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  Letteratura  »  Katia Ciarrocchi ha recensito Il libro delle illusioni, di Paul Auster, edito da Einaudi 08/05/2009
 

Il libro delle illusioni

di Paul Auster

Einaudi

Narrativa romanzo

ISBN: 8806184423

Prezzo: € 10.80

 

 

“Se voglio salvarmi la vita, devo arrivare a un passoo dal distruggerla”.
“Ci sono pensieri che spaccano la mente, pensieri così potenti e così negativi da corromperti appena cominci a concepirli”.
(Paul Auster)


Il libro delle illusioni di Paul Auster è una struggente storia sulla permanenza delle cose, dei sogni, delle persone, delle illusioni, appunto.
David Zimmer vede per la prima volta un film di Hector Mann quando ormai la sua vita stava precipitando verso il baratro infinito della disperazione. Ritrova il sorriso e vuol conoscere fino in fondo l'uomo che con la sua arte è riuscito a far ciò: Hector Mann, protagonista di una breve e folgorante carriera nella Hollywood degli anni Venti, scompare nel nulla e le sue comiche mute rimangono nella storia del cinema.
David Zimmer ripercorrerà attraverso i film tutta la vita Hector Mann, e questo lo aiuterà a sopravvivere a un destino beffardo che gli ha strappato tutti i suoi affetti, fino a decidere di scriverne un saggio su quest'uomo tanto geniale quanto enigmatico.
Da qui l'inizio di una nuova “illusione”: quello dell'amore ritrovato, negli occhi di una donna che arriva da lontano, strappandolo dalla solitudine per catapultarlo nella nuova esistenza di Hector Menn, intrecci sentimentali, omicidi, fughe e vagabondaggi, e infine un progetto grandioso e folle: una sfida al nulla messa in scena nello scarno paesaggio del deserto americano, e destinata a cancellarsi da sola. In un gioco drammatico di echi e rispecchiamenti, Zimmer svela la vita segreta di Mann e Mann, indirettamente, gli restituisce la voglia di vivere e di amare. Qui Paul Auster tocca il cuore dell'esperienza artistica, la sua fragilità e la sua forza: perché e per chi esiste un'opera d'arte. Ovvero, come l'arte può dare, e togliere, la vita.
Einstein ci dice: «L'essere umano è parte di un intero chiamato Universo. Egli sperimenta i suoi pensieri e i suoi sentimenti come qualcosa di separato dal resto, una specie di illusione ottica della coscienza. Questa illusione è una prigione per noi, che ci restringe ai nostri personali desideri e all'affezione verso le poche persone vicine a noi», è in un certo tal senso è rappresentato discretamente in questo libro da Auster, seppur anche ci siano delle stonature di base.
Nel tempo ho letto molte cose di Auster e purtroppo devo ammettere che in questo libro ha perso molto della genialità che ha caratterizzato i suoi scritti (Trilogia di New York, La musica del caso, Leviatano), “Il libro delle illusioni” è una storia che zoppica per la non veridicità della trama. Ho avuto la sensazione che molti passi fossero forzati nel voler a tutti i costi stupire il lettore, senza averne, però, i mezzi. Con ciò non dico che sia un libro da buttare, tutt'altro, dico solo che né “Il libro delle illusioni” viene a mancare la capacità di Auster di incidere fortemente sulla storia della letteratura, capacità di un ammiccamento che intriga e meraviglia il lettore, capacità che ci aveva regalato nelle sue precedenti opere.


Note biografiche dell'autore:
tratto da Zam

Intorno alla metà degli anni Ottanta, sugli scaffali delle librerie americane approdò il romanzo di uno scrittore non ancora quarantenne ma con alle spalle un numero imprecisabile di viaggi intercontinentali, traduzioni, lavori saltuari, tragedie familiari e fallimenti letterari di ogni tipo. Il nome dello scrittore era Paul Auster, il titolo del romanzo Città di vetro, primo episodio di quella che i lettori di ogni latitudine avrebbero presto imparato a riconoscere come Trilogia di New York. Dalle pagine del libro emergeva il ritratto di una città enigmatica, sospesa nel tempo, labirintica, capace di dissolvere tra le proprie spire l'identità dei suoi abitanti, chiusi in un appartamento di Brooklyn o lanciati in logoranti quanto assurde indagini investigative. Paul Auster apparve sulle scene come una sorta di Samuel Beckett lunare e metropolitano alle prese con una trama di Poe. L'enorme successo che da lì a poco lo avrebbe fatto conoscere in tutto il mondo consacrandolo come maestro indiscusso del “giallo filosofico” arrivava alla fine di un massacrante apprendistato che in poco più di dieci anni aveva visto Auster abbandonare New York, vagabondare senza un soldo tra Parigi, Dublino, Roma, Madrid, imbarcarsi come marinaio sui convogli mercantili, scrivere soggetti per film muti (!), lavorare come ghost writer, mandare all'aria matrimoni, pubblicare poesie e articoli di critica letteraria per ritrovarsi negli anni Ottanta nuovamente a New York, naturalmente senza il becco di un quattrino. «La man-canza di denaro era diventata una vera e propria ossessione. Ho vissuto per anni nel più totale panico». Nel 1996, con quasi dieci anni di ritardo, la Trilogia arriva anche in Italia. I romanzi successivi (La musica del caso, Moon Palace, Leviatano, per citare i più rappresentativi) confermano Auster come cantore di un mondo inesplicabile, immerso in una solitudine quasi metafisica e dominato dal caso. «In generale, la nostra vita sembra spinta brutalmente da un estremo all'altro», fa dire Auster a un suo celebre personaggio, «uno parte in una direzione, ed ecco che di colpo fa dietro front a metà strada, si arresta, gira a vuoto, e infine riprende a marciare in un altro senso. Non c'è mai niente di sicuro e, inevitabilmente, approdiamo in un punto diverso da quello prefissato». Con gli anni Novanta la vicenda artistica di Paul Auster abbraccia anche il cinema. Smoke e Blue in the face sono i due film rivelazione di Wayne Wang scritti e sceneggiati da Auster che, nel 1998, si cimenterà anche come regista con Lulu on the Bridge.

 

Katia Ciarrocchi

 
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