal figlio del calzolaio, decisero di attuare un
piano per sottrarre qualche salume al prete e cibarsi finalmente di
qualcosa di sostanzioso.
Fu
così che, in assenza del padre dal locale, il ragazzo rimosse
con l’aiuto di altri due compagni il retino che occludeva
l’accesso a tutto quel ben di Dio e con una canna, provvista di
un uncino ricavato con il filo di ferro, asportò due
soppressate dalla schiera dei salumi.
Rimisero
a posto tutto e con grande gioia presero da casa del pane e si
accinsero a consumare finalmente il lauto pasto.
Il
prete recatosi nella dispensa contò i salumi appesi, come era
suo solito, e si accorse che ne mancavano due: com’era
possibile?
Si
accostò di soppiatto alla finestrella di areazione e scorse il
povero calzolaio alle prese con martello e suola: possibile che aveva
osato tanto?!
Preso
da una furia indescrivibile si recò nella modesta bottega e
con tono perentorio si rivolse all’uomo: “ Avete rubato
due soppressate dalla mia dispensa? Non negate! Me ne sono accorto
subito!”.
Il
pover’uomo, preso alla sprovvista e non sapendo di cosa
parlasse, si rivolse al prete chiedendo: “ Zi’ prè,
io di questo furto non ne so proprio niente! ” .
“ Inutile
negare, l’unico modo per sottrarmi le soppressate è
attraverso la finestrella che dà in questo locale, ho visto
che il retino di protezione è stato rimosso proprio da qui!
”.
Il
pover’uomo sbiancò e non sapendo cosa aggiungere abbassò
la testa quasi piangeva dalla rabbia di sentirsi addosso una colpa
non sua.
“ Sappiate,
soggiunse il prete, che chi ruba alla Chiesa è come rubasse a
Dio e non sarà perdonato, andrà dritto all’Inferno!
”.
Tornato
a casa, dopo quella funesta giornata, il calzolaio chiamò il
figlio e con tono acceso lo trattenne per un orecchio dicendogli: “
Mascalzone, sei stato tu a rubare le soppressate del prete, è
vero, non mentire?”.
Il
ragazzo sulle prime tentò di mentire sull’accaduto
dicendo che non ne sapeva nulla, poi il padre rovistando sotto il
piccolo giaciglio dove dormiva trovò avvolto in un pezzo di
carta quel che restava del salame.
A
quel punto il ragazzo confessò l’accaduto. Dopo una
solenne razione di botte fece i nomi dei due complici suoi compagni
d’avventura.
Il
calzolaio stese un velo di silenzio sull’accaduto convinto
com’era che la vicenda fosse finita lì.
La
domenica successiva, invece, quando l’aula della chiesa era
colma di persone convenute per la SS.Messa il prete dall’altare
nel momento della predica tuonò: “ Guai a coloro che
sottraggono i beni di Santa Madre Chiesa! Non verranno perdonati!
Bruceranno nelle fiamme dell’Inferno dopo morti e in vita non
avranno alcun bene! ”
I
tre ragazzi che ascoltavano dal fondo dell’aula si guardarono
negli occhi, spaventati uscirono poco prima che la sacra funzione
finisse e tornarono ognuno alle loro case.
Nei
piccoli cuori si accesero tutti i tumulti della colpa: uno di loro
ebbe la febbre alta e i genitori furono costretti a chiamare il
medico, il quale emise il responso che si trattasse di un improvviso
spavento al quale il ragazzo aveva reagito in quel modo.
I
giorni trascorrevano faticosamente nelle menti dei tre sui quali
pesava la maledizione del fuoco eterno dopo la morte e di una vita
macchiata dall’avere commesso un terribile furto.
Si
incontrarono di nascosto dalle famiglie e presero una decisione
necessaria a ristabilire la pace tra la coscienza e l’Onnipotente
dai cieli.
Erano
a conoscenza della santità del curato del piccolo villaggio
felice, posto a poca distanza, il quale confessava molti peccatori e
li assolveva con una vera assoluzione .
Si
recarono la domenica mattina, prima della Messa, nella chiesetta del
villaggio in attesa che il sacerdote raggiungesse il confessionale.
C’erano le solite vecchiette pronte ad anticiparli ma loro
fecero muro e si posero su entrambi i lati dell’antico
confessionale.
Quando
si aprì la porticina del confessionale al figlio del calzolaio
quel reticolo, posto tra lui e il sacerdote, ricordò
all’improvviso il reticolo posto nella finestrella dove erano
appesi i salumi.
“ Da
quanto tempo non ti confessi figliolo? ” – disse calma la
voce del sacerdote – il ragazzo preso dall’ansia non
rispose. Il sacerdote avvertì il respiro affannoso dall’altra
parte della finestrella, la chiuse, e aprì la porta del
confessionale: guardò il viso pallidissimo del giovane e il
viso degli altri due ragazzi che aspettavano nel banco accanto.
Fece
cenno al ragazzo di inginocchiarsi davanti a lui, proprio dove c’era
la porta aperta del confessionale. Lo guardò negli occhi umidi
e chiese sottovoce visto la presenza di diverse persone in chiesa: “
Di quale grave peccato ti sei macchiato alla tua età? ”.
Il
ragazzo abbassando il capo iniziò il racconto dell’accaduto
e della terribile maledizione che il prete aveva lanciato su di loro
dall’altare.
Il
santo curato trattenne a stento un sorriso. Poi sollevò il
braccio destro, lo piegò indietro, con l’avambraccio e
la mano distesa disse: “ In nome di Nostro Signore Gesù
Cristo ti assolvo dal tuo peccato! Recita dieci Ave Maria come
penitenza e ascolta la Santa Messa. Poi vai tranquillo a casa e
ricorda: “ peccat’’e magiatorio, non si porta a
confessorio!” Che tradotto significava: i peccati connessi
alla fame ( alle cose da mangiare) non sono condanna per l’Inferno.
Assolse
gli altri due ragazzi che finalmente respirarono profondamente dopo
quelle parole. Tornati a casa raccontarono ai genitori l’accaduto.
Questi sorrisero ma imposero ai tre la raccomandazione che non
avrebbero fatto mai più un’azione del genere.
Da
Racconti di Provincia (Fara, 2018)
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