Il
tempo che trasforma
– Patrizia Fazzi – Prometheus – Pagg. 136 –
ISBN 9788882202798
– Euro 15,00
Il
tempo che trasforma mi
è parso da subito un titolo di ispirazione esistenzialista.
L’idea della vita che scorre, che cambia per il solo fatto di
andare avanti, sempre aventi e di non potersi mai fermare.
L’Esistenzialismo è infatti quella corrente filosofica
che ha posto l’accento sulla vita umana come entità
basata sul fluire del tempo, caratterizzata da precarietà e
transitorietà. Questi temi erano già stati sviluppati
anche dalla cultura classica, a partire dagli autori delle tragedie
greche fino a poeti come Orazio o filosofi come gli stoici.
La
citazione di Seneca all’inizio della raccolta va in questo
senso: “Tamquam
semper victuri
vìvitis, numquam vobis fragilitas vestra succurrit”, e
cioè “voi vivete come se doveste a vivere per sempre,
non vi viene mai in soccorso la vostra fragilità”.
Seneca
nota che neppure la fragilità non ci aiuta a comprendere. Ecco
il valore euristico della fragilità dell’esistenza: ci
consente di scoprirne la mancanza di un fondamento. L’esistenza
è sempre sospesa sul vuoto.
Questi
concetti li ritroviamo in molte poesie di questa raccolta: Dal
davanzale del tempo
(pag. 115): “dal davanzale del tempo / il mulino degli anni /
che macina e gira / i giorni e i mesi”.
Si
avverte in questi versi
il
fluire dell’esistenza; La
vita che si snoda
(pag. 32): “La vita che si snoda tra le cose / le cose che si
affollano alla mente / e contro quelle non puoi farci niente (…)”
e
la seconda strofa:
“si snoda la vita tra le vie urbane / tra gente che saluti, / a
cui dai la tua mano / ma non ti guarda negli occhi / solo vede,
sente, parla, / tu rispondi, ma non sei più tu davvero”;
emerge l’estraneità, altro elemento essenziale
dell’esistenzialismo. Inoltre segnalo La
scala vitale
(pag. 116): “Sentire lo sgocciolare del tempo, / appiattirsi
gli scalini dei mesi, / chiedersi invano il numero / dei giorni
rimasti”.
Qui
Patrizia Fazzi cita parole di Orazio dalla poesia Carpe
diem:
“scire
nefas”, che
significa “non si può sapere quanto durerà la
nostra vita”. Ecco di nuovo la precarietà, l’assenza
di fondamento dell’esistenza
Viene
in mente Sartre, L'Être
et le Néant:
il tempo come continuo e progressivo annullamento dell’essere.
Nella poetica di Patrizia Fazzi però l’esistenzialismo
ha una svolta in positivo: il tempo non è solo annullamento ma
anche metamorfosi.
Nella
poesia Il
tempo che trasforma,
che dà il titolo alla raccolta, si legge:
(…)
Il
tempo è uno scalpello
che
giunge fino al nocciolo dell'anima
e
lì lavora,
lì
si compie la vera metamorfosi
(…)
E
quel nocciolo dell'anima
forse
ha dato ecco frutti e fiori,
partorito
gemme e foglie sul suo ramo
Cos’è
il nocciolo dell’anima? L’anima è la parte
spirituale di un essere umano: ma il nocciolo cos’è?
Vediamo di capirlo.
Anzitutto
“anima” è una delle parole più presenti
nella raccolta di poesie, a partire dal fatto che è nel titolo
del Preludio:
Fino
all’anima.
S
i delinea un percorso interiore molto singolare: È
nel silenzio
(pag.38): “è nel silenzio / che ti ritrovo, / anima mia,
ascolto i battiti/ che da un altrove nascono / e crescono”;
Fino
all’anima
(pag. 39) che
finisce così:
“e riscoprire / sotto il velo degli errori e delle illusioni, /
pulita e chiara, / la mia vera me stessa. / Vorrei essere nuda / fino
all'anima”. L’immersione nella propria anima, dunque, per
Patrizia Fazzi è sempre positivo, non è un perdersi, è
un ritrovare, un ritrovarsi.
Questo
emerge chiaramente nella poesia Ho
dovuto riattingermi.
Ho
dovuto riattingermi,
fissare
lo sguardo nel buio
di
un'acqua antica
e
a fatica issarla
con
stridore di carrucola.
Ho
dovuto riattingermi,
bere
il fresco puro
di
quell'acqua
e
il suo retrogusto amaro.
Con
stupore
ritrovare
linfa
e fermenti intatti.
Elementi
come l’acqua da issare e la carrucola rimandano ad una poesia
di Eugenio Montale che fa parte della raccolta Ossi
di seppia:
Cigola
la carrucola del pozzo,
l'acqua sale alla luce e vi si
fonde.
Trema un ricordo nel ricolmo secchio,
nel puro
cerchio un'immagine ride.
Accosto
il volto ad evanescenti labbri:
si deforma il passato, si fa
vecchio,
appartiene ad un altro...
Ah
che già stride
la ruota, ti ridona all'atro
fondo,
visione, una distanza ci divide.
Le
due poesie parlano della necessità di confrontarsi con il
proprio passato, utilizzando la metafora dell’acqua nel pozzo e
della carrucola, ma hanno due esiti diversi ed opposti. Infatti in
Montale l’operazione di recupero del passato non riesce, resta
una distanza, è maturata ormai una estraneità. Patrizia
Fazzi, invece, pur con un “retrogusto amaro” riesce a
“ritrovare / linfa e fermenti intatti”. Per ritrovarsi
bisogna però scendere a fondo, fino al “nocciolo
dell’anima”. Ci domandiamo di nuovo: cos’è
questo nocciolo dell’anima?
L’immersione
nella propria anima, dunque, per Patrizia Fazzi è sempre
positivo, un recupero di identità.
Il
confronto con il mondo esterno è invece spesso doloroso, porta
a lacerazioni profonde, come emerge nella poesia Scissa
(pag. 34):
Vivere
dissociata
scissa
tra
il tuo mondo di parole
che
esondano saettando nel buio
e
portano la luce
e
il
mondo degli altri
che
si agita
si
muove
si
ripete
ti
guarda come un marziano.
Il
confronto con il mondo implica anche il misurarsi con la lacerazione
più profonda, che è la morte. Secondo Ruffilli, nella
sua introduzione, questo è il tema centrale della poesia di
Patrizia Fazzi. Mi permetto di dissentire, almeno in parte.La
sottosezione Spoon
River Anthology contiene
poesie dedicate ad amici che non ci sono più. A Cinzia
(pag. 52):
È
stato come toccare l'abisso
vederti
tenera carne
distesa
nella penombra,
crocifissa
la gola,
tarpati
i gesti e la voce,
figura
dolente e ghermita.
Questa
poesia mi ha commosso perché mi ha fatto ricordare l’immagine
della mia povera Carla sulla sua bara. E ancora La
sfida cortese
(pag. 54) è dedicata a due amici alpinisti:
…Su
su
passo
dopo passo
un
sasso come gradino
e
uno sperone appiglio amico
contro
il vuoto
Su
su
nella
roccia che incunea in sé
il
tuo corpo a corpo
ti
abbraccia
e
ti respinge,
la
sua pietra
è
una spalla,
una
mano da afferrare al volo…
Questa
poesia narra dell’ascesa al monte, così come La
piccozza
(Odi
e inni)
di
Giovanni Pascoli. Eccone alcuni versi:
Ascesi
il monte senza lo strepito
delle
compagne grida. Silenzio.
Ne’
cupi sconforti
non
voce, che voci di morti.
Da
me, da solo, solo con l’anima,
con
la piccozza d’acciar ceruleo,
su
lento, su anelo,
su
sempre; spezzandoti, o gelo!
Le
due poesie sono accumunate dal tema della salita in montagna e
dall’uso frequente della preposizione su. Si differenziano
perché Patrizia Fazzi canta la passione comune a due amici,
mentre Pascoli mette l’accento sulla solitudine dello
scalatore. Nella
raccolta, dunque, il tema della morte è importante, come lo
era per l’esistenzialismo, ma non predominante.
Basti
citare le poesie del sole, un altro termine molto presente, come
anima.
Il
sole rappresenta l’energia positiva del mondo, capace di
combattere il freddo, le tristezze, le angosce. Il sole diventa
importante proprio d’autunno o d’inverno, come antidoto
al freddo ed alla tristezza: Ad
ogni passo
(pag. 30): “Il sole è alto in un ottobre generoso di
luce”. Il
sole d'inverno
(pag. 108): “Sbuchi all'improvviso, sole, / e ci sorprendi
anche in una giornata di seminverno / con le mani gelate e il cuore
ancor più / per l’ansia di non riuscire a fermare / il
dolore, le morti ingiuste, i guizzi del caos”; e ancora : Aurea
senectus
(pag. 114): “è un autunno di sole e di luce, / aurea
senectus di un'estate che non vuol morire”.
Il
sole rappresenta anche la felicità perduta, quella che non
abbiamo saputo cogliere per colpa nostra: Quanto
sole
(pag. 105): “quanto sole ci siamo persi, / un'estate tutta da
vivere / e non l'abbiamo vista, / abbagliati dal grigio delle
stanze”.
Il
sole viene addirittura interiorizzato e quindi diventa parte della
nostra anima: Questo
sole che mi abita
(pag. 28): “questo sole che mi abita / e che mi scalda parole /
nel crogiuolo sempre acceso della mente, / questo sole irriverente /
che splende anche nei giorni allagati di lutto”...(finale)
“questo sole che mi abita / e arreda tutte le stanze, / lo
voglio inseguire / come il vento l'aquilone / e poi posare piano /
sui mobili di ogni casa, / infinito raggio”.
Ecco
allora l’anima, la morte, il sole, temi centrali dell’opera
di Patrizia. Tutto è tenuto assieme dalla poesia, una poesia
che può salvare la vita, come si legge nella penultima poesia
della raccolta.
Non
mi lasciare, amica poesia,
sola
con le mie inquietudini,
i
miei nodi irrisolti
e
irrisolvibili.
Dammi
il tuo respiro lieve
e
il miracolo di parole libere,
miele
amaro dei giorni.
Ma
la poesia ha la forza di salvarci anche dal materialismo e dal
nichilismo, in questa epoca che vede il dominio del pensiero
calcolante, per usare un concetto di Martin Heidegger. È il
pensiero che riduce la natura a mero oggetto di calcolo. Ormai è
importante solo quello che può essere espresso in termini di
numeri: la produzione, il consumo, l’economia. Tutto il resto è
marginale o addirittura un lusso che non possiamo permetterci.
Tutto
questo ci porta al nichilismo, ad una vita piena di cose materiali ma
povera di senso. Per questo Heidegger dice che bisognerà
costruire “un altro pensiero”, alternativo al pensiero
calcolante, un pensiero che non riduca la natura ad oggetto, ma sia
capace di confrontarsi con il suo mistero. La poesia, la musica,
l’arte sono le basi di questo “pensiero altro”.
Ma
la poesia è un dialogo fra l’anima del poeta ed il
mondo. Ed eccoci allora di nuovo di fronte all’enigma del
nocciolo dell’anima.
C’è
una poesia che ci dipana questo enigma, si intitola È
nel silenzio
(pag.
38).
E
nel silenzio che
che
ti ritrovo,
anima
mia,
ascolto
i battiti
che
da un altrove nascono
e
crescono,
sogni
che si espandono
nel
cavo del pensiero
e
che riportano
nella
giostra dei rumori un senso,
una
pausa invocata:
inaspettato
silenzio
che
scoperchi piano
gli
abissi del dubbio,
del
dolore,
dramma
che va in scema
in
un teatro vuoto
e
sono te, silenzio,
vuole
come spettatore.
Il
nocciolo dell’anima è dunque la sua parte più
profonda, quella ancora razionale ma a diretto contatto con
l’irrazionale delle passioni, delle emozioni, delle pulsioni
dell’Es. È quella parte che, come scrive Patrizia Fazzi,
sa cogliere i battiti, i sogni, gli abissi del dubbio, che ci
assalgono e ci sgomentano, ma sono i soli che possono dare un senso
alla nostra vita.
Il
nocciolo dell’anima è proprio quello che, attingendo da
questi abissi, crea la poesia, quella che ci commuove, che ci
trasforma, che è capace di rinnovarci attraverso le parole.
Una poesia come quella di questa bellissima raccolta.
Stefano
Pasquini
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