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  Scritti di altri autori  »  Narrativa  »  Un piccolo furto, di Vincenzo D'Alessio 14/07/2018
 

Un piccolo furto

di Vincenzo D’Alessio



Accadeva sovente che il buon curato bussasse alla nostra porta nel primo pomeriggio per bere una tazza di caffè insieme.

Raccontava aneddoti legati alla sua vita con la libertà e l’ironia che solo l’età consente.

Riportò che negli anni del dopoguerra, nelle povere contrade dove svolgeva la sua missione, i coloni erano alle prese con la miseria e solo pochi avevano la possibilità di sfamarsi con i frutti della terra e l’allevamento degli animali domestici.

Accadde che tre ragazzi, dei quali uno era il figlio del calzolaio del borgo, avessero scoperto le provviste che il prete di quella parrocchia conservava nel sottoscala della canonica, la quale aveva una finestrella per areare il luogo buio dove era appeso ogni ben di Dio.

Il calzolaio svolgeva la sua attività nel borgo in un locale di proprietà della parrocchia e aveva la finestrella inclusa nel perimetro dell’angusto locale che dava sul sagrato.

I ragazzi, animati dal figlio del calzolaio, decisero di attuare un piano per sottrarre qualche salume al prete e cibarsi finalmente di qualcosa di sostanzioso.

Fu così che, in assenza del padre dal locale, il ragazzo rimosse con l’aiuto di altri due compagni il retino che occludeva l’accesso a tutto quel ben di Dio e con una canna, provvista di un uncino ricavato con il filo di ferro, asportò due soppressate dalla schiera dei salumi.

Rimisero a posto tutto e con grande gioia presero da casa del pane e si accinsero a consumare finalmente il lauto pasto.

Il prete recatosi nella dispensa contò i salumi appesi, come era suo solito, e si accorse che ne mancavano due: com’era possibile?

Si accostò di soppiatto alla finestrella di areazione e scorse il povero calzolaio alle prese con martello e suola: possibile che aveva osato tanto?!

Preso da una furia indescrivibile si recò nella modesta bottega e con tono perentorio si rivolse all’uomo: “ Avete rubato due soppressate dalla mia dispensa? Non negate! Me ne sono accorto subito!”.

Il pover’uomo, preso alla sprovvista e non sapendo di cosa parlasse, si rivolse al prete chiedendo: “ Zi’ prè, io di questo furto non ne so proprio niente! ” .

Inutile negare, l’unico modo per sottrarmi le soppressate è attraverso la finestrella che dà in questo locale, ho visto che il retino di protezione è stato rimosso proprio da qui! ”.

Il pover’uomo sbiancò e non sapendo cosa aggiungere abbassò la testa quasi piangeva dalla rabbia di sentirsi addosso una colpa non sua.

Sappiate, soggiunse il prete, che chi ruba alla Chiesa è come rubasse a Dio e non sarà perdonato, andrà dritto all’Inferno! ”.

Tornato a casa, dopo quella funesta giornata, il calzolaio chiamò il figlio e con tono acceso lo trattenne per un orecchio dicendogli: “ Mascalzone, sei stato tu a rubare le soppressate del prete, è vero, non mentire?”.

Il ragazzo sulle prime tentò di mentire sull’accaduto dicendo che non ne sapeva nulla, poi il padre rovistando sotto il piccolo giaciglio dove dormiva trovò avvolto in un pezzo di carta quel che restava del salame.

A quel punto il ragazzo confessò l’accaduto. Dopo una solenne razione di botte fece i nomi dei due complici suoi compagni d’avventura.

Il calzolaio stese un velo di silenzio sull’accaduto convinto com’era che la vicenda fosse finita lì.

La domenica successiva, invece, quando l’aula della chiesa era colma di persone convenute per la SS.Messa il prete dall’altare nel momento della predica tuonò: “ Guai a coloro che sottraggono i beni di Santa Madre Chiesa! Non verranno perdonati! Bruceranno nelle fiamme dell’Inferno dopo morti e in vita non avranno alcun bene! ”

I tre ragazzi che ascoltavano dal fondo dell’aula si guardarono negli occhi, spaventati uscirono poco prima che la sacra funzione finisse e tornarono ognuno alle loro case.

Nei piccoli cuori si accesero tutti i tumulti della colpa: uno di loro ebbe la febbre alta e i genitori furono costretti a chiamare il medico, il quale emise il responso che si trattasse di un improvviso spavento al quale il ragazzo aveva reagito in quel modo.

I giorni trascorrevano faticosamente nelle menti dei tre sui quali pesava la maledizione del fuoco eterno dopo la morte e di una vita macchiata dall’avere commesso un terribile furto.

Si incontrarono di nascosto dalle famiglie e presero una decisione necessaria a ristabilire la pace tra la coscienza e l’Onnipotente dai cieli.

Erano a conoscenza della santità del curato del piccolo villaggio felice, posto a poca distanza, il quale confessava molti peccatori e li assolveva con una vera assoluzione .

Si recarono la domenica mattina, prima della Messa, nella chiesetta del villaggio in attesa che il sacerdote raggiungesse il confessionale. C’erano le solite vecchiette pronte ad anticiparli ma loro fecero muro e si posero su entrambi i lati dell’antico confessionale.

Quando si aprì la porticina del confessionale al figlio del calzolaio quel reticolo, posto tra lui e il sacerdote, ricordò all’improvviso il reticolo posto nella finestrella dove erano appesi i salumi.

Da quanto tempo non ti confessi figliolo? ” – disse calma la voce del sacerdote – il ragazzo preso dall’ansia non rispose. Il sacerdote avvertì il respiro affannoso dall’altra parte della finestrella, la chiuse, e aprì la porta del confessionale: guardò il viso pallidissimo del giovane e il viso degli altri due ragazzi che aspettavano nel banco accanto.

Fece cenno al ragazzo di inginocchiarsi davanti a lui, proprio dove c’era la porta aperta del confessionale. Lo guardò negli occhi umidi e chiese sottovoce visto la presenza di diverse persone in chiesa: “ Di quale grave peccato ti sei macchiato alla tua età? ”.

Il ragazzo abbassando il capo iniziò il racconto dell’accaduto e della terribile maledizione che il prete aveva lanciato su di loro dall’altare.

Il santo curato trattenne a stento un sorriso. Poi sollevò il braccio destro, lo piegò indietro, con l’avambraccio e la mano distesa disse: “ In nome di Nostro Signore Gesù Cristo ti assolvo dal tuo peccato! Recita dieci Ave Maria come penitenza e ascolta la Santa Messa. Poi vai tranquillo a casa e ricorda: “ peccat’’e magiatorio, non si porta a confessorio!” Che tradotto significava: i peccati connessi alla fame ( alle cose da mangiare) non sono condanna per l’Inferno.

Assolse gli altri due ragazzi che finalmente respirarono profondamente dopo quelle parole. Tornati a casa raccontarono ai genitori l’accaduto. Questi sorrisero ma imposero ai tre la raccomandazione che non avrebbero fatto mai più un’azione del genere.



Da Racconti di Provincia (Fara, 2018)

 
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