Il libro delle illusioni
di Paul Auster
Einaudi
Narrativa romanzo
ISBN: 8806184423
Prezzo: € 10.80
“Se voglio salvarmi la vita, devo
arrivare a un passoo dal distruggerla”.
“Ci sono pensieri che spaccano la mente,
pensieri così potenti e così negativi da corromperti appena cominci a
concepirli”. (Paul Auster)
Il libro delle illusioni
di Paul Auster
è una struggente storia sulla permanenza delle cose, dei sogni, delle persone,
delle illusioni, appunto.
David Zimmer vede per la prima volta un film di
Hector Mann quando ormai la sua vita stava precipitando verso il baratro
infinito della disperazione. Ritrova il sorriso e vuol conoscere fino in fondo
l'uomo che con la sua arte è riuscito a far ciò: Hector Mann, protagonista di
una breve e folgorante carriera nella Hollywood degli
anni Venti, scompare nel nulla e le sue comiche mute rimangono nella storia del
cinema.
David Zimmer ripercorrerà attraverso i film tutta la
vita Hector Mann, e questo lo aiuterà a sopravvivere a un destino beffardo che
gli ha strappato tutti i suoi affetti, fino a decidere di scriverne un saggio
su quest'uomo tanto geniale quanto enigmatico.
Da qui l'inizio di una nuova “illusione”: quello dell'amore ritrovato, negli occhi di
una donna che arriva da lontano, strappandolo dalla solitudine per catapultarlo
nella nuova esistenza di Hector Menn, intrecci sentimentali, omicidi, fughe e
vagabondaggi, e infine un progetto grandioso e folle: una sfida al nulla messa
in scena nello scarno paesaggio del deserto americano, e destinata a
cancellarsi da sola.
In un gioco drammatico di echi e rispecchiamenti, Zimmer
svela la vita segreta di Mann e Mann, indirettamente, gli restituisce la voglia
di vivere e di amare. Qui Paul Auster tocca il cuore
dell'esperienza artistica, la sua fragilità e la sua forza: perché e per chi
esiste un'opera d'arte. Ovvero, come l'arte può dare, e togliere,
la vita.
Einstein ci dice: «L'essere umano è
parte di un intero chiamato Universo. Egli sperimenta i suoi pensieri e i suoi
sentimenti come qualcosa di separato dal resto, una specie di illusione ottica
della coscienza. Questa illusione è una prigione per noi, che ci restringe ai
nostri personali desideri e all'affezione verso le poche persone vicine a noi», è in un certo tal senso è rappresentato discretamente in
questo libro da Auster, seppur anche ci siano delle
stonature di base.
Nel tempo ho letto molte cose di Auster e purtroppo devo
ammettere che in questo libro ha perso molto della genialità che ha
caratterizzato i suoi scritti (Trilogia
di New York, La musica del caso, Leviatano),
“Il libro delle illusioni” è
una storia che zoppica per la non veridicità della trama. Ho avuto la
sensazione che molti passi fossero forzati nel voler a tutti i costi stupire il
lettore, senza averne, però, i mezzi. Con ciò non dico che sia un libro da
buttare, tutt'altro, dico solo che né “Il
libro delle illusioni” viene a mancare la capacità di Auster di incidere fortemente sulla
storia della letteratura, capacità di un ammiccamento che intriga e meraviglia
il lettore, capacità che ci aveva regalato nelle sue precedenti opere.
Note biografiche dell'autore:
tratto da Zam
Intorno alla metà degli anni Ottanta, sugli scaffali delle librerie americane
approdò il romanzo di uno scrittore non ancora quarantenne ma con alle spalle un numero imprecisabile di viaggi
intercontinentali, traduzioni, lavori saltuari, tragedie familiari e fallimenti
letterari di ogni tipo. Il nome dello scrittore era Paul Auster,
il titolo del romanzo Città di vetro, primo episodio di quella che i lettori di
ogni latitudine avrebbero presto imparato a riconoscere come Trilogia di New
York. Dalle pagine del libro emergeva il ritratto di una città enigmatica,
sospesa nel tempo, labirintica, capace di dissolvere tra le proprie spire
l'identità dei suoi abitanti, chiusi in un appartamento di Brooklyn o lanciati
in logoranti quanto assurde indagini investigative. Paul Auster
apparve sulle scene come una sorta di Samuel Beckett lunare e metropolitano
alle prese con una trama di Poe. L'enorme successo
che da lì a poco lo avrebbe fatto conoscere in tutto il mondo consacrandolo
come maestro indiscusso del “giallo filosofico” arrivava alla fine di un
massacrante apprendistato che in poco più di dieci anni aveva visto Auster abbandonare New York, vagabondare senza un soldo tra
Parigi, Dublino, Roma, Madrid, imbarcarsi come marinaio sui convogli
mercantili, scrivere soggetti per film muti (!), lavorare come ghost writer, mandare all'aria
matrimoni, pubblicare poesie e articoli di critica letteraria per ritrovarsi
negli anni Ottanta nuovamente a New York, naturalmente senza il becco di un
quattrino. «La man-canza di denaro era diventata una
vera e propria ossessione. Ho vissuto per anni nel più totale panico». Nel
1996, con quasi dieci anni di ritardo, la Trilogia arriva anche in Italia. I romanzi
successivi (La musica del caso, Moon Palace, Leviatano,
per citare i più rappresentativi) confermano Auster
come cantore di un mondo inesplicabile, immerso in una
solitudine quasi metafisica e dominato dal caso. «In generale, la nostra
vita sembra spinta brutalmente da un estremo all'altro», fa dire Auster a un suo celebre personaggio, «uno
parte in una direzione, ed ecco che di colpo fa dietro front
a metà strada, si arresta, gira a vuoto, e infine riprende a marciare in un
altro senso. Non c'è mai niente di sicuro e, inevitabilmente, approdiamo in un
punto diverso da quello prefissato». Con gli anni Novanta la vicenda artistica
di Paul Auster abbraccia anche il cinema. Smoke e Blue in the face sono i
due film rivelazione di Wayne Wang
scritti e sceneggiati da Auster che, nel 1998, si
cimenterà anche come regista con Lulu on the Bridge.
Katia Ciarrocchi