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  Racconti  »  Narrativa generica  »  Randagi 14/07/2024
 

Randagi

di Renzo Montagnoli



E´ un giorno di inizio estate, con il caldo che non è ancora quell´aria asfissiante che rende faticoso perfino il cammino, ma un tepore corroborante che intiepidisce più il cuore che il corpo, e un uomo sta seduto sull´erba di un prato dei giardini pubblici di una città. Non è solo, parla con il suo cane, un bastardino frutto di chissà quanti incroci, con un pelo che un tempo doveva essere bianco e con diverse chiazze marroncine, quasi un abitino a pois. L´animale sembra ascoltarlo proteso con il muso verso il viso del padrone, ogni tanto piega leggermente il capo, per poi raddrizzarlo, come se assentisse.

- E´ stata una bella giornata, Bau, sì proprio una bella giornata, ed è stato un piacere andare per questi vialetti, respirare i mille profumi della natura, e poi finalmente ci sta lasciando il freddo che ci era entrato in corpo questo inverno e ora è splendido crogiolarsi al sole.

Il cane sembra annuire e scodinzola, probabilmente capisce quello che gli sta dicendo il suo padrone e del resto non ha occhi che per lui, lui che l´ha raccattato cucciolo dalla strada, dove sarebbe vissuto da randagio patendo il freddo, ma soprattutto la fame. E a proposito di fame, in verità non è che adesso ci sia da scialare, ma non si resta mai a stomaco vuoto, perché il padrone fa tutto a metà con lui, anche il poco di certi giorni.

- Bau caro, sono sempre più vecchio, ma questa stagione mi aiuta a rimettermi in carreggiata; sapessi come ero non molti anni fa non mi crederesti, sì ero un signore, avevo un lavoro, una casa, una famiglia. Poi, una disgrazia, in un colpo sono venuti a mancare mia moglie e mio figlio; è stato un dolore terribile, ho perso la voglia di vivere e con questa anche il lavoro, sono arrivato al punto di desiderare di morire, di cercare la morte, in qualsiasi modo. Senza più una casa, senza più un affetto, vagavo senza meta, quando una sera, mentre camminavo in periferia, dove il cemento lascia il posto alla terra coltivata, ho sentito un guaito, ho cercato e in un fossato, per fortuna asciutto, ti ho trovato. Eri piccolo, allora, ma ho cercato con tutte le mie forze di farti crescere, ti facevo bere il latte che riuscivo ad avere, insomma, se tu hai visto in me un salvatore, lo stesso devo dire che tu sei stato così per me. Non sapevo che nome metterti e dato che abbaiavi mentre ti tenevo in braccio ho cominciato a chiamarti Bau e a te deve essere piaciuto, perché da subito hai capito che era quello giusto per te.

Il cane ascolta e scodinzola sempre di più e ogni tanto passa la lingua su una guancia del padrone.

- Per te ho ricominciato a vivere, ho cercato un lavoro, difficilissimo da trovare per uno avanti con gli anni, ma poi un´anima pietosa ha incontrato il mio cammino e mi ha teso la mano indicandomi una struttura dove potevo essere ospitato. Ci sono andato, mi avrebbero accettato, ma non volevano te, i cani dovevano restare fuori, e allora ho preferito restare fuori anch´io. Poi il resto lo sai.

E dicendo così abbraccia il suo cane, lo stringe a sé, mentre gli scendono alcune lacrime che si affretta ad asciugare con un fazzoletto che non vede il sapone da diverso tempo.

Bau guaisce, piange con il suo padrone, ma è un pianto di solidarietà, perché è felice di stare con quell´uomo che ora si alza a fatica e dice: - Andiamo, è ora di cercare qualcosa per la notte, magari una panchina, perché per terra c´è troppa umidità.

I due si incamminano, il cane davanti di un paio di passi e l´uomo dietro, avanzano nel vialetto mentre la luna appare in cielo e loro si confondono con le ombre della sera.



 
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