Storia
del Contino
(canzone
di Giuseppe Santi)
di
Gianluca Ferrari
Questa
è la storia del Contino
sette
figli molti rimpianti.
Gli
affari nel commercio
del
legname andavan bene
ma
risaputa, la volubile
natura
del destino.
Accumulavi
montagne
di
carbone dalla Toscana
alla
riviera genovese:
qui
le pendici nere
fiorivano
nel rapido sgorgare
dei
quattrini. Poi venne il giorno
in
cui il carbone nero rimase,
come
una salma in magazzino.
Non
potesti più pagare
i
creditori. Son gente esosa:
c´è
chi non s´accontenta
d´un
contrito inchino.
Fosti
trovato come un tronco:
riverso
sulla schiena, corroso
dalle
acque e dai riflessi della luna
in
fondo al pozzo, un sasso al collo.
Erano
quelle plaghe malsicure
ed
oscillava l´occhio per le macchie
aspre
come sestante intento
a
calcolare agguati all´orizzonte
eventuali
vie di scampo.
Diceva
identikit dell´assassino:
"probabile
brigante
dal
volto contadino
arso
rugoso con barba
ispida
intricata. Un uomo
dei
malarici acquitrini come
la
solitudine crudele e come
la
disperazione ardito"*.
Tu
non potesti, al modo di quell´altro^,
cavartela
con una schioppettata
sulla
tesa quindi cantare:
"Dio
immortale! Se muoio io
rimbomberanno
le campane
ed
in gramaglie le puttane
piangeran
tutte per me".
Tu
non cantasti: "Dio immortale!
Se
muoio io saranno in lutto
le
puttane, un po´ più fosco
il
vino nel bicchiere".
*Do
a Cesare quel ch´è di Cesare: la citazione è tratta dal libro
Delitti e misteri sul crinale tosco-emiliano, curato da Luigi Bonaldi
(la storia è narrata alle pagine 125-26).
^Un
altro debitore (rimando alla nota precedente).
Da Acquerelli
gotici (edito in proprio, 2020)