logo
homeRaccontisepNarrativa genericasep
La prova di virilità

La prova di virilità

La prova di virilità

di Renzo Montagnoli



Gli piaceva Margherita, la tredicenne Farnese datagli in sposa dopo chissà quante sottili arti diplomatiche, e a lei piaceva lui per un matrimonio sì politico, ma che, caso raro, comprendeva la reciproca attrazione. La discendenza del casato era pertanto assicurata, ma, e qui il “ma” è più che mai d'obbligo, nonostante tutti gli elementi favorevoli non c'era la possibilità di avere un erede per via di una malformazione, non sanabile, della sposa, di cui ci si accorse purtroppo a rito nuziale compiuto. Si trattava del classico caso di impotentia coeundi, attribuibile alla femmina, e pertanto più che giustificati erano i motivi della richiesta di annullamento del matrimonio avanzata dai Gonzaga. Certo la cosa non era piacevole per la famiglia della sposa, ma il diritto di consentire la possibilità di successione per i Gonzaga ci stava tutto, senza dimenticare che il principe non avrebbe potuto nemmeno gioire dei piaceri carnali e per un giovane e bell'uomo come lui era una condanna troppo crudele.

La questione però era spinosa, visto che i Gonzaga pretendevano che la sposa ritornasse a Parma, un vero affronto per i Farnese, in particolar modo per il quarto duca della dinastia, Ranuccio, di per sé individuo irascibile e malvagio e che sembrava aver avuto fin dalla nascita dei conti aperti con Vincenzo. - Non si può fare - sbraitava il Farnese, e aggiungeva serioso e solenne che la colpa non era di Margherita, ma di Vincenzo, incapace di possedere una femmina.

La diatriba correva non solo il rischio di scatenare una guerra fra i due ducati, ma di fatto impediva la possibilità che il casato dei Gonzaga potesse avere un erede, visto che era diventato un problema trovare una nuova moglie di pregio, stante la nomea di impotenza che Ranuccio aveva diffuso ai quattro venti..

Le arti diplomatiche entrarono in fibrillazione e gli esperti tanto si applicarono e tanto fecero che si arrivò alla soluzione più logica, e cioè che Vincenzo Gonzaga fugasse ogni dubbio dando prova della sua virilità. Lo chiedevano i Farnese, lo chiedeva la Chiesa, lo chiedeva il Granduca di Toscana, la cui figlia Eleonora de' Medici era la nuova promessa sposa, e infine lo chiesero, fra molti malumori e ob torto collo i Gonzaga stessi.

Ovviamente la prova avrebbe dovuto avere dei testimoni e anche una ragazza disponibile che sarebbe stata adeguatamente ricompensata per la prestazione.

Il primo accertamento di verifica della capacità di deflorazione si tenne a Firenze davanti a un apposita commissione costituita da medici e diplomatici. Vincenzo entrò nella camera e si avviò titubante verso il letto, con lo stesso patema d'animo dell'atleta chiamato nel salto in alto a superare l'asticella; lì, però non c'era l'asticella, c'era una giovante piacente sotto le coperte e tanti occhi che osservavano. Il principe perse la baldanza iniziale, si impappinò, ebbe una erezione ben poco evidente e di scarsissima durata, insomma fece flop e batté in ritirata. Era evidente che qualcosa non aveva funzionato nell'allenamento, forse l'alimentazione, forse anche la preparazione psicologica, e pertanto ora si doveva ricominciare con una secondo tentativo che avrebbe dovuto fugare tutti i dubbi. Questa volta si preferì operare in campo neutro a Venezia, con un'altra ragazza, ma anche nella circostanza, nonostante i cibi piccanti e afrodisiaci ingeriti, fu un fallimento perché il principe fu colto, ancor prima di iniziare, da una violenta colica. La vicenda, di dominio pubblico, e che tanto interessava e divertiva le corti europee, cominciava a evidenziare aspetti non proprio positivi per i Gonzaga, i quali comprendevano che più si andava avanti con quegli esiti, più la nomea di impotenti sarebbe stata affibbiata alla loro casata; fu anche per questo motivo che, consapevoli anche delle loro buone ragioni, chiesero e ottennero un'ultima definitiva prova, che finalmente ebbe esito positivo. Questa volta la preparazione fu curata in modo per così dire scientifico, forse si ricorse a cibi stimolanti, quali ostriche, oppure a qualche infuso afrodisiaco preparato da alchimisti, il viagra dell'epoca, insomma un insieme di elementi di rara e assoluta efficacia, tanto che pare che Vincenzo, già entrando nella camera da letto, dimostrasse una passione impetuosa, tipica dei grandi amatori. Non credo ci siano stati dei preliminari e probabilmente non erano nemmeno previsti, perché non necessari, insomma sta di fatto che questa volta l'asticella venne superata.

Ovviamente, data la delicatezza e l'importanza dell'esibizione, ci fu una certificazione con tanto di testimoni oculari che sottoscrissero una verbalizzazione riportante il livello dell'erezione, come era loro apparso il “membro” ducale e la sua rigidità, le risposte della fanciulla alle domande pertinenti; si può proprio dire che alla fine Vincenzo ne uscì alla grande, mettendo a tacere le voci subdole e anzi generando interesse in non poche dame.

Terminò così una vicenda che ancor oggi muove al riso, ma che all'epoca era di importanza capitale, e a ufficializzare ai terzi la regolarità della prova ci fu il matrimonio di Eleonora con Vincenzo in data 29 aprile 1584.

Non ci è dato di sapere come fu la prima notte di nozze, perché di testimoni non ce ne furono, ma i sei figli avuti dalla coppia testimoniano sulla virilità dello sposo, per non parlare dei numerosi figli naturali, frutto di svariate scappatelle extraconiugali.

Potrebbe sembrare una vicenda a lieto fine e lo fu certamente per Vincenzo, ma che accadde alla ex sposa, a Margherita Farnese? La prova di virilità superata da Vincenzo segnò la fine di ogni possibilità di accasarsi per Margherita, a cui restò da percorrere solo una via: quella del convento. Prese così i voti e diventò religiosa benedettina nel monastero di San Paolo a Parma con il nome di Suor Maura Lucenia; indi divenne badessa del convento di Sant'Alessandro, sempre a Parma, dove morì il 13 aprile 1643 all'età di 75 anni. Vincenzo l'aveva preceduta di un bel po', venendo a mancare il 18 febbraio 1612 quando era prossimo ai cinquant'anni. Anche l'accidioso e crudele Ranuccio morì prima della sorella il 5 marzo 1622, dopo anni di regno sul suo ducato tenuto con il pugno di ferro e aver messo le mani sulla reggia di Colorno, dimora della Marchesa Barbara Sanseverino, che insieme ad altri nobili accusati di lesa maestà, ma con buone probabilità innocenti, furono decollati dal boia ducale sulla pubblica piazza.



Fonti:


mantovastoria


thedot cultura