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Editoriali
» Bimba cieca vede il Papa, di Ferdinando Camon |
10/04/2017 |
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Bimba
cieca vede il Papa
di
Ferdinando Camon
"Avvenire"
2 aprile 2017
La
foto della bimba cieca che abbraccia il Papa mi emoziona per tante
ragioni. Stavo per dire “mi commuove”, ma “mi
commuove” è troppo poco, non include la quantità
della reazione. Ne include solo la parte sentimentale, ma qui c’è
anche una parte razionale. C’è molto da sentire, ma
anche molto da capire. Per la bambina cieca, abbracciare il Papa è
un modo per “vederlo”. I ciechi vedono “tastando”.
Dunque, la piccola “tasta il Papa”. Ma lei è
piccola, come fa a tastarlo? Nella foto che sta sui giornali non si
vede chiaramente, perché la foto inquadra le due teste, ma la
didascalia che sta sotto ce lo spiega: la piccola si alza sulla punta
dei piedi. C’è abituata, sa che con i grandi deve fare
così. Alzata sui piedi, alza ancora più in alto le
braccia, e tasta con le mani. Il Papa è preparato a questo
gesto, e china la testa, per essere meglio raggiungibile. La china
tanto, che la piccola va con le sue mani non sulla faccia del Papa,
ma sulla nuca e sullo zucchetto. La piccola sa che è
l’incontro della sua vita, non incontrerà mai più
una persona che la emozioni così tanto, perciò cerca di
vederla il più possibile, in tutti i particolari, cioè
di sentire con tutta la mano, aperta, più dettagli che può.
È una mano tattile, esploratrice, è per questo che è
aperta, con le cinque dita spalancate a raggiera. Quella mano (e
l’altra, parallela, che s’intravede sull’altra
guancia del Papa) non è in collegamento con gli occhi, perché
gli occhi non ci vedono, sono inutili, perciò sono chiusi,
cioè messi fuori uso. Lo si capisce dalla testa china della
piccola, come se guardasse per terra. La mano, le due mani sono in
collegamento col cervello, formano un circuito col cervello. Con le
mani la piccola tasta e col cervello cerca di capire cos’è
quel che sente, com’è fatto, per calarlo nella memoria e
conservarlo. Il Papa si presta a questo conoscimento, o
riconoscimento, curvandosi in avanti, in questo modo si avvicina alla
bimba, vuol che lei lo “veda” bene, e lo ricordi. Così
curvandosi, si accosta, le due teste quasi si toccano. Anche il Papa
stende le mani, vediamo la sua mano sinistra sfiorare la spalla
destra della bimba, ma è un abbraccio passivo: il Papa vuole
che sia lei a vederlo, l’abraccio attivo è quello di
lei. Lei ha la testa abbassata, gli occhi abbassati, e le palpebre
chiuse. Da dove siamo noi, alla sua destra, vediamo la sua palpebra
destra calata.
È una foto che non dimenticheremo, perché
ci rivela “come vedono i ciechi”. I ciechi vedono più
di noi. E ricordano meglio. Perché i ciechi “toccano”,
arrivano al contatto. Il contatto permette l’intimità,
nel contatto si possono dire cose altrimenti indicibili. Il contatto
è un attimo, se perdi quell’attimo quelle cose non le
dirai mai più, per tutta la vita. Se cogli l’attimo, e
dici quelle cose, tutta la tua vita cambia, acquista un altro senso,
non solo per gli altri (per i quali “tu sei quello che ha
parlato così”), ma anche per te (“in quel momento
ho parlato così, e non me ne pento”). Per non pentirtene
poi, devi dire la verità adesso, e la verità la dici
non se sei saggio o colto, se sai molte cose, ma se sei sincero, se
dici quel che ti viene da dire, perché non hai altro da dire.
Qui la bambina e il Papa si sono parlati brevemente, una frase per
ciascuno: “Ti voglio bene”, “Ti voglio bene
anch’io”. Non è importante sapere chi ha parlato
per primo, chi ha pronunciato la prima frase e chi la seconda. Dai
giornali non riesco a capirlo. Il che significa che i due tempi sono
intercambiabili. E che le due dichiarazioni di affetto sono, in
realtà, contemporanee.
www.ferdinandocamon.it
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