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Editoriali
» Si puņ baciare il figlio assassino, di Ferdinando Camon |
06/03/2017 |
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Si
può baciare il figlio assassino?
di
Ferdinando Camon
"La
Stampa" 15 gennaio 2017
“Va
a trovare nostro figlio in carcere, e digli che sua madre gli vuole
sempre bene”: la madre di Manuel parla così al marito, e
Manuel è l’assassino materiale dei due genitori
ferraresi. Quello dritto in piedi, con la mannaia in mano, sul letto
della vittima moribonda. Leggo la frase e mi domando: può una
madre dire al figlio che gli vuol bene, anche se ha ammazzato due
persone a colpi d’ascia sulla testa? Voler bene a una persona
vuol dire volere il suo bene: si fa il bene del figlio se, venendo a
sapere che ha fatto un doppio omicidio, gli si dichiara subito che
non cambia nulla, l’affetto di prima resta intatto? Il figlio
si sente già perdonato, e se vive in un ambiente in cui si
sente perdonato subito dopo che ha commesso un doppio delitto, vuol
dire che si sentiva perdonato anche prima di compierlo. “I
carabinieri me l’han mostrato un attimo in manette - dice
ancora la madre -, gli ho dato un bacio e l’han portato via”:
è giusto quel bacio? È amore? È volergli bene, è
volere il suo bene? Non è che il figlio ha fatto quel che ha
fatto, anche perché era sicuro di quel bacio? “Nessuno
verrà a cercarci, i nostri amici non ci vorranno più
bene”: i due assassini si preoccupano perché gli amici
prenderanno le distanze, ma non si pongono il problema con i
genitori, sono sicuri che i genitori non prenderanno mai le distanze.
È giusto così? È amore, questo? È voler
bene?
No, non è voler bene. Il problema si era già
posto con Erika: il padre di Erika non l’ha mai abbandonata,
neanche un giorno. Andava a trovarla in carcere tutte le volte che
poteva, in attesa che fosse liberata. Quand’è stata
liberata, era lì ad aspettarla. Non ha rilasciato interviste,
non s’è fatto bello di questo amore, amava la figlia e
basta. Come il marito della signora Franzoni. Non ha mai dubitato
della moglie prima che fosse condannata, e dopo la condanna non è
cambiato in nulla verso di lei. Eppure lei gli aveva ucciso un figlio
spaccandogli la testa. Ma per il padre di Erika e il marito della
signora Franzoni, come per la madre di Manuel, neanche la massima
colpa, l’omicidio, il matricidio, il figlicidio, può
intaccare il rapporto d’amore.
Dunque c’è un
amore che perdona tutto, anche la crudeltà, anche l’omicidio,
anche il doppio omicidio. Ma questo non è amore, non è
ammirabile, non è nemmeno perdonabile. Amare così non
significa voler bene. Volere il bene di un figlio o di un coniuge
vuol dire aiutarlo a fare il bene, abbracciandolo (prova d’affetto)
se lo fa, rifiutandosi di abbracciarlo (altra prova d’affetto)
se non lo fa. Un figlio che ammazza due persone deve aver paura di
perdere non l’amicizia degli amici, ma l’affetto dei
genitori. Deve sentirsi condannato non dalla cerchia dei conoscenti,
ma dalla cerchia famigliare. Deve sentire che l’amore dei
genitori non è finito, perché non può finire, ma
va ricostruito, adesso te lo devi rimeritare: uccidendo hai distrutto
il tuo mondo, adesso lo devi rifare pezzo per pezzo, cominciando dai
pezzi più vicini. La madre dice: “L’ho visto in
manette e gli ho dato un bacio”. Il padre: “L’ho
visto in manette e gli ho dato uno schiaffo”. La madre non gli
vuol bene, il padre sì. Un poco. Perché uno schiaffo è
troppo poco.
www.ferdinandocamon.it
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