Lavorare,
ancora e sempre per gli altri?
di
Lorenzo Russo
Sono
Carlo. Ogni mattina mi alzo alle ore sette, faccio colazione e mi
avvio al posto di lavoro.
Sono
addetto a svolgere la contabilità di una media impresa. Non è
proprio una mansione creativa, soddisfacente, ma non avendo imparato
altro devo adeguarmi per vivere.
Ieri
la ditta ha sostituito alcuni colleghi, un po' più anziani di
me, con nuovi arrivati dall'Africa.
Il
motivo è chiaro: costano di meno e sono più
volenterosi. I sostituiti saranno assistiti da un fondo appositamente
creato e poi mandati in pensione.
Il
sistema sociale da noi funziona ancora, ma la sua fine è già
individuabile.
Cosa
accadrà poi, se lo chiede ognuno che non svolge mansioni
specializzate.
I
tempi sono cambiati, i nuovi arrivati pretendono di essere assistiti
e di poter lavorare.
Di
rimandarli al paese di origine non se ne parla, almeno per il
momento, fino a quando non serviranno più e saranno
licenziati, o ce l'avranno fatta a istruirsi e raggiungere gradini
superiori nella gerarchia del mercato lavorativo.
Questa
è la situazione reale nel sistema economico del profitto senza
limiti.
I
dirigenti decidono secondo il calcolo di redditività, gli
altri „gli scartati“ saranno affidati all'ufficio statale
di assistenza sociale.
E
qui non è che ricevano una sussistenza sufficiente per
arrivare a fine mese.
Da
qui la povertà aumenta e con essa il pericolo di una rivolta
popolare, mentre i benestanti si arricchiscono sempre di più.
Sebbene
la storia ci riporti quante volte una tale situazione sia accaduta,
nessuno si sente responsabile, per cui, e come sempre fu, non
succederà nulla, all'infuori degli annunci della classe
politica in tempi elettorali e cioè che sarà creato
lavoro per tutti.
Ritenere
che gli europei abbiano vissuto finora qa danno delle popolazioni dei
paesi dai quali gli immigrati oggi arrivano non serve a risolvere il
problema, in quanto oggi può essere risolto solo globalmente.
Il
concetto di nazione non risolve nulla, sebbene ai colpiti costi molta
lungimiranza e istruzione il superarlo senza sentirsi spaesati.
È
il nuovo concetto di nazione mondiale che deve essere inculcato già
nei primi anni di educazione ed istruzione, altrimenti ciò che
succederà nei prossimi decenni ci farà ricordare i
crimini e le sofferenze delle ultime due grandi guerre.
Ciò
che mi colpisce in Italia è il fatto che i crimini compiuti
dai nuovi arrivati non vengano presi nella giusta considerazione, che
dovrebbe essere quella di affidarli alle autorità
specializzate nel campo della loro rieducazione e istruzione e in
caso negativo di assicurarne il rimpatrio.
Lasciarli
liberi di gironzolare senza controllo, dopo soli pochi giorni di
accertamenti, è un crimine contro i cittadini, che ne
sostengono gli oneri con tasse, contributi e restrizioni varie.
Da
parte mia ho i miei dubbi che il concetto di realizzazione di un
governo mondiale, sostenuto dall'alta casta finanziaria, politica e
intellettuale, sia veramente realizzabile.
Troppi
sono i contrasti, a partire dalla lingua parlata, dai radicalmente
differenti concetti di vita, da poterli far combaciare in un concetto
del tutto nuovo e rivoluzionario.
Di
certo ci vorranno molti decenni, durante i quali e specialmente
all'inizio i tentativi appariranno vani, troppo rischiosi.
Io
preferirei un'immigrazione graduale, in linea con le capacità
economiche e di accoglienza del paese. La guerra in Siria ne è
un esempio da prendere in seria considerazione.
I
bisogni delle popolazioni sono differenti da quelli delle classi
dirigenti.
Mentre
il popolo necessita per prima cosa di essere sfamato, e una volta che
lo fosse sarebbe più facilmente governabile, i dirigenti
vogliono comandare e arricchirsi senza limite.
Finito
il periodo coloniale, i dirigenti si sono impegnati ad assicurarsi i
loro guadagni allargando il mercato, che così è
diventato globalizzato.
Per
loro va bene così, ma non per i popoli che di conseguenza
diventano ancora più poveri e senza lavoro.
Non
avrei problemi con il concetto di un mondo unito e parlante un'unica
lingua ufficiale, che non sia però una lingua che ricordi i
tempi di soppressione coloniale, quando anche si creasse occupazione
e uguaglianza di diritti per tutti.
Purtroppo
il sistema del profitto senza limiti non è in grado di
soddisfare le esigenze primarie della vita, per cui ritengo
necessario modificare prima il sistema del profitto e adagio adagio
coinvolgere le popolazioni con adeguata istruzione ed educazione.
La
troppa ricchezza e la troppa povertà sono un offesa per
chiunque porti in sè il rispetto per il prossimo.
Il
mondo, così come è, è marcio nelle sue
fondamenta, questo è certo.
È
tempo di capovolgere la struttura piramidale esistenziale, spostando
il benessere verso la comunità, cioè verso la base
nella quale rientrino anche i dirigenti, in quanto solo così
si creerebbe una democrazia sana e duratura.
Alla
base quindi le popolazioni, diventate omogenee anche grazie alle
introdotte lievi e comprensibili differenze remunerative, e verso
l'alto i pochi che non si vogliono adeguare, che diventano i nuovi
emarginati.
Questa
sarebbe un'impresa per la quale varrebbe la pena di vivere e i cui
frutti spingerebbero i popoli alla prestazione volontaria per
raggiunta maturità sociale.
Alle
belle idee dovrebbero succedere i fatti e qui si presentano già
difficoltà insuperabili a causa dell'incapacità
dell'uomo a volgere l'orizzonte oltre il suo tornaconto.
Il
timore di soccombere in un mondo instabile e primitivo è più
forte di ogni ideale volto a migliorarlo, così che le lotte
sociali continueranno come se un'altra forma di convivenza non
potesse esistere.
Così
come oggi le imprese nazionali sono diventate aziende internazionali,
più idonee a dettare le leggi di mercato, altrettanto devono
unirsi i sindacati dei lavoratori.
Purtroppo
anche qui noto che i loro rappresentanti, una volta arrivati al
potere, si comportano come i dirigenti e imprenditori. Non disdegnano
l'occasione di concedersi elevate prebende e privilegi tradendo i
loro assistiti.
Onestà
è virtù rara, non reca soddisfazione se non in quei
pochi rimasti umili e veggenti, da poter affermare che il carattere
dell'uomo non muta sostanzialmente nel tempo.
Di
fatto egli è in primo luogo un artista della vita; lo si nota
con il suo presentarsi giovale, sorridente e vestito alla moda per
impressionare e raggirare gli ingenui dai quali ottenere maggiori
guadagni, ammirazione e riconoscimento.
Vanitoso
e narcisista è l'uomo, due requisiti che gli fanno credere di
essere il prediletto di colui che ha creato questo mondo, quello
inteso da lui.
La
verità è altrove, ma per scoprirla è necessario
riconoscersi nel prossimo e insieme proseguire sulla via delle
cognizioni elevate fino a realizzare una società omogenea e
libera da intenti falsi.
La
veggenza è figlia dell'umiltà che, regolando i difetti
dell'uomo, gli fa comprendere che solo chi crede di non sapere e non
essere abbastanza dimostra di sapere di più di chi mette in
mostra ovunque le sue qualità e cognizioni oltre il loro
valore.
La
nuova economia deve dare valore al lavoro quale fonte di
identificazione sociale, invece che seguire fini che giovano solo a
pochi a danno della collettività.
Lavoro
deve essere inteso come scoperta delle proprie qualità, per
cui deve liberarsi delle costrizioni odierne volte a produrre sempre
di più in un tempo sempre più breve.
Non
tutto ciò che viene scoperto e prodotto è anche utile
alla società e all'ambiente, mentre il tempo che dovrebbe
servire a far maturare l'uomo perde il suo valore e con esso la
qualità della sua vita.
Con
questo invio una supplica agli intellettuali, ai saggi, a tutti
coloro che sono di buona volontà di propagare uno stile di
vita che salvi l'uomo dalla sua dannazione e fine.
Il
giardino Eden, dal quale è stato cacciato l'uomo, come si
racconta nelle scritture sacre, dovrebbe essere l'unica meta da
raggiungere, perché solo così l'uomo avrebbe realizzato
nella vita il suo vero scopo di liberazione.
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