Piccolo
racconto di Natale n. 3
di
Renzo Montagnoli
Non
appena la luce era calata e la sera s’accendeva di luci
stellate la neve aveva iniziato a scendere, dapprima timida, incerta
e titubante, e infine piena d’ardore, copiosa e senza remore.
La gente si affrettava nelle strade, le ultime compere, i regali, i
simboli di un mondo senza più anima, senza più sogni.
Lui
stava seduto in poltrona, la luce spenta nella stanza, la resta
reclinata sulla spalliera, gli occhi semichiusi a pensare sulla sua
vita, a quella solitudine a cui il destino l’aveva condannato.
Da quando lei se n’era andata non c’era stata più
vita, ma solo un lento trascinarsi nelle ore, passi a vuoto, uno
sguardo alla sua fotografia di quando ancora era bella e il male non
l’aveva divorata; giorni fatti di passi perduti, di un cieco
dolore che da una rabbia soffocata poco a poco si era trasformato in
sofferta rassegnazione. Il tempo passava, una stagione dopo l’altra,
un inverno non più d’attesa di una primavera che, pur
tornando, non riusciva più a scaldare un cuore stanco, natali
sempre uguali come questo che cadeva a venti anni dalla sua morte.
Volse lo sguardo alla fotografia, ma al buio non la vedeva, eppure
non si risolse ad alzarsi, a premere l’interruttore, perché
tutto di lei era in lui, la sua immagine, il rumore dei suoi passi
lievi, la voce, quella voce argentina che tanto l’aveva
incantato. E nell’oscurità della stanza lo colse il
sonno, giunse in punta di piedi a chiudergli gli occhi, a rallentarne
il respiro. Si abbandonò fiducioso al torpore e si accorse,
con felice stupore, di dormire, ma di viaggiare in un sogno.
Camminava lungo un viale di foglie morte quando di colpo apparve
lontana una figura che sembrava venirgli incontro e a ogni metro che
faceva le piante si aprivano come alla primavera, si coprivano di
foglie verdi e lungo i bordi di quella strada era tutto uno
sbocciare di bucaneve, mentre si udiva lontana una musica soave che
parlava al cuore. La distanza fra le due figure diminuiva e la natura
sembrava trionfare sul gelo dell’inverno; a un certo punto ebbe
un balzo al cuore, un colpo secco, un tremito diffuso perché
aveva riconosciuto chi gli veniva incontro. Bella, come la prima
volta che l’aveva vista, lieve come il passo di una nuvola nel
cielo, il suo nome quasi urlato con quella voce argentina. Si
trovarono infine di fronte, lui allungò una mano, le accarezzò
una guancia, lei gli sorrise, gli prese la mano se la mise sul cuore,
accostò il viso al suo e, mai, mai fu così bello e
intenso un bacio, lungo da togliere il respiro, poi lei si ritrasse
un po’, si accostò e porse il suo braccio, facendo cenno
di seguirla.
A
braccetto e a lenti passi si avviarono alla fine di quel viale; a lui
sembrava di volare, avvertiva forte un senso di infinita serenità
e seppe che infine l’aveva ritrovata e che mai più si
sarebbero separati.
La
neve cadde tutta la notte e anche il giorno di Natale, qualcuno bussò
alla porta, qualcuno telefonò, ma non ebbero risposta.
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