Il
bordo vertiginoso delle cose – Gianrico
Carofiglio – Rizzoli – Pagg. 320 – ISBN
9788817094931
– Euro 13,00
E‘
un romanzo intrigante e fascinoso fin dal titolo, Il
bordo vertiginoso delle cose,
quello recentemente pubblicato da Gianrico Carofiglio, ex magistrato
ora divenuto scrittore di rilevanza nazionale ed oltre. Titolo
ripreso, come citato nel libro, da un verso del poeta inglese Robert
Browning e in linea perfetta con quel filo narrativo, oscillante tra
giovinezza e età adulta, successo e fallimento, caduta e
rinascita, su cui si mantiene in equilibrio il personaggio
principale, Enrico Vallesi, scrittore in crisi d’identità
che compie un viaggio ‘à rebours’ nei luoghi
baresi della memoria, cercando di andare oltre quel ‘bordo’,
di superare la rischiosa vertigine verso la vita e ritrovare un se
stesso più vero.
Sul
piano della tecnica narrativa, Carofiglio è riuscito
nell’intento di rappresentare la scissione del personaggio
attraverso l’espediente dell’uso della seconda persona
quando i fatti si svolgono nel presente e di quello della prima
persona quando invece si raccontano gli anni della adolescenza: così
il ritmo narrativo e l’indispensabile suspense scaturiscono
dalla struttura cronologica alterna dei capitoli, che tuttavia
permettono di seguire a tutto tondo lo scavo psicologico, radente
come un bisturi, che lo scrittore attua mettendo a nudo le zone
d’ombra del protagonista, le sue fragilità ma anche
tensioni verso la “verità”. La verità è
una meta difficile e richiede coraggio sia per chi la cerca nel reale
che per chi tenta di esprimerla in parole, attraverso la finzione
narrativa. Ma la costruzione della storia ordita da Gianrico
Carofiglio risulta ancora una volta convincente ed i fili narrativi
si intrecciano tutti in una trama coinvolgente, ricca di personaggi
‘veri’, sottilmente fotografati nelle loro emozioni e
rapporti, nei loro vizi e virtù, senza concessioni o
trucchetti imbonitori.
A
questo si aggiunge il pregio di una scrittura raffinata ed ironica,
che sa dosare le parole, spesso soffermandosi ad analizzarne le più
recondite valenze e quasi gli echi interiori, ricorrendo anche ad
un’abile alternanza di sequenze e quindi trascinando il lettore
con soave perentorietà ad addentrarsi nei fatti e nei percorsi
esistenziali, quasi osservando tutta la vicenda con l’occhio
stesso di chi la vive o la racconta, con naturalezza e
partecipazione.
Nel Bordo
vertiginoso delle cose il cinquantenne Enrico, riportato
d’improvviso, da una casuale notizia di cronaca, a fare i conti
con un passato sommerso, ripercorre i momenti dolenti e talora
violenti dell’amicizia traviante con il compagno di liceo
Salvatore, insieme ai turbamenti dell’amore impossibile per
Celeste, la giovane supplente di filosofia. Ha così inizio una
serie di incontri, tanto inaspettati quanto inconsciamente ricercati:
tappe di un cammino iniziatico che lo farà approdare ad una
sorta di recupero delle proprie capacità creative, dei moti
interiori, dei criteri morali. Tutto questo sullo sfondo di Bari,
città nativa dell’autore, ma anche, come negli altri
romanzi, “luogo dell’anima”, con le sue bellezze e
i suoi misteri, i suoi ‘allora’ e ‘ora’
dell’ex-studente alle prese con aspetti oscuri della società,
ma colpito fin dall’adolescenza dal virus della scrittura e
della filosofia.
E
proprio alla filosofia, tramite le lezioni in classe della
carismatica supplente, è affidato nel libro il compito di
insegnare il valore del confronto, della discussione, del riconoscere
anche le ragioni dell’altro, sulla scia di quei sofisti greci
che per primi insinuarono il dubbio sui valori assoluti e quindi
l’invito a non dare mai nulla per scontato, nè a
lasciare che altri pensino per noi o, peggio ancora, siano convinti
di risolvere tutte le storture del mondo a colpi indiscriminati di
mitra, come nel ricostruito clima della metà anni ’70 in
cui il protagonista Enrico si trova a vivere la sua adolescenza.
Un
libro scritto quasi in sottotono, ma in realtà carico di
significative valenze, con un protagonista tormentato ma teso a
ricercare linee divisorie fondamentali all’interno di sè
e del reale, schivando il pericolo di cadere oltre quel “dangerous
edge”, il pericoloso limite, quasi salto mortale nel vuoto
morale, cui si riferiva il poeta Robert Browning.
Patrizia
Fazzi
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